TESTIMONI

Tu non uccidere

Mazzolari, un uomo libero del Novecento.
Il suo ritratto nell’opera di Anselmo Palini.
Sergio Paronetto (Vice presidente Pax Christi Italia)

Molti sono i libri su Primo Mazzolari. Che cosa c’è di nuovo nel testo di Anselmo Palini, Primo Mazzolari. Un uomo libero (Ave, Roma 2009)? C’è il collegamento diretto tra Mazzolari e le principali vicende del Novecento: le guerre mondiali, il fascismo, l’avventura coloniale, i Patti lateranensi, le leggi razziali, la resistenza, le dittature dell’est europeo, la guerra fredda, la corsa agli armamenti, l’annuncio del Concilio. Tra condizionamenti e innovazioni, freni e slanci, la vicenda biografica di don Primo viene vista non solo come l’itinerario travagliato di una coscienza inquieta ma anche come “un capitolo della storia della teologia morale del Novecento”.

Mazzolari e Roncalli
La postfazione di Loris Capovilla, segretario di Roncalli prima patriarca di Venezia poi papa Giovanni XXIII, contiene la “Lettera a don Primo Mazzolari” scritta il 12 aprile 2008 per celebrare amichevolmente il 49° anniversario della morte di don Primo (la Lettera è anche in “Impegno” n.2, novembre 2008), che testimonia il legame intenso tra Roncalli e Mazzolari. Capovilla ricorda che il patriarca di Venezia, dopo aver letto il corsivo di Mazzolari “Vedere con bontà”, pubblicato su “Il Popolo” del 3 febbraio 1955, diede inizio a uno scambio epistolare “rivelatore di una intesa profonda” sul tema della giustizia e dell’amore per i poveri. Roncalli inviava a Mazzolari una sua esortazione “Per un rinnovamento spirituale”, scrivendo che nelle parole di Mazzolari egli vorrebbe potersi “avvolgere come e meglio che nel suo mantello”. Che salto rispetto alle accuse rivoltegli dalla gerarchia vaticana, pensando soprattutto all’incontro del 4 febbraio 1959, famoso per il saluto roncalliano alla “tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”!

Ubbidendo in piedi
Primo Mazzolari, durante e dopo la I guerra mondiale cappellano militare, matura gradualmente una sapienza di pace radicale. Dal 1943 collabora con la resistenza. Nel 1949 fonda e dirige «Adesso». Dopo la vittoria democristiana del 18 aprile 1948, gli anni Cinquanta vedono lo scontro dei blocchi contrapposti, la guerra di Corea, la crisi di Suez, l’invasione dell’Ungheria. Nel 1948, pur dissentendo da Guido Miglioli e da Adriano Ossicini, Mazzolari sente la necessità di gettare ponti verso i “lontani”. Non lo convince il trionfalismo del mondo cattolico identificato con la “civiltà occidentale”. Più volte fermato con duri provvedimenti ecclesiastici ma sostenitore di un’obbedienza responsabile (“Nella Chiesa si ubbidisce in piedi, con pura parola e libero silenzio”, scrive su «Adesso» nel 1955), Mazzolari trova un estimatore nell’arcivescovo di Milano, mons. Montini, che nel 1957 lo vuole tra i predicatori della Missione ambrosiana. Con lui predicano David Maria Turoldo (che andrà a trovarlo spesso a Bozzolo), Ernesto Balducci, Luigi Santucci, Camillo De Piaz, Umberto Vivarelli, Nazareno Fabbretti. Sono anni in cui Mazzolari prende contatto con Lorenzo Milani, Giorgio La Pira, Igino Giordani, Zeno Saltini: una bella famiglia di credenti pensosi e attivi!. La pace e i poveri, temi centrali per don Primo, sono ben evidenziati nel testo di Palini. Sul tema della pace, dopo l’innovazione contenuta nella risposta a un aviatore nel 1941, è il 1950 l’anno della svolta. L’eventualità di un conflitto nucleare lo spinge a sottoscrivere l’Appello di Stoccolma dei “Partigiani della Pace” e a proporre un’ardita riflessione sull’obiezione di coscienza.

