La regina delle banche armate
vi è il colosso francese Bnp Paribas. Le proteste della campagna contro le banche armate.
È di nuovo Bnp Paribas la regina delle “banche armate”. Nel 2010 il colosso francese (che controlla Bnl) ha appoggiato esportazioni di armamenti per 960 milioni di euro, sottraendo lo scettro al gruppo Ubi. Una scelta precisa della banca, che negli ultimi tre anni ha deciso di accaparrarsi la fetta più grossa di questo redditizio mercato. Ma Bnp può fregiarsi di un altro importante primato: quello di “banca nucleare”, stavolta a livello europeo. Lo rivela la classifica pubblicata da una rete di associazioni su www.nuclearbanks.org, dove l’istituto svetta con operazioni per oltre 13 miliardi di euro. Primati destinati forse a migliorare l’andamento del titolo in borsa (oggi un po’ meno, dopo la tragedia giapponese), ma non certo l’immagine tra i cittadini che vogliono avere un futuro.
Parte da qui la lettera che 13 organizzazioni hanno inviato, il 31 gennaio scorso, ai vertici di Bnl e della capogruppo Bnp Paribas, per chiedere chiarimenti e impegni precisi. Dopo un mese e mezzo di silenzio, la paziente ricerca di un contatto diretto con la divisione Responsabilità sociale di Bnl si rivela proficua: arriva la promessa di una risposta e, dopo qualche ritardo di prassi, l’agognata lettera. La firma è dell’amministratore delegato Fabio Gallia (nonché membro del consiglio di amministrazione di Bnp) che in poco più di tre pagine spiega la posizione della banca. Il testo è chiaro e dettagliato, ma lascia sostanzialmente inevase le nostre richieste.
Partiamo dagli armamenti. Gallia ricorda i codici di condotta (policy) di Bnp e Bnl, spiegando che essi sono stati rispettati. Anzi, Bnl è perfino più rigorosa, poiché restringe le operazioni di export ai soli paesi Nato e Ue. Vero, almeno sulla carta, poiché nessuna delle due banche pubblica il dettaglio delle singole operazioni di appoggio, come avevamo chiesto e come fanno da tempo altri istituti. Nessuna risposta nemmeno alla nostra richiesta di escludere transazioni con paesi dove sono state riscontrate violazioni di diritti umani, come la Turchia, che resta pur sempre un paese Nato. E proprio con la Turchia, nel 2008, Bnl ha ricevuto autorizzazioni all’incasso per oltre 1 miliardo di euro, relative alla vendita di 55 elicotteri militari Agusta A129.
Dove vanno le armi?
Ma c’è un altro nodo che emerge dall’analisi degli ultimi due anni. Nel biennio 2009-2010 le operazioni legate all’export di materiale bellico passano in larghissima parte dalle filiali italiane di Bnp. Ciò significa che tutto ciò che non è consentito dalla policy di Bnl (che, lo ricordiamo, restringe l’attività ai soli paesi Nato e Ue) potrebbe essere stato gestito da Bnp Italia, dunque nell’ambito dello stesso gruppo. Dov’erano destinate quelle armi? Verrebbe da pensare al Nord Africa o al Medio Oriente, visto che proprio in queste aree si trovano i principali acquirenti di armi italiane. Non lo sappiamo, ma la banca darebbe un bell’esempio di trasparenza se alzasse il velo almeno sui paesi destinatari. Del resto non si capisce come debba essere interpretata la dichiarazione secondo la quale “Il Gruppo Bnp Paribas applica il principio dello ‘standard più elevato’ (…) applicando in alcuni casi criteri ancora più stringenti di quanto previsto nelle legislazioni locali”, contenuta nel Bilancio sociale Bnl (2009): tali standard si applicano solo a Bnl o anche alle filiali italiane di Bnp?
E sul nucleare?
Quanto al nucleare, il disastro di Fukushima ha demolito molte certezze, ma contro gli impianti di Angra3 (Brasile) e Jaitapur (India) Greenpeace aveva già lanciato una campagna internazionale (cfr. box). Sul primo impianto il gruppo francese ha condizionato la prosecuzione del proprio impegno al rispetto di alcune condizioni, tra cui una valutazione indipendente e il controllo da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, in linea con i dettami della propria policy. Su questo fronte la posizione dei promotori è netta: il progetto deve essere abbandonato, poiché basato su tecnologie vecchie di trent’anni, che in Europa non avrebbero diritto di cittadinanza.
Sull’impianto di Jaitapur – che sorgerà in una zona ad alto rischio sismico – la banca sembra non aver preso ancora una decisione, ed è questa forse l’unica notizia. Il progetto “sarà riesaminato” alla luce degli avvenimenti giapponesi, ha dichiarato la banca, che finora ha prestato solo servizi di consulenza senza alcun impegno. Chiediamo allora di chiarire la posizione dell’istituto, formalizzando il proprio disimpegno.
È evidente la crisi che sta attraversando il settore, al centro di un’opposizione sempre più vasta dell’opinione pubblica internazionale. Le difficoltà riguardano anche i finanziamenti, sempre meno generosi. Ci chiediamo quale sia la convenienza reale di una banca nell’imbarcarsi in progetti così fortemente lesivi della propria immagine, per non parlare dei rischi economici. E perché mai i risparmiatori dovrebbero consentirne il finanziamento con i propri soldi?
Il 13 maggio scorso abbiamo ribadito le nostre proposte in un comunicato stampa, chiedendo un incontro ai vertici di Bnl, per ora senza esito.
Alla presentazione del bilancio 2010 del gruppo Bnp – che ha chiuso l’anno con quasi 8 miliardi di utili netti – il Ceo Budouin Prot ha riconfermato il ruolo strategico del nostro mercato e della controllata Bnl. In Italia ci sono ancora margini di crescita e le aspettative sono alte, considerata la tradizionale propensione al risparmio degli italiani. Ma il successo del gruppo è legato a doppio filo alle scelte dei risparmiatori. E molti non sono più disposti a foraggiare politiche irresponsabili, nemmeno per qualche euro in più sull’estratto conto.