Progetti folli
Il Joint Strike Fighter (F35) è un caccia multiruolo di quinta generazione: un aereo da combattimento monomotore e monoposto ottimizzato per il ruolo aria-terra (quindi per l’attacco) progettato con due stive interne per le bombe che possono essere anche di tipo nucleare. È un velivolo di tipo stealth, cioè a bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e di altri sensori, con capacità di operare come parte integrante di un “Sistema di sistemi”, ovvero di una combinazione di combattimento, raccolta di intelligence, sorveglianza dei teatri operativi e capacità di interagire con i sensori terrestri e aeroportuali. L’F35 sarà sviluppato in tre versioni (di cui una a decollo corto e atterraggio verticale per portaerei) all’interno di un progetto realizzato in cooperazione da Stati Uniti e altri 8 partner: Regno Unito (primo livello), Olanda (secondo livello) e Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca (terzo livello). Il programma condiviso dai paesi partner ha previsto inizialmente la costruzione di 3.173 aerei, dei quali 2.433 sono per gli USA: l’Italia avrebbe una quota di acquisto di 131 esemplari.
Nel nostro paese si è iniziato a parlare del progetto nel 1996 e tutti i passaggi decisionali successivi (con governi di differente colore) hanno confermato la nostra partecipazione. Tuttora, però, non è stato firmato un contratto definitivo con costi e quantità certi. In realtà, l’attuale crisi finanziaria ha messo in ginocchio i governi di tutto il mondo a tal punto che, alla fine del 2010, in tanti hanno deciso di tagliare anche le spese militari: la Gran Bretagna ha annunciato riduzioni dell’8% pari a 5,3 miliardi di euro in 4 anni, la Francia del 15% risparmiando 5 miliardi in tre anni, mentre la Germania ha deciso di risparmiare 4,3 miliardi di euro, pari al 13,9% delle sue spese militari complessive. In particolare la Gran Bretagna ridurrà sistemi d’arma come i nuovi caccia F35 e gli Eurofighter del quale eliminerà la tranche 3B. La Danimarca ha congelato per due anni la sua partecipazione al programma F35.
Anche oltre oceano, per ridurre il debito pubblico americano, si procederà con tagli annui di 100 miliardi di dollari al bilancio della Difesa a partire dal 2012. Un quarto dei risparmi proposti deriverebbe da sistemi d’arma avviati sulla scia degli eventi dell’11 settembre ma rivelatisi spesso inutili. Tra questi, la versione per i Marines dell’F35-B a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl), il cui taglio dovrebbe far risparmiare 17,6 miliardi di dollari nel quadriennio 2011-2015. Inoltre, è stato suggerito di sostituire la metà dei JSF programmati per la Us Air Force con F16 e per la Us Navy con F18 in modo da risparmiare 9,5 miliardi da oggi al 2015.
I problemi del JSF
Il progetto si è rilevato lacunoso da più punti di vista. Bacchettate alla Lochkeed Martin (capocommessa del progetto) e alla cordata di aziende produttrici (tra cui Alenia Aeronautica e diverse altre della galassia Finmeccanica) sono arrivate anche da organismi come il Government Accountability Office (GAO), un’agenzia indipendente che supporta il Congresso USA nel monitoraggio dell’azione del governo federale, simile alla nostra Corte dei Conti. Il GAO ha sempre controllato il progetto del JSF denunciandone l’aumento dei costi, i ritardi nella produzione, lo scarso numero di collaudi oltre a veri e propri incidenti e fallimenti tecnici.
Nell’ultimo rapporto dedicato all’F35 (maggio 2011), gli esperti del GAO hanno sottolineato come i costi di sviluppo siano cresciuti del 64% rispetto alle stime iniziali mentre il costo di acquisto previsto (a oggi) di ogni singolo aereo sia ormai raddoppiato. Il tutto quando ci si trova ancora (dopo 12 anni di lavoro) in una fase di progettazione e test che lascia spazio a incertezze e a probabili aumenti.
Un crescendo di problemi che ha messo nei guai Lochkeed Martin con un programma che, dopo i dubbi espressi da paesi come Norvegia e Danimarca, ha dovuto incassare posizioni negative anche in Gran Bretagna e Canada, dove diverse voci si sono recentemente levate contro una spesa inopportuna e non preventivabile.