Cristiani, figli della pace
Il cristiano “è un uomo di pace, non un uomo in pace” egli scrive in Tu non uccidere, testo centrale della cultura di pace di ogni tempo. Per Mazzolari, il dramma dei credenti è la fedeltà al Dio della pace. Anzi,la guerra è il vero ateismo. In essa, Dio è manipolato e bestemmiato. Qualche cristiano “dimostra di non aver ancora rinnegato quest’orribile insegna dell’eresia temporalistica che ride volentieri dei profeti disarmati. Le pagine meno chiare della storia della cristianità furono scritte allorché prevalse questo materialismo orpellato di spiritualità sempre in lotta contro lo Spirito”. Il cristiano è sempre in contraddizione col Vangelo. Egli si pone domande radicali: “Non è forse una contraddizione, che dopo venti secoli di Vangelo gli anni di guerra siano più frequenti degli anni di pace? Che sia tuttora valida la regola pagana: ‘si vis pacem, para bellum’? Che l’omicida comune sia al bando come assassino, mentre chi, guerreggiando, stermina genti e città sia in onore come un eroe? Che una guerra possa portare il nome di giusta o di santa, e che tale nome convenga alla stessa guerra combattuta dall’un campo o dall’altro per opposte ragioni? Che s’invochi il nome di Dio per conseguire una vittoria pagata con la vita di milioni di figli di Dio?”. I cristiani, ricorda Origene, sono “figli della pace”.

L’attesa della povera gente
Alla pace sono rivolte, soprattutto, “l’attesa e la sofferenza della povera gente”. Non basta custodirla nell’intimo o predicarla saltuariamente. Va organizzata in prima persona. Oggi, infatti, la guerra è “sempre criminale”, “sempre ‘inutile strage’”, “una trappola per la povera gente”. Oltre che ingiusta, è “profondamente immorale” ma “la stessa preparazione bellica è immorale perché spinge automaticamente l’avversario alla corsa agli armamenti”. La guerra diventa “uno svenamento di ricchezze prima; di sangue poi; uno sperpero di beni”. Un furto ai poveri, diranno Paolo VI e altri testi ecclesiali. La pace è un “bene universale, indivisibile”. “È una parola che non sopporta aggiunte: è una parola cristiana. Da quando i cristiani si sono messi a ragionare sulla pace, a porre delle condizioni ragionevoli alla pace, a mettere davanti le loro giustizie, non ci siamo più capiti, neanche in cristianità, ed è stata la guerra”.

Nonviolenza, politica e profezia
La nonviolenza è profezia immersa nella politica. Per don Primo, nonviolenza significa “rifiuto attivo del male”, “testimonianza resa alla verità fino alla conversione del nemico”. È “la rotta del realismo politico”. “La nonviolenza è la cosa più nuova e la più antica; la più tradizionale e la più sovversiva; la più santa e la più umile; la più sottile e difficile e la più semplice; la più dolce e la più esigente; la più audace e la più saggia; la più profonda e la più ingenua. Concilia i contrari nel principio; e perciò riconcilia gli uomini nella pratica […] Ha bisogno di profonde radici e di duri propositi, in cui l’azione profetica, che desta e mobilita le coscienze, anticipi le istanze che l’azione politica gradualmente e tempestivamente deve tramutare in impegno. L’azione profetica, che esplode da un’intima e incontenibile commozione e porta a una decisa rottura con qualche cosa che non si riesce più a fare nostro nel senso umano e cristiano, non si organizza; si organizza, invece, l’azione politica, che si sforza di concretare in nuove strutture le anticipazioni del profeta. Però, dove la coscienza non si leva in piedi audacemente, pronta e decisa ad affrontare il rischio della pace, ogni tecnica politica è destinata all’insuccesso”. La nuova riflessione di Palini è un invito a levarsi in piedi, “ribelli per amore” contro guerre e povertà, con le armi della fede e della giustizia. Il Concilio Vaticano II ha trovato nell’opera di don Primo una delle fonti più autorevoli. Possiamo esserne gli eredi testimoniando che “crediamo nella pace perché crediamo nell’amore”.

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