L’anello forte
Eppure, un cambiamento di rotta è possibile.
“Finmeccanica deve focalizzare la sua attività sui mercati emergenti”. Il neo amministratore delegato, Giuseppe Orsi, non lascia dubbi sulle nuove strategie del gruppo. Nella conferenza stampa al recente Salone dell’Aerospazio di Le Bourget ha aggiunto: “Dobbiamo aumentare la nostra presenza in paesi-chiave come India, Cina, Turchia, Russia, Brasile e Medio ed estremo Oriente. Tutto ciò, anche perché il budget del governo statunitense per la Difesa in proiezione si abbasserà”.
L’industria militare
Nonostante il consistente calo degli ordinativi dall’estero registrato nel 2010, l’industria militare italiana mantiene e, anzi, incrementa la propria attività nel settore dell’esportazione di armamenti. I dati resi noti lo scorso marzo dalla Relazione annuale della Presidenza del Consiglio relativi alle esportazioni di materiali militari italiani vanno letti con attenzione: se è, infatti, vero che nel 2010 si è registrata una flessione del 41% delle autorizzazioni all’esportazione che sono scese dagli oltre 4,9 miliardi di euro del 2009 ai poco più di 2,9 miliardi di euro del 2010, è però altrettanto vero che – come spiega la stessa relazione – “il minor livello di autorizzazioni rilasciate, rispetto al 2009, va attribuito da un lato al progressivo esaurimento di alcuni programmi governativi europei di cooperazione (militare, ndr) e dall’altro a un minor numero di commesse internazionali correlabile alla difficile congiuntura economica” (p. 27). Non va poi dimenticato che il forte incremento di ordinativi militari del 2009 aveva segnato un record ventennale con un’impennata del 61% dai poco più di 3 miliardi di euro del 2008 agli oltre 4,9 miliardi di euro del 2009. Quindi, il dato del 2010 più che un calo rappresenta una stabilizzazione degli ordinativi attorno a una cifra (3 miliardi di euro) che già in se stessa costituisce un valore di assoluta rilevanza sia in ambito europeo che internazionale.
Ma ancor più significativo appare un altro dato: a fronte della conclamata crisi economica internazionale l’industria militare italiana nel 2009 ha lavorato a pieno ritmo per far fronte sia alle nuove commesse sia a quelle già autorizzate negli anni precedenti, tanto che le consegne effettive di armamenti nel 2010 hanno raggiunto la cifra record degli ultimi vent’anni: si tratta quasi 2,8 miliardi di euro, rispetto ai 2,2 miliardi di euro del 2009, con un incremento quasi del 25%. Il trend delle effettive consegne di materiali d’armamento è in costante crescita nell’ultimo decennio: si passa – in valori costanti – dai circa 500 milioni di euro del 2004 a quasi 2,8 miliardi di euro nel 2010, con un incremento in otto anni pari al 460% (cfr. grafico 1). Detto in parole semplici, il comparto militare dell’industria italiana, pur dovendo confrontarsi con la crisi economico-finanziaria mondiale che in questi anni ha messo in ginocchio diverse attività di numerose aziende italiane (dalla Fiat a Fincantieri giusto per citare le più conosciute), ha sicuramente mantenuto, e per diversi aspetti anzi rafforzato, la propria capacità esportativa e il proprio “dinamismo internazionale”, soprattutto in alcuni particolari “mercati di interesse”: Medio Oriente e Nord Africa.
I principali clienti
A risentire della crisi finanziaria sono state, infatti, soprattutto le economie avanzate del nord del mondo e, principalmente, i paesi dell’Unione Europea e della Nato. È proprio in quest’area che nel 2010 si è registrato un vero crollo degli ordinativi militari italiani e di conseguenza delle autorizzazioni governative: si è passati dagli oltre 2,3 miliardi di euro di autorizzazioni all’export del 2009 ai poco più di 979 milioni di euro del 2010 che segnano più che un dimezzamento (meno 57,4%) in un solo anno.
Nel 2010 i principali acquirenti di armamenti italiani sono stati i paesi del nord Africa e medio Oriente. Verso i governi dei paesi di quest’area sono state rilasciate autorizzazioni all’esportazione per un valore complessivo di oltre 1,4 miliardi di euro (il 49,1%) cioè il doppio di quelle rilasciate ai paesi europei (compresa la Turchia) che sommano a meno di 715 milioni di euro (il 24,6%) e quasi il quintuplo di quelle per i paesi del nord America che non superano i 302 milioni di euro (il 10,4%). “Dopo diversi anni di moderata crescita, la presenza dell’industria italiana per la difesa in alcuni mercati del Vicino e soprattutto del Medio Oriente si è sostanzialmente rafforzata” – afferma con chiaro orgoglio il ministro Frattini nella sezione di sua competenza della Relazione governativa.
