Una nuova resistenza
Si può ripartire insieme per una nuova liberazione.
Lo abbiamo ascoltato il giorno del 66° anniversario della liberazione, lo scorso 25 aprile, nel centro storico di Brescia. Le sue parole sono un segno di speranza. Che si fa breccia fra le ombre del periodo storico che, talora stancamente, attraversiamo. Ripartendo dalla memoria e proiettati verso il futuro, si può abbozzare un orizzonte diverso. Nuovo.
Che ci fa un prete in piazza della loggia a parlare del 25 aprile? Alcuni pensieri mi hanno fatto superare l’esitazione. Anzitutto il desiderio di rendere onore ai 191 eroici sacerdoti trucidati dai nazifascisti durante la resistenza; in secondo luogo, il ricordo di una piazza nel quartiere Brancaccio di Palermo, dove fui invitato a fare memoria di don Pino Puglisi, un santo sacerdote che, con il Vangelo in mano, incitava i giovani a un’altra resistenza, contro la mafia, da cui fu assassinato; infine, la necessità di ravvivare la lezione che viene dai martiri della libertà, da tutti indistintamente (credenti e non credenti, laici e sacerdoti), in questo momento difficile della vita del paese: quando, pur essendo diversi, si è uniti su un ideale comune; quando il coraggio del cittadino s’incontra con la profezia del credente, anche i sogni impossibili diventano possibili. Oggi la memoria della resistenza, nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, ci aiuta a comprendere la necessità che tutti i cittadini onesti, al di là delle differenti idee politiche, sensibilità culturali e religiose, si uniscano per aiutare l’Italia a uscire dalla crisi nella quale è impantanata. Si tratta, in pratica, di convogliare le energie migliori nel triplice impegno di difendere la Costituzione, l’unità nazionale e la democrazia.
Difendere la Costituzione
Il primo impegno deve essere quello di difendere la Costituzione con i suoi principi e i suoi valori, che non dipendono – e, quindi, non possono essere cambiati – da maggioranze provvisorie e mutevoli di governo, perché iscritti nella coscienza di ciascuno, prima ancora che nella Carta repubblicana. Lo ricorda l’art. 2 della Costituzione, quando afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.
L’architrave della Costituzione è il primato della persona umana. La persona viene prima della società, così come la società viene prima dello Stato. Tutti gli altri valori fanno riferimento al rispetto della dignità della persona, a cominciare dal diritto al lavoro che lo Stato ha il dovere di rendere effettivo (art. 4) poiché l’Italia è “una repubblica fondata sul lavoro”, come dice l’articolo 1. L’articolo 1 non si tocca! Finché questo reggerà, non sarà lecito a nessuno parlare di lavoratori “in esubero” e di “precari” a tempo indeterminato. Può mai una persona essere ritenuta “superflua” o condannata a vivere nell’insicurezza? Finché reggerà l’art. 1, sarà un obbligo grave per tutti cercar di spezzare la tragica catena di “morti bianche” sul lavoro, che sono causate spesso da irresponsabilità e noncuranza delle norme di prevenzione.
L’altro pilastro portante su cui poggia la Costituzione è il “principio di solidarietà”. Cioè, ogni persona è un essere-in-relazione, che per realizzarsi ha bisogno degli altri, di una società in cui non esistano cittadini di serie A e di serie B, ma tutti indistintamente godano di “pari dignità sociale” e siano “uguali davanti alla legge” (art. 3 della Costituzione). Come è possibile, allora, che l’individualismo e l’egoismo dilaghino fino a contaminare di razzismo e di xenofobia le leggi dello Stato? Com’è possibile che coscienza civile e coscienza religiosa non reagiscano con forza di fronte al respingimento in mare dei disperati che fuggono dalla guerra e dalla fame o di fronte alla proposta assurda di usare perfino le armi per fermarli? Com’è possibile rinnegare in forma così plateale il diritto d’asilo che l’art. 10 della Costituzione riconosce allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche”?
È tempo di svegliarsi e di recuperare lo “spirito del 25 aprile”. Urge che coscienza civica e coscienza religiosa tornino a incontrarsi come ai giorni della resistenza.
Difendere l’unità nazionale
Il secondo impegno deve essere la difesa dell’unità nazionale: l’Italia è “una e indivisibile” politicamente, perché una e indivisibile è la sua identità culturale e linguistica, la sua coscienza morale e religiosa. A differenza di altre nazioni, l’unità d’Italia si fonda non sull’appartenenza etnica, ma sulla cultura e sui valori morali, contenuti nei primi 11 articoli della Costituzione. È notevole che i Padri costituenti volessero che l’art. 12 della Costituzione, dedicato alla bandiera tricolore, fosse aggiunto agli altri 11 dedicati ai principi e ai valori fondanti della nostra convivenza civile. Chi disprezza il tricolore disprezza l’Italia e i valori morali della Costituzione, offende la memoria dei martiri della libertà!
