L'Europa nel Mediterraneo
L’Unione Europea di fronte alle rivoluzioni arabe appare, ancora una volta, dopo la crisi dei Balcani, l’Iraq e l’Afghanistan, divisa e senza un ruolo politico significativo.
Spiazzata dalla caduta di regimi, con cui fino al giorno prima aveva collaborato, non sa che pesci prendere, eppure è almeno dal 1995 che ha messo in piedi sistemi di relazione con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo che avrebbero dovuto dare ben altra prova almeno nella comprensione della realtà.
Il partenariato euro-mediterraneo, inaugurato proprio nel novembre1995 con la dichiarazione di Barcellona, ha sostituito quegli accordi commerciali post-coloniali che alcuni Paesi europei , in primis la Francia, avevano portato in dote alla Comunità Europea.
Una politica promettente, multilaterale, basata su tre pilastri : la pace e la sicurezza; l’economia; la dimensione sociale, culturale e umana fondata sul protagonismo delle società civili.
Il tempo era quello che faceva intravvedere una possibile soluzione del conflitto arabo-israeliano con la conferenza di Madrid e gli accordi di Oslo.
L’obiettivo ambizioso: fare del Mediterraneo un’area di pace e di benessere condivisi. Da allora sono passati sedici anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
La crisi del processo di Barcellona è stata determinata da più fattori, tutti riconducibili alla volontà politica dei diversi partner.
- Il deterioramento del processo di pace israelo-palestinese fino all’annullamento della prospettiva della costruzione di due Stati.
- L’economicismo e il liberismo assunto come modello europeo, che ha privilegiato la creazione di un’area di libero scambio ignorando la dimensione sociale e il grave problema dell’occupazione.
- Il fatto che il multilateralismo sia stato sostituito da un bilateralismo che ha approfondito ancora di più le divisioni tra i paesi del sud, indebolendo il loro ruolo.
- L’ossessione securitaria europea che ha annichilito qualsiasi possibilità di scambi umani con i paesi del sud fino alla priorità che ha assunto per i governi europei la questione dell’immigrazione intesa come blocco tout-court dei flussi migratori.
è proprio in nome di questi ultimi obiettivi che si sono rinsaldati legami con i differenti regimi ritenuti più affidabili nella repressione del fenomeno migratorio e ben disposti ad accettare accordi che i differenti Paesi europei hanno stipulato, sempre in modo bilaterale.
Infine, alla crisi del processo di Barcellona già visibile da anni, si è andata aggiungendo una politica confusa e contraddittoria che ha praticamente affidato nelle mani della burocrazia di Bruxelles e poi nei governi tutto il potere. Ciò con la connivenza dei regimi del sud che mal sopportavano le annunciate aperture alla società civile e che hanno ricevuto in cambio dall’Europa una legittimazione che, come si è visto dalle rivoluzioni in corso, i cittadini non davano loro.
Questo spiega anche perché i governanti europei , le cancellerie e le varie burocrazie non abbiano capito nulla di quello che covava sotto la cenere della repressione che, in forme diverse, era ed è presente in tutti i paesi della sponda sud.
Tornando alle politiche europee, dopo l’ingresso dei paesi dell’est nell’Unione, fu inaugurata la politica di Vicinato che dava ai Paesi non aderenti quali la Georgia, l’Ucraina, la Moldavia e i paesi del Caucaso, un quadro di accordi che fu riassunto nel motto: “Tutto fuorchè le istituzioni” e che tendeva a costruire attorno all’Unione Europea un cerchio di paesi amici.
Questa stessa politica fu estesa ai paesi partner mediterranei così che il cerchio potesse andare dal Marocco al Baltico.
Vi erano, però, delle differenze non da poco tra queste due realtà.
La prima era che i paesi dell’est fuori dall’Unione coltivavano comunque l’obiettivo dell’adesione e, quindi, le prescrizioni degli accordi di vicinato erano vissute da loro,in ogni caso, come una pre-adesione, cosa non valida per i paesi del sud a cui si è continuato a dire “mai nell’Unione”.
Un’altra differenza stava nel fatto che i paesi dell’est, per loro storia, non avevano alcuna intenzione di cooperare tra di loro e, quindi, gli accordi di vicinato coglievano quel bisogno di bilateralismo accentuato tra singoli paesi e Unione Europea.
Per il sud occorreva fare esattamente l’opposto nel senso che l’Europa avrebbe dovuto favorire l’integrazione sud- sud e questo nell’interesse dello sviluppo e degli scambi economici, nella creazione di infrastrutture e di politiche comuni e anche nella possibilità di dare più forza alle parti sociali e alle società civili contro la forza dei regimi che si nutrivano anche di una chiusura e di una retorica nazionalistica.
Competizione o cooperazione?
La politica di vicinato per il sud ha, al contrario, esasperato il bilateralismo nei rapporti con l’Europa,ha messo ancora di più in competizione questi paesi tra di loro fino all’imbarazzante paradosso che,proprio nei giorni della cacciata di Ben Alì, l’Unione Europea stava per conferire alla Tunisia lo status di “partner privilegiato”.