I “principali partners commerciali” dell’industria militare italiana sono stati, infatti, nel 2010 gli Emirati Arabi Uniti (477 milioni di euro di autorizzazioni per armamenti) seguiti dall’Arabia Saudita (432 milioni di euro) e – si noti – dall’Algeria per 343 milioni di euro che, secondo il rapporto della presidenza del consiglio, consisterebbero in non ben specificate “apparecchiature elettroniche”, mentre da un nostro incrocio dei dati si tratta soprattutto di forniture da parte dell’Agusta.
Rimanendo nell’area nord africana, va notata la riduzione di commesse da parte della Libia (quasi 38 milioni di euro rispetto ai 112 milioni del 2009): al regime di Gheddafi sono, però, stati consegnati fino al dicembre scorso oltre 100 milioni di euro di armamenti tra cui “bombe, siluri e razzi” già autorizzati in precedenza e “veicoli terrestri” e “aeromobili” di nuove commesse. Nessuna segnalazione, invece, delle oltre 11mila armi semi-automatiche del valore di circa 7,9 milioni di euro prodotte dalla ditta Beretta e consegnate alla Direzione armamenti della Pubblica Sicurezza del rais libico.
Tornando alle esportazioni militari, se nel 2010 hanno visto un forte calo gli ordinativi dell’Egitto (sommano a meno di 11 milioni di euro) le armi effettivamente consegnate al Cairo hanno, invece, superato i 45 milioni di euro. Discorso simile anche per il Marocco che, nel 2010, ha ricevuto autorizzazioni per circa 11 milioni di euro, ma ha ricevuto consegne di materiali militari per quasi 59 milioni di euro. Passando all’area medio orientale, vanno segnalate le vendite di armi all’Oman: si tratta di autorizzazioni per oltre 79 milioni di euro e di consegne per quasi 45 milioni di euro. Il Qatar ha ricevuto armamenti italiani per quasi 68 milioni di euro, mentre le autorizzazioni sono state di appena 5,6 milioni di euro ma – si noti – solo per “armi di calibro superiore ai 12,7 mm”. Al Kuwait sono state autorizzate commesse per 33 milioni di euro e a Israele per circa 1,3 milioni di euro.
E le banche?
Potrebbe gettare nello sconforto chi per anni si è impegnato a chiedere agli istituti di credito italiani direttive rigorose in merito al finanziamento alla produzione di sistemi militari e ai servizi per il commercio di armi. Invece, il crescente volume di affari nelle operazioni per l’esportazione di armamenti italiani da parte di diverse banche estere indica innanzitutto un successo. È stato, infatti, raggiunto un primo obiettivo da parte della campagna di pressione alle “banche armate”: quello, cioè, di aver portato tutti i principali gruppi bancari nazionali a definire regole sufficientemente precise e abbastanza trasparenti in materia di finanziamento all’industria militare e ai servizi all’esportazione di armi.
Obiettivo che non era affatto scontato più di dieci anni fa quando, alla vigilia del Grande Giubileo del 2000, tre riviste del mondo missionario e pacifista (Missione Oggi dei saveriani, Nigrizia dei comboniani e Mosaico di pace di Pax Christi) lanciavano questo appello ai propri lettori: “Scrivere alla direzione generale della propria banca chiedendo di essere trasparenti. Cioè di confermare o smentire per iscritto il coinvolgimento dell’istituto – attraverso finanziamenti o il semplice appoggio – in operazioni di esportazione di armi. E sollecitare la banca a un nuovo orientamento più attento alla redistribuzione del credito a favore dell’economia sociale e delle fasce più povere della popolazione. La risposta verrà resa pubblica”.
L’appello è stato raccolto negli anni da diverse associazioni della società civile e da numerosi correntisti che si sono impegnati a scrivere alla propria banca tenendo monitorate – grazie anche alle informazioni rese note dalla Relazione annuale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di armamenti puntualmente rilanciate dalle tre riviste – le attività bancarie collegate al commercio di sistemi militari italiani. E i risultati non sono mancati.