Detto questo, è doveroso riconoscere che il pluralismo delle esperienze locali, delle attività dei comuni, delle regioni e delle città, così come la dialettica tra realtà locali e dimensione nazionale fanno parte della nostra identità e della nostra storia: non sono un impedimento all’unità, ma una ricchezza per tutti.
Difendere l’unità nazionale significa dare un’anima solidale al discorso che oggi in Italia si fa sul federalismo. La riforma in senso federale delle istituzioni repubblicane non può ridursi soltanto a una questione di natura organizzativa, ma dovrà ispirarsi alla cultura solidale che informa la nostra Costituzione. Senza solidarietà, il federalismo finirebbe con il porre le premesse della frammentazione e della rottura dell’unità del paese. In particolare, non farebbe che accrescere ulteriormente il divario tra nord e sud, quando ormai tutti siamo consapevoli che sviluppo del Mezzogiorno e unità d’Italia vanno insieme.
Com’è possibile pretendere che si restauri la legalità nel Mezzogiorno, quando l’illegalità dilaga nel resto d’Italia? Con che coraggio si chiede ai cittadini meridionali che diano prova di senso civico, quando la politica nazionale è gestita in forma privatistica e aziendale, al servizio di interessi personali o di gruppo, nell’aperta noncuranza del dettato costituzionale? Come pretendere che a livello locale si osservino regole e leggi, quando a livello nazionale si emanano normative discriminatorie, razziste, spesso in contrasto con le regole costituzionali e con i principi delle carte internazionali dei diritti umani?
Pertanto, anche la cosiddetta “questione settentrionale”, di cui oggi tanto si parla, non è – in certo senso – che l’altra faccia della “questione meridionale”, la quale, dunque, rimane il vero nodo da sciogliere per realizzare pienamente l’ideale unitario del risorgimento e della liberazione, tuttora incompiuto.
Difendere la democrazia
Infine, il terzo impegno, a cui ci richiama la memoria congiunta del 150° dell’unità d’Italia e del 25 aprile, è la difesa della democrazia. Il paese, infatti, attraversa una fase di pericolosa emergenza democratica. Ci siamo ridotti a vivere alla giornata e a navigare a vista: la preoccupazione del presente prevale sulla progettazione del futuro; la ricerca di interessi personali o corporativi prevale sul bene comune. È in atto uno scontro senza precedenti dei poteri dello Stato tra di loro: tra governo e magistratura, tra presidenza del Consiglio e presidenza della Camera, tra potere legislativo e Corte costituzionale; si legifera a colpi di decreti legge e di voti di fiducia, esautorando il Parlamento e riducendolo al ruolo di notaio di decisioni prese al di fuori di esso; la classe politica è scelta dall’alto, avendo tolto ai cittadini la libertà di “eleggere” i propri rappresentanti. È forse questa la democrazia per la quale hanno dato la vita i martiri della resistenza?
La delusione, perciò, si traduce in sfiducia crescente verso la politica e la classe dirigente e in assenteismo. È tempo di una sintesi nuova tra le diverse tradizioni di cultura politica che hanno fatto la resistenza, senza che nessuno rinneghi la propria storia e le proprie radici. Si tratta di “andare oltre”, ricostituendo un ethos condiviso, nella fedeltà alla Costituzione, in grado di restituire un’anima etica alla politica. Solo recuperando il primato della persona, la solidarietà e la priorità del bene comune sarà possibile pervenire finalmente a quella forma matura di democrazia, fondata sull’esercizio libero e responsabile dei propri diritti e dei propri doveri, per la quale sono caduti patrioti e partigiani.
Riusciremo nell’arduo compito di dare vita a un nuovo risorgimento e a una nuova liberazione? Sì, ci riusciremo: con il coraggio dei cittadini onesti e con l’aiuto di Dio. La resurrezione di Cristo ci dà la fiducia necessaria per credere in una resurrezione dell’Italia dallo stato di degrado in cui è caduta. La potenza delle resurrezione è all’opera nella storia. Perciò, mentre ravviviamo in noi lo “spirito del 25 aprile”, poniamo la fiducia in Colui che ha promesso: “Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”.
Maranathà. Vieni Signore Gesù.
(Tratto dal discorso del 25 aprile 2011 a Brescia)