Unione per il Mediterraneo
L’Unione per il Mediterraneo (UPM), inaugurata da Sarkozy nel 2008, si aggiunge a questo quadro già in crisi con lo scopo dichiarato di rilanciare l’intero processo, in realtà con l’intento di accentuare fino alle estreme conseguenze la dimensione intergovernativa della politica euro-mediterranea.
Vale la pena ricordare il ruolo insignificante della Spagna che pure era stata artefice del processo di Barcellona, all’inizio sulla difensiva perché vedeva messo in causa il Partenariato da lei promosso nel 1995, poi opportunisticamente accondiscendente, paga di aver ottenuto la sede del Segretariato dell’UPM a Barcellona.
All’inizio l’idea di Sarkozy era quella di sganciare completamente l’UPM dalle politiche comuni europee e di prevedere l’Unione solo tra i paesi Mediterranei, sia europei che del sud.
Anche in questo contesto egli non prevedeva di utilizzare strumenti previsti dal trattato, quali le cooperazioni rafforzate che non necessariamente dovevano coinvolgere tutti i 27 paesi dell’Unione Europea.
Egli pretendeva di attingere risorse dal bilancio dell’Unione e indebolire, per questa via, il ruolo della Commissione europea la quale, a sua volta, non ebbe reazioni degne di memoria.
Fu la Germania a mettersi di traverso e a costringere Sarkozy a una mediazione che dette vita a un vero e proprio mostro istituzionale.
Come si può ben capire, tra dispute e mediazioni, venne meno anche lo spirito iniziale e ci si dimenticò completamente di ciò che si voleva fare insieme.
Il segretariato, organo tecnico-politico, che avrebbe dovuto sostituire il ruolo della Commissione europea nella preparazione dei progetti, andò in panne appena costituito, mettendo in crisi l’intero meccanismo.
Era prevista, infatti,la presenza, tra gli altri, di israeliani e palestinesi, ma lo scoppio della guerra a Gaza impedì loro di sedere allo stesso tavolo.
Quello che continuava a essere visibile, ancorchè inefficace, era la co-presidenza incarnata dal binomio Mubarak-Sarkozy che, dopo la rivoluzione di piazza Tahir non ha per nulla giovato all’immagine del presidente francese.
Anche la co-presidenza che Sarkozy è riuscito a mantenere per sé era stata essa stessa frutto di duri negoziati perché, negli accordi per la costituzione dell’UPM, era previsto che la presidenza europea dovesse ruotare semestralmente.
La Francia ha mantenuto la presidenza, ma i dossier vengono tutt’ora inviati in prima battuta alla presidenza di turno, questo per spiegare quanto tutta la costruzione istituzionale sia divenuta barocca e demenziale, funzionale forse a dare un lustro del tutto apparente alla Francia nel Mediterraneo.
L’assemblea parlamentare
Il quadro istituzionale euromediterraneo vede anche il ruolo di un ‘assemblea parlamentare. Già il partenariato euro-mediterraneo richiamava alla creazione di un’assemblea parlamentare congiunta, ma essa fu promossa con grande ritardo dal Parlamento europeo.
Oggi essa esiste e viene denominata assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo.
C’è da augurarsi che essa potrà giovarsi di nuove e più legittime rappresentanze da parte dei paesi del sud rispetto a un passato in cui le presenze parlamentari del sud erano anch’esse determinate dai regimi.
Tutto ciò spiega anche l’ansia di Sarkozy di rifarsi una verginità come paladino delle rivoluzioni arabe, sfruttando l’occasione della guerra in Libia.
La cronaca di questi giorni parla da sola.
L’invasione dei migranti è l’unico assillo per il governo italiano e per la maggior parte della politica, la Francia reagisce come avrebbe reagito l’Italia e si è arrivati al blocco dei treni, metafora della crisi del progetto europeo.
Un caos dove tutti sono contro tutti e invocano l’Europa quando sanno bene che proprio per responsabilità dei governi l’Europa non ha una politica comune sull’immigrazione.
Il quadro che emerge segnala che i primi a dover essere messi sotto pressione da un’iniziativa congiunta sono proprio i governi europei.
Anche perché le fasi più difficili arrivano ora e si tratta di portare le rivoluzioni a un esito positivo sia sul terreno sociale che su quello della democrazia e delle libertà, a cominciare dai diritti delle donne.
L’Europa, da parte sua, dovrebbe rivedere completamente la sua politica cominciando con il sostenere i soggetti protagonisti delle rivolte nel mondo arabo.
Non credo che i governi europei, co-protagonisti di questo disastro, siano in grado di cambiare punto di vista e strategie nei confronti del mondo arabo.
Per questo è importante non delegare e far emergere in pieno il ruolo delle società civili.
Costruire legami non sporadici con le soggettività politiche che stanno emergendo nei paesi arabi è la premessa indispensabile per immaginare nuovi percorsi in discontinuità con il passato anche recente.
Non sembri questo un mero richiamo metodologico perché, se qualcosa deve cambiare nelle relazioni mediterranee, è proprio l’idea che i paesi del sud debbano essere destinatari delle politiche europee e non artefici di politiche comuni.