Tra eccidi e traffici
Un gruppo di Ong del Guatemala hanno denunciato alla Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) di Washington che sta aumentando l’aggressione ai difensori dei diritti umani nel paese centroamericano, 305 casi solo nel 2010. Marcela Martino, avvocata del Centro por la Justicia y el Derecho Internacional (Cejil) ha denunciato che “il governo del presidente Colon alimenta la percezione che le persone che lottano per i diritti umani siano destabilizzatori che difendono delinquenti” (cfr. il reportage dell’Osservatorio SELVAS del 14 aprile 2011).
Sono oltre 62.000 i guatemaltechi assassinati dalla fine della lunga guerra civile cominciata nel 1960 e terminata con gli accordi di pace del 29 dicembre 1996 (con un bilancio di oltre 250.000 morti). E chi si batte per difendere i diritti umani in Guatemala, paga in prima persona, come Emilia Quan Stackman, sociologa, 33 anni, sequestrata e uccisa nei giorni scorsi a Paquix, nel dipartimento di Huehuetenango: un crimine commesso in un Paese in cui, secondo la Corte internazionale contro l’impunità, il 98% degli omicidi non viene investigato. “La violenza crescente ha diverse origini. Tra queste, anche le politiche portate avanti dai diversi governi”, ha affermato Nery Rodenas, direttore dell’Ufficio per i diritti umani dell’arcivescovado di Guatemala (Odhag), già guidato da mons. Juan José Gerardi Conedera (assassinato il 26 aprile 1998, dopo aver diffuso il rapporto “Guatemala nunca más”).
L’amministrazione della giustizia
“Durante il mandato di Berger sono state effettuate molte azioni repressive e commesse esecuzioni arbitrarie. Per questo tra i governi di Portillo e Berger c’è un aumento del 53% degli omicidi. Tra il governo di Berger e quello attuale del presidente Alvaro Colom l’aumento si è mantenuto ma, secondo il nostro studio, pari al 14%” aggiunge Rodenas. È sbagliato, tra l’altro, credere – osserva il direttore dell’Odhag – che la violenza “sia un’esclusiva delle classi meno abbienti. Certamente esiste molta violenza nei settori esclusi, dove hanno origine le ‘maras’ (o ‘pandillas’, bande criminali giovanili diffuse in tutto il centroamerica, nda), ma è una percentuale minore rispetto al crimine organizzato, da cui si origina la maggior parte della violenza”. Per frenarla, prosegue, “bisogna rendere operativo il sistema dell’amministrazione della giustizia”. Il cosiddetto “Accordo nazionale per il progresso della sicurezza e della giustizia”, firmato nel 2009 dai responsabili dei tre poteri dello Stato e dal procuratore generale, include ben 101 punti relativi alla riforma dell’amministrazione giudiziaria, “ma, secondo un recente rapporto, solo il 14% di questi punti sono stati applicati”.
Conflitti per la terra in crescita, omicidi di dirigenti sindacali, minacce di morte e vere e proprie esecuzioni a danno di giornalisti, cooperanti, attivisti per i diritti umani: questa è la spirale di violenza e le elezioni presidenziali, previste per il mese di agosto, non lasciano tante speranze in merito a un cambiamento della classe politica guatemalteca corrotta.
“Il governo si è del tutto disinteressato della questione agraria”, spiegano allo “Observatorio de los Periodistas Cerigua” i dirigenti del Cuc (Comité de Unidad Campesina) e del Conic (Coordinadora Nacional Indígena y Campesina), che hanno visto cadere molti loro compagni assassinati dagli squadroni della morte. La politica fatta di sgomberi violenti nei confronti delle comunità indigene e contadine, unite alle operazioni di limpieza social a livello urbano (soprattutto a Città del Guatemala) domina. La ley de desarrollo rural (la legge per lo sviluppo rurale, ndr), più volte sollecitata dalle organizzazioni contadine sotto differenti governi, non è stata approvata e difficilmente il governo sembra intenzionato a farlo negli ultimi mesi del suo mandato. Secondo i dati della coordinación de Ong y cooperativas (CongCoop) nel solo 2010 sono stati registrati almeno cinquemila conflitti legati alla questione agraria, mentre il ministero dell’Agricoltura è stato tra quelli su cui il governo ha meno investito, nonostante l’economia indigena e contadina rappresenti una delle maggiori fonti di investimento per il paese.
