L'economia delle armi
Perché si pensa comunemente che la parola “armi” faccia rima con “lavoro”?
Quali rapporti, quali investimenti, tra istituti di credito e import- export di armi?
Quale posto occupa, quanto spazio ricopre, nell’economia italiana e nella finanza, l’industria militare?
Don Tonino Bello, già 20 anni fa, parlava di “pacifisti dediti allo studio negli innumerevoli laboratori d’analisi in cui si smaschera la radice ultima di ogni guerra e del suo archetipo di sangue: il potere del denaro”. Sono “dei luoghi dove si formano le nuove generazioni a compilare le letture sovversive della pace […], là dove si coscientizza la gente sulle strategie della nonviolenza attiva e la si educa a vivere in una comunità senza frontiere e senza eserciti”. Ma per porre in opera un mondo disarmato occorre, come primo passo, attraversare l’impervia strada dell’economia e delle armi.
Protagonisti, ambito di lavoro, investimenti, leggi, differenti ma con un comune denominatore: le armi. Si producono, si vendono. E poi, naturalmente, si usano.
Proviamo, in questo dossier, a “mettere in ordine” in quello che si muove proprio intorno alle armi. A partire dagli investimenti per il progetto, previsto a Cameri, per i cacciabombardieri F35. Insomma, proviamo a mettere mani e testa in informazioni che spesso sembrano destinate solo a tecnici ed esperti del settore. A loro abbiamo chiesto un importante contributo e ai diversi autori degli articoli pubblicati nelle pagine seguenti va il nostro grazie per aver saputo sintetizzare, con competenza e spessore ma linguaggi accessibili, temi ostici e complessi.
Ed è solo l’inizio. Perché l’articolo 11 della Costituzione italiana ribadisce il ripudio della guerra. Noi ci crediamo. A tal punto che vorremmo smontare, pezzo per pezzo, questa vera e propria macchina da guerra che è l’economia e la cultura delle armi. Perché pace fa rima con sviluppo, con diritti, con giustizia. Non con armi.