Una politica nuova
Una politica “restituita finalmente alla simpatia della gente”.
Quando si apre quello scrigno meraviglioso degli scritti e dei discorsi di don Tonino, si resta sempre meravigliati non solo del linguaggio e dell’efficacia di immagini, simboli e originalità delle espressioni, ma soprattutto dell’attualità delle riflessioni proposte. Sembra che il tempo non sia passato e che, come per incanto, il fiume dei giorni si sia fissato nell’inchiostro della sua penna. Certo, cambiano i nomi e i riferimenti geografici, la datazione e le citazioni dei fatti, ma resta la verità profonda di intuizioni che pescano nel profondo e non lasciano mai nulla al caso. Molto spesso gli interventi di don Tonino sono sollecitati dagli eventi, dalla vita. Così avviene all’indomani del 7 luglio 1992 quando il sindaco della città di Molfetta viene freddato da un colpo di fucile a canne mozze per non essersi adoperato a facilitare lo svolgimento di un concerto di Nino D’Angelo, come richiesto da una combriccola in odor di mafia. La celebrazione di quelle esequie costituisce un’occasione propizia per riflettere sul ruolo della politica, sul clima dilagante e strisciante di illegalità e sul ruolo della comunità cristiana. Lo fa con il coraggio e la profondità richieste dal fatto di trovarsi davanti alla bara di un uomo colpito a morte e ai suoi familiari. “È il discorso sul malessere della città – fa notare don Tonino. Un malessere che, in modo spesso maldestro, vogliamo rimuovere dalla nostra coscienza e del quale facciamo fatica a prendere atto, forse perché troppo fieri del prestigio del nostro passato. Un malessere che si costruisce su impercettibili detriti di illegalità diffusa, sugli scarti umani relegati nelle periferie, sui frammenti di una sottocultura della prepotenza non sempre disorganica all’apparato ufficiale”. Una lucidità di analisi che, senza allontanare o negare le responsabilità personali, coinvolge l’intera comunità cittadina perché si interroghi e si ridesti a una vigilanza attiva. Perché, commenta il vescovo: “(…) questa è la vera tragedia: che chi ha sparato non è un mostro. Oh, come vorremmo che fosse un mostro, per poter scaricare unicamente sul parossismo della sua barbarie le responsabilità di questo assassinio! Ma chi ha sparato non è un mostro, e neppure un pazzo e forse neppure un criminale nel senso classico del termine. Non è un ‘mostro’. è un ‘nostro’! Un nostro concittadino (…)”. Chiede perdono, don Tonino, a nome di una Chiesa locale che non riesce a imprimere nei destinatari della catechesi “le stigmate benefiche di una cultura di nonviolenza e di pace” . Su questo fronte chiede un impegno più forte a tutte le istituzioni educative per soffermarsi poi sulla politica. Sulla politica che è lontana da quella vocazione che la vorrebbe come “l’attività religiosa più alta dopo quella dell’unione intima con Dio” (G. La Pira). Un richiamo che oggi risulta più attuale di ieri e che diventa esigente e serio. Urgente. Che ha bisogno di essere riletto e interiorizzato non soltanto dagli “addetti ai lavori” che ci rappresentano nelle istituzioni e che sono espressione delle forze politiche. Necessita di essere percepita e vissuta come pratica di partecipazione diffusa. Una politica che ha bisogno di un radicale rinnovamento per essere “intesa come maniera esigente di vivere l’impegno umano e cristiano al servizio degli altri. Una politica sottratta alla lussuria del dominio. Preservata dall’adulterio con i corrotti. Inossidabile alle esposizioni lusingatrici del denaro. Restituita finalmente alla simpatia della gente”.