PAX CHRISTI

Tra la gente di Kirkuk

Note di viaggio in Iraq: alcuni delegati della sezione italiana di Pax Christi nella terra di Abramo.
Giovanni Giudici

Dal 4 al 14 giugno scorso una delegazione di Pax Christi Italia è stata in Iraq. A guidarla era il presidente, mons. Giovanni Giudici, con lui don Renato Sacco, consigliere nazionale che è stato più volte in Iraq, Giuseppe Ferro, diacono della diocesi di Novara e il dott. Roberto Dionigi di Pavia. In queste pagine pubblichiamo qualche stralcio dei commenti scritti a caldo, appena rientrati, dai membri della delegazione. Ci riserviamo di dare ampio spazio all’Iraq, magari con dossier, in uno dei prossimi numeri di Mosaico di Pace.

“Il giorno della partenza; singolarità di leggi e regolamenti internazionali: il viaggio in Iraq viene fortemente sconsigliato dal ministero degli Esteri. Giustamente si pongono grandi difficoltà per il visto ufficiale di ingresso nel paese. E, invece, per giungere alla città di Kirkuk, al nord dell’Iraq, non sono richiesti documenti speciali: prendi il biglietto aereo e parti. La singolarità della situazione è dovuta alla presenza, nel nord dell’Iraq, di una sorta di zona franca, il Kurdistan iracheno, con una propria soggettività amministrativa e una certa autonomia politica e economica. (…)
Anche al ritorno vi è uno stile di partenza singolare; dopo i controlli della polizia locale e del personale della compagnia aerea, un uomo della polizia austriaca ricontrolla i passaporti, confronta la foto del documento e il volto della persona. E consente l’ingresso nella linea di imbarco immediato sull’aereo.
Eccellente il viaggio. Accoglienza puntuale e perfetta. Splendido aeroporto: ampio, semivuoto, elegante. Viaggio in macchina di trasferimento a Kirkuk. Si comincia a vedere l’Iraq. Galleggia sul petrolio, con le fiamme dei pozzi naturali visibili a poca distanza dalle strade.
Arrivo alla sede del vescovo: mons. Louis Sako. Si manifesta un ospite attento, sia per la volontà di accoglierci e di condividere, sia per la sua capacità di renderci partecipi della rete di rapporti, ecclesiali, civili e interreligiosi che egli evidentemente vive quotidianamente.
Per tutta la nostra permanenza in Iraq ci accompagna o personalmente oppure con i consigli per gli spostamenti. Ci segue dovunque con simpatia.
Messa nella cappella del vescovado. Una piccola comunità fedele accanto al vescovo che celebra l’eucarestia in un giorno qualunque. Bambini attentissimi, mamme, papà, anziani, le suore domenicane, che impareremo ad apprezzare per la freschezza e lo stile di vita.
I sorrisi della gente ci davano il primo benvenuto. Mons. Sako ci fa incontrare simpatia per il calore con cui ci presenta. Veniamo invitati a conoscere la situazione attraverso la visita delle famiglie. Si comincia a percepire la sofferenza di un popolo. In una casa ecco la fotografia di un familiare che fa parte dei “martiri”, di coloro cioè sono rimasti vittime degli attentati ‘casuali’, sui mezzi pubblici. Ritroviamo la stessa dizione per quanti sono morti uccisi per l’assalto alle chiese cristiane o per assassinio che colpisce la persona del prete o del vescovo, insomma del testimone.
Incontriamo la vita normale di famiglie con i problemi di lavoro, con giovani e adolescenti troppo in casa perché fuori la situazione è insicura, con bambini malati. Vi è la famiglia vittima di rapimenti per motivi politici e la famiglia vittima di rapimento perché ricca.
Lo sfondo è una città ferma, check-point frequenti, percorsi obbligati per i massi di cemento armato a chiusura di strade, a favorire il controllo dei percorsi dei veicoli. Persone armate, con o senza divisa, presidiano edifici ecclesiastici e di amministrazioni civili. Spesso, siamo accompagnati da persone armate di mitragliatore, per la sicurezza. (…) Incontriamo anche il responsabile provinciale degli imam sunniti. Poi è la volta della visita alla curia sciita. (…)
Si apprezza la pacatezza ma anche la soddisfazione di mons. Sako sia per la nostra presenza che per il dialogo che può impostare con gli imam e i loro collaboratori. È evidente l’interesse per persone che rappresentano una Chiesa europea e una nazione estera.
(…) È possibile fare una sintesi di sentimenti, emozioni, considerazioni dopo un viaggio di soli cinque giorni? Evidentemente no. Tuttavia, volendo consegnare qualche riflessione complessiva, per quanto parziale, cerchiamo di svolgere tre punti.
