NONVIOLENZA

Lungo la valle del Belice

A piedi, sulle orme di Danilo Dolci, per costruire un mondo nuovo: racconti di una marcia, semi di una politica dal basso, giovani sognatori nonviolenti.
Marta Ragusa

“Il vecchio mondo è finito […]. Con tutto il rispetto, l’affetto e la gratitudine per chi ha faticato e pensato prima di noi cercando di renderlo più civile, di migliorare la vita, non possiamo non vedere che un nuovo mondo ci occorre, nel quale possiamo svilupparci da uomini veramente vivi, cioè tutti coraggiosamente, attivamente, organicamente fratelli tra noi”: queste le parole luminose che Danilo Dolci pronunciò l’11 marzo del 1967 a piazza Kalsa, alla fine di quella che fu la storica “Marcia della protesta e della speranza per la pace e per lo sviluppo della Sicilia Occidentale”.
L’11 aprile scorso, dopo 44 anni, qualcuno ha ricominciato a mettersi in cammino sulle orme di Dolci e ha riassunto il titolo poliedrico della manifestazione del 1967 con un semplice e complesso “Marcia per un mondo nuovo”. L’idea era partita dal gruppo Stalker di Roma, architetti che adottano già da anni il camminare come strumento di conoscenza e di esplorazione del territorio in cui l’uomo vive, in particolar modo degli spazi in via di abbandono.
E quale parola, se non abbandono, viene in mente percorrendo la Valle del Belice, oggi?
Interi paesi semideserti, porte e finestre serrate, silenzio e disillusione. In Sicilia, gli Stalker hanno così incontrato l’appoggio e la partecipazione di numerose associazioni e cooperative che si sono unite nell’organizzazione di questa lunga marcia, iniziata a Menfi l’11 aprile e terminata a Trappeto il 17. Molti di coloro che hanno partecipato attivamente alla marcia sono stati impegnati, nei mesi precedenti, nella creazione di Epicentro Belice, uno spazio riservato alla costruzione della storia di questa zona dell’isola, grazie alla memoria di chi ha vissuto in prima persona gli avvenimenti legati alla mobilitazione animata da Danilo Dolci, prima e dopo il terremoto del 1968.
Ma la memoria non è immobile e non immobilizza. Chi ricorda prova rabbia, passione e speranza. “Un piccolo corpo di risoluto spirito nella sua missione può alterare il corso della storia” affermava Dolci. E la marcia, percorrendo lentamente il suo viaggio nel Belice, non è altro che quel “piccolo corpo” che, in forma nonviolenta, insieme a chissà quanti altri piccoli corpi sparsi per il mondo, vuole opporsi a ogni forma di potere. I tre nemici di oggi, come quelli di ieri, sono lo spreco, lo sfruttamento e la speculazione: tre vizietti ai quali in Sicilia siamo fin troppo abituati e che, però, possono essere combattuti attraverso forme di politica “dal basso”, di autorganizzazione. Nella Marcia per un Mondo nuovo si cammina, naturalmente, e si discute, mentre si attraversano campi di sulla fioriti e strade statali in cui sfrecciano camion di ogni dimensione. Ma soprattutto a ogni arrivo. A Menfi, il punto di partenza, la marcia ha incontrato il Comitato Civico per l’Acqua Pubblica. “E acque democratiche vogliamo/ e come acqua ogni fonte di vita” (Il limone lunare, 1970): anche qui le parole di Dolci sono quanto mai attuali e fungono da guida. Nina ricorda che a Menfi a fine Ottocento, di fronte alla scarsezza d’acqua (per di più infetta), il sindaco Santi Bivona, considerato un eroe, spese 385 mila lire di sua tasca per poter accedere alle ricche fonti di Contessa Entellina. “È impensabile oggi, dopo tante conquiste, un passo indietro che ci renda tutti schiavi di imprese private e dei loro interessi”, affermano i cittadini, i quali partecipano entusiasti all’inizio della marcia, sottoscrivendo l’enorme lenzuolo in cui, a lettere blu, è stato scritto: “Nel difendere l’acqua, mi difendo”, assistendo al battesimo della piazza principale che da Vittorio Emanuele II prenderà il nome di piazza Acqua Pubblica. Ma i temi affrontati dai camminanti sono stati molti e ognuno di essi è strettamente collegato all’altro. E se sul tema del referendum c’è stato il pieno appoggio di tutte le amministrazioni locali, gli altri argomenti hanno generato reazioni controverse. Da S. Margherita Belice a Poggioreale, Camporeale, Borgetto e San Martino delle Scale fino ad arrivare a Trappeto, si è parlato di salute, immigrazione, agricoltura, energie rinnovabili.
Uno dei primi slogan della marcia, letteralmente indossato dai partecipanti, è stato “Civiltà è accoglienza”, immortalato sullo sfondo dei templi di Selinunte prima che il viaggio iniziasse, di fronte al mar Mediterraneo, simbolo del viaggio di molti altri che giungono qui dall’altra sponda. Durante il giorno, chilometri di strade e trazzere, con brevi soste in cui rifocillarsi e discutere del senso di quello che si sta facendo; durante il pomeriggio dibattiti impegnati. Come a Camporeale dove, in un’aula gremita di cittadini, si parla di agricoltura, di gruppi di acquisto, dell’utilizzo di sementi autoctone, di prodotti locali.
Così la marcia, accompagnata dal furgone carico di zaini e vivande, arriva alla scuola di Mirto, fondata da Dolci per allevarvi bambini attraverso il nuovo metodo educativo fondato sulla maieutica. Oggi è una scuola come altre, con tutti i problemi delle altre scuole pubbliche. Dopo una notte a San Martino delle Scale, dove finalmente la marcia si concede una cena sontuosa, un po’ di danza sulle note strombazzanti della Bandalleciance. E mentre noi siamo tra marcia, fiaccole, parole e danze, nel frattempo, il Parlamento, ovvero coloro che fanno politica “dall’alto”, ha votato a favore della legge sul cosiddetto processo beve. E la marcia si è vestita con un nuovo slogan: “Il crimine è ormai legge”.
Domenica, ultima tappa: Trappeto. Qui Danilo Dolci nel 1952 iniziò il suo primo digiuno dopo che un bambino era morto di fame. Qui al tempo morivano decine di bambini perché Trappeto era un’unica grande fogna a cielo aperto. Danilo lottò per la bonifica del posto e costruì il Borgo di Dio: una casa, un asilo tra gli alberi, un centro culturale in cui artisti si formavano e lavoravano arrivando da tutta Europa. Oggi non rimangono che i ruderi, i vetri rotti e le bellissime pitture murali di Ettore de Conciliis vittime dell’umidità. Lungo i 120 km percorsi, alla marcia si sono uniti di volta in volta studenti di scuole superiori, insegnanti, agricoltori con i loro trattori, sindaci e giornalisti. Radio Popolare da Roma ha seguito quotidianamente il cammino. Ma il 17 aprile, sotto il sole di Trappeto, appollaiata sulla scalinata di piazza Trapani, la marcia si è concessa un pomeriggio di riflessione e di autoanalisi. C’è chi spera di poterla ripetere ogni anno, chi ancora deve capirne il senso, chi ha trovato degli amici, chi ha perso un paio di chili.
La marcia in realtà non è finita. Continua ogni giorno, in ogni piccolo atto che si compie al di fuori del meccanismo degli interessi privati, del potere, del guadagno, della violenza. In ogni sogno collettivo perché, come scriveva Danilo, “se l’uomo non immagina, si spegne”.

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