La comunità di San Juan Coatzal, nel dipartimento di El Quiché, in Guatemala, ha denunciato il 31 gennaio scorso, alla comunità internazionale le responsabilità dell’Enel, ente coinvolto nei progetti idroelettrici “Palo Viejo 1” e “Palo Viejo 2”. Così si sono espresse le comunità indigene: “Le nostre comunità di San Juan Cotzal sono state danneggiate seriamente dalle politiche di Stato definite della ‘terra bruciata’: danni mai riparati. Oggi, a 14 anni dalla firma degli accordi di pace, noi popoli indigeni siamo stati nuovamente violentati nei nostri diritti. Lo Stato ha agito senza consultarci, come avrebbe dovuto fare per rispettare la Convenzione 169 dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro, ratificata dallo Stato del Guatemala e la dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. Le imprese multinazionali si sono installate nel nostro territorio senza consultarci e senza il nostro permesso. La ditta Enel, in due anni di presenza nel territorio, ha violato i nostri diritti… Noi abbiamo deciso di iniziare una resistenza pacifica affinchè la ditta Enel non prosegua a ingannare le nostre comunità e si assuma la responsabilità di risarcire i danni provocati dalla costruzione della centrale idroelettrica Palo Viejo, nel territorio di Cotzal” (cfr: (www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=–2653&fromHP=1).
Malgrado l’impunità, la mobilitazione della società civile e delle forze democratiche va avanti nella ricerca della giustizia.
Massacri
È stato trasferito nella prigione di Matamoros, Daniel Martínez Méndez, ex-istruttore dei ‘kaibiles’ (unità speciali antiguerriglia dell’esercito), arrestato nei giorni scorsi in un villaggio a est di Città del Guatemala e accusato di assassinio e crimini contro l’umanità per il massacro di 252 indigeni perpetrato tra il 6 e l’8 dicembre 1982 nel villaggio di Dos Erres. La strage di Dos Erres Dos è considerata una dei massacri più brutali compiuti nella regione che ha provocato oltre 250.000 morti, la stragrande maggioranza indigeni maya. Secondo il rapporto stilato dalla “Commissione della verità”, solo nel 1994 tornarono alla luce sul luogo dell’eccidio 162 ossa umane, di cui 67 corrispondevano a bambini di età inferiore ai 12 anni. Il lungo e controverso iter processuale nei confronti di 16 ex-militari coinvolti nel massacro ha subito una battuta d’arresto nel 2005, quando la Corte Costituzionale ha ordinato la cancellazione degli ordini di arresto contro gli accusati e ha invalidato le testimonianze dei sopravvissuti. L’alto tribunale si è basato su una legge di amnistia del 1996, che dichiara non perseguibili alcuni reati di matrice politica commessi negli anni del conflitto. Al momento, per lo stesso caso, sono sette gli ex-militari in stato d’arresto in Guatemala, uno negli Stati Uniti e un altro in Canada, mentre i rimanenti otto restano latitanti. Nel 2009 la Corte interamericana dei diritti umani (Cidh) ha condannato il Guatemala per non aver indagato né perseguito i responsabili dei gravissimi abusi commessi contro la popolazione locale, in particolare donne e bambini.
Nel frattempo, l’osservatorio sull’America Latina SELVAS continua a documentare la lotta per la difesa dei diritti umani in Guatemala, in collaborazione con il Parlamento europeo e il gruppo dei Verdi.