Le condizioni del paese
Ciò che appare subito con chiarezza, è la forza della globalizzazione. Essa opera attraverso l’attrazione degli stili di vita, accolti e facilmente assorbiti attraverso l’ubiquitaria presenza della televisione e del computer. Tutto qui si compera facilmente perché c’è il petrolio. Sembra essere la risorsa più facilmente alla mano; di qui lo sviluppo disarmonico della città, la regionalizzazione dello stato per poterne usufruire.
Si ha la consapevolezza di vivere in un territorio ricco anzi ricchissimo predestinato forse a sacche di opulenza e ricchezza ma incatenato a una arretratezza tecnologica per la quale rimane in ostaggio dell’occidente .
Molti investimenti e sviluppo che, a prima vista, sembrano al limite del buon senso. Immensi quartieri costruiti o in via di costruzione. Ma chi li abiterà? E quali sono le reali possibilità di sviluppo?
Intanto su tutto domina un fatto: il prodotto interno lordo del Paese è aumentato di dieci punti rispetto allo scorso anno, e tutto in forza della vendita del greggio.
La complessità della situazione politica e le insidie della situazione sociale
Nella zona da noi visitata è presente in maniera diffusa la popolazione di etnia curda. Sembrano meno evidenti tracce di settarismo religioso, tuttavia la sicurezza è assicurata da frequenti controlli di polizia, esercito, milizia curda (Pashmerga). La presenza costante di armati, la grande quantità di punti di controllo presidiati da armati, conferma il discorso spesso ripreso dai nostri ospiti: non ci si può spostare con tranquillità, anzi vi sono alcune città che sono località pericolose, dove non si è sicuri di poter vivere una giornata senza sparatorie e attentati.
Il cammino della pace
È un impegno complesso e difficile; per noi il referente locale è stata la Chiesa cattolica nelle due versioni, caldea e siriana. Caratteristiche di antichità e di nobiltà sono evidenti. Inoltre, se si considera che da più di un millennio queste comunità cristiane vivono in un territorio dominato da governi che si rifanno alla legge islamica, si comprende bene che sono chiese di martiri.
È evidente lo stile di testimonianza, ma si colgono anche i germi della tentazione di autoemarginazione delle comunità che si chiudono nelle proprie terre. Ciò è certamente causato da esperienze tragiche verificatesi nel passato e anche negli anni recenti. Si incontrano così i cristiani nei villaggi, ma anche nei nuovi quartieri cristiani che sorgono, anche per invito delle autorità politiche e dei capi dei gruppi etnici. Qui vi è evidentemente il pericolo di insignificanza sociale e culturale.
Positivo il fatto dei molti i contatti avuti, dei vari i momenti di confronto e di dialogo che abbiamo avuto sia con comunità cristiane sia con comunità religiose non cristiane. Molto utili si sono rivelate le visite a semplici famiglie, come pure il dialogo con le autorità religiose. Noi siamo stati arricchiti dal confronto con situazioni e persone; abbiamo avuto la sensazione di aver incoraggiato, già con la sola nostra presenza, le persone disponibili all’incontro, a proseguire sulla strada del dialogo, offrendo occasioni di visita, di testimonianza del nostro interesse per quel paese, a prescindere dalla nostra appartenenza alla chiesa cattolica, e di confronto.
La nostra presenza ha consentito visite alle autorità locali dei sunniti e degli sciiti. Accoglienza molto cordiale e grande il rispetto. Sui temi della religione e della pace si avverte l’attenzione a mandare un messaggio corretto, che superi la deformazione di una religione violenta o che persegue la guerra e la distruzione dell’altra parte.
La valutazione che si avverte sottostare alla cordialità e al rispetto, appare ambivalente. Viene valutata molto la realtà mitica del Vaticano, interpretato probabilmente come un potere politico e mediatico di notevole forza. Tuttavia la presenza di questi cattolici che vengono da lontano, è occasione per riflettere meglio sui diritti dell’altro.
Determinante è la presenza in loco di una persona che ha a cuore la costruzione della pace; in questo caso, mons. Louis Sako comprende bene che il futuro sta nella collaborazione interreligiosa, nella evoluzione spirituale di tutte le religioni presenti, così che l’aspetto di vita civile sia distinto dalla dimensione religiosa della persona e della società.

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