Va comunque ricordato che i costi di mantenimento di alcuni velivoli militari (ricambi, sistemazioni, addestramenti dei piloti, gestione ordinaria a terra) sono ben più alti degli assegni staccati per il semplice acquisto: secondo il New York Times, che richiama il ministero della Difesa, l’operatività dei 2400 JSF a stelle e strisce costerà in complesso 1000 miliardi di dollari a fronte della spesa di acquisto di “soli” 382 miliardi. I costi di mantenimento e supporto sarebbero, quindi, in media del 33% più alti se comparati con quelli per i vecchi F16 e F18. Lo stesso Pentagono li ha definiti costi “inaccettabili”.
Il tira e molla italiano
Di questa situazione problematica, alla politica italiana e alla nostra opinione pubblica industriale poco importa. Si continua ad affrontare il problema senza partire dai dati bensì come scelta “di bandiera”. La maggiore bugia è quella relativa al ritorno occupazionale e tecnologico che il progetto F35 Joint Strike Fighter avrebbe portato al nostro paese. Una bugia efficacemente demolita dai dati recenti oramai noti: “… il costo medio per singolo esemplare si aggira intorno ai 170 milioni di dollari, senza i propulsori. Il 79% in più rispetto al costo unitario di 94,8 milioni di dollari calcolato nel giugno 2006 dal Centro Ricerche del Congresso USA e il 174% in più rispetto al costo iniziale di 62 milioni di dollari previsto dalla Lockeed Martin” (Gianni Aliti, Fim-Cisl). Le ultime stime di costo diffuse dal Pentagono parlano di 133 milioni di dollari per esemplare. Ai costi attuali l’acquisto dei 131 aerei F35/JSF comporterebbe per l’Italia una spesa di oltre 17 miliardi di euro, a cui bisognerebbe aggiungere i costi dei propulsori, stimabile in 7,3 milioni di dollari ad esemplare: “calcolato in euro e moltiplicato per il numero degli aerei in acquisto con i soldi dei contribuenti italiani sono altri 735 milioni di euro”. Se aggiungiamo poi i soldi già spesi per le prime fasi di sviluppo e per la costruzione delle strutture di Cameri, otteniamo un conto complessivo di 20 miliardi di euro. A cui si aggiungano i tempi di produzione: le difficoltà finanziarie e gli intoppi di natura tecnica porteranno questi certamente a ulteriori ritardi rispetto alla tabella di marcia: “questo significa che la fase di sviluppo e progettazione invece di terminare nel 2012 finirà nel 2015. Ciò si rifletterà, di conseguenza, anche sull’avvio della produzione standardizzata a Cameri che era prevista nel 2013”. Con la conseguenza di uno slittamento anche delle attese occupazionali corrispondenti a 1.816 addetti suddivisi in due turni, distribuiti su sei giorni la settimana (come previsto dal sottosegretario alla Difesa Guido Corsetto). A fronte di tutti questi dati, il deficit italiano riguarda anche l’abdicazione della politica, che sembra non voler parlare di questo progetto, lasciando tutto sotto una cortina fumogena e demandando una decisione che impegna così tanti soldi pubblici a tecnici e burocrati. Ne è esempio chiaro l’iter della mozione contro l’acquisto degli F35 presentata sia al Senato (primo firmatario l’ex senatore Veronesi) che alla Camera (primi firmatari gli onorevoli Pezzotta e Sarubbi): in questo ramo del Parlamento la discussione in aula era stata calendarizzata per marzo dando così occasione anche alla campagna NO F35 (che aveva stimolato la presentazione di tali mozioni) di poter far parlare del tema. Tutto cancellato: grazie a pressioni incrociate la conferenza dei capigruppo ha poi tolto dal calendario la discussione e, quindi, ancora una volta il nostro Parlamento ha perso l’occasione di occuparsi di un tema importante di grosso impatto per le casse dello Stato.
Eppure una discussione approfondita sarebbe opportuna... anche perché ci si accorgerebbe che l’alternativa conviene! Quanto? Basta andare a vedere i dati diffusi da tempo dalla Rete Italiana per il Disarmo e dalla Campagna Sbilanciamoci!
O forse a qualcuno interessa più comprare dei giocattoli militari sofisticati piuttosto che ricostruire l’Aquila terremotata o mettere in pista politiche di sostegno a famiglie e lavoratori colpiti dalla crisi?