Ricominciamo
Sono passati i boatos dei referendum e facciamo un po’ di conti politici. Proprio per ridare concretezza alla ripresa – perfino fisicamente percepibile a partire dalle elezioni di Milano e Napoli e dall’esito entusiasmante di una campagna così variegata – di una società che vorrebbe essere più giusta, ma resta in qualche modo anti-politica, andiamo, full immersion, dentro la realtà.
La situazione sarà più dura di auspici e illusioni. Le elezioni amministrative non corrispondono alle politiche, tanto più che, ormai, i conteggi dei voti si fanno sulle percentuali senza tener conto delle astensioni: la possibilità di mantenere il consenso della maggioranza dei cittadini resta ancora dubbia. Un problema è capire come sia possibile trasferire la passione referendaria sul fare politica da parte di quella società civile che, dai girotondi, ai viola, agli arancioni sente la cittadinanza senza assumerne ancora le regole.
Forse non siamo ancora così consapevoli dei disastri compiuti da Berlusconi in quello che, se arrivasse a finire la legislatura, sarà un altro “ventennio”. A fine maggio, rettori e senati accademici sono andati oltre l’orlo della crisi di nervi, perché hanno dovuto prendere atto che “in conformità alla legge” va smantellata “questa” università per rimodellarla a misura Gelmini.
Questo significa che i ragazzini che oggi hanno dieci anni pagheranno qualche migliaio di euro per entrarci: se non si è in grado di prevenire, non si può recuperare, almeno per un certo tempo.
All’inizio degli anni Ottanta la Federal Reserve americana e il governo Thatcher avevano perseguito la via oggi riconosciuta come democrazia totalitaria, vale a dire il privilegio del mercato deregolato a danno del bisogno sociale. Oggi constatiamo che questo capitalismo ha distrutto il welfare per costruire il dominio sullo stato delle banche e del denaro virtuale, mentre lo stesso mercato muore di bolle speculative e periodici “grandi crolli”. La Grecia resta, per l’area euro, un caso “esemplare”.
Tra un paio d’anni potremmo essere noi nelle stesse condizioni.
Intanto le conseguenze del mercatismo – per l’Italia aggravate dall’imprevidenza del governo B. – hanno prodotto mutamenti antropologici: il precariato ha inciso sulla nuda vita dei giovani, ma è stato subìto fino a essere accettato come parte del costume e nessuno è in grado di dire come trasformare un sistema che ha sostituito la produttività con la finanza. Anche le innovazioni tecnologiche, che hanno bisogno di cultura per non essere utilizzate contro l’interesse sociale, fanno scivolare il sistema verso il basso ineluttabilmente. Se si diceva giustamente “lavorare meno lavorare tutti”, una volta respinto ogni sacrificio, oggi viviamo di provvisorietà e di cassa integrazione.
L’Italia sta peggio degli altri paesi. È uno Stato da soli 150 anni, senza senso-dello-stato come responsabilità di cittadinanza. Il passaggio storico attuale, “epocale” per tutto il mondo, in Italia suscita ancor più confusione di idee e comportamenti: nei singoli prevalgono lamentele e sfiducia o esaltazione e voglia di partecipare senza pagare, mentre i gruppi si frammentano e pretendono identità riconosciuta. Bologna, sulle schede elettorali per le comunali, aveva 17 liste, Torino 27.
Abbiamo votato “sì” contro la privatizzazione dell’acqua, ma non va ignorato il deficit degli enti locali. C’è da rifare, da decenni, la rete idrica, perché in Puglia si perde circa il 50% dell’acqua. Allora, come farsi responsabili in periodo di tagli indiscriminati ai diritti sociali? Chiedere rigore fiscale, investimenti sottratti al militare, una tassa di scopo?
I sindaci di Milano o di Napoli, avendo ricevuto solo debiti e ben sapendo che il patto di stabilità ha chiuso i finanziamenti, non potranno mantenere il consenso, se non troveranno sostegno nel popolo. Ma il vero guaio è che Berlusconi e la destra arriveranno alla resa dei conti senza che la sinistra sia unita: perfino l’Udc va a Canossa davanti a un blocco autorevole, senza rivalità e ripicche.
Guardando a un futuro prossimo, se ci saranno elezioni anticipate, bisogna far bene i conti con la legge elettorale. Solo il tradimento della Lega (che l’ha scritta) può cambiarne i termini: chi vince può essere piccolo e superare il secondo arrivato di una sola unità, ma si porta via l’intero piatto. Norma indecente, ma è il dato di realtà. Il desiderio di far valere i programmi rispetto all’enfasi sulle persone è impensabile se le condizioni dell’economia sono imprevedibili (e mentre Pisapia e De Gennaro dimostrano che la personalizzazione della politica si è radicata ovunque).
Tra prepotenti e bugiardi
Siamo vissuti troppo a lungo dentro una società che ha premiato la prepotenza, l’arroganza, la menzogna. La cultura della sinistra non può cedere agli opposti populismi o sopraffare con il gridare televisivo, ma è reale il populismo di sinistra come strategia di semplificazione. Comunque, bisogna assolutamente vincere. Nemmeno io ho in mente come, ma bisogna fin d’ora dirsi che fare politica solo quando “mi piace” e rifiutare ciò che “non mi piace” non è un ragionamento, né etico, né politico.
L’analisi fatta da Draghi prima di lasciare la Banca d’Italia confermava che solo l’Italia in Europa non ha provveduto a una seria politica industriale, a sanare non superficialmente l’evasione fiscale e a intervenire concretamente contro sprechi e corruzione. Di qui l’assenza di provvedimenti a favore della disoccupazione giovanile e femminile, la perdita di priorità della scuola e della ricerca perché almeno in futuro il paese possa recuperare. Berlusconi ha continuato a credere di poter promettere “meno tasse per tutti” anche contro Tremonti, ma l’Europa impone il rigore a un paese che ha il debito pubblico al 120%.
Ciò significa che non saranno popolari né tagli al sociale né nuove imposte da pagare. Finora le proteste dei lavoratori di aziende in crisi sono state contenute, ma non è detto che ci sia sopportazione sempre: gli indignati spagnoli sono un esempio per prevenire altri guai e non fornire sponda alla destra. Sono conti che pagheranno i cittadini: con il centro destra saranno favoriti i ricchi, con il centrosinistra in proporzione al reddito secondo la Costituzione. Ma tirare la cinghia non produrrà consenso neppure in chi gode perché, almeno, siamo fuori dai progetti nucleari.
Anche perché il confronto con gli altri paesi europei segna un forte arretramento dell’ottimismo illuminista e sottolinea che il deficit di democrazia non va sottovalutato solo in Italia. L’Europa è oggi governata, tutta, dalle destre e, ovunque, c’è meno senso della necessità dell’Europa che ai tempi di Spinelli. Oggi i “veri finlandesi” occupano il 19 % dei seggi e che ci sia un Bossi in Finlandia dà i brividi, come quando in Svezia le libere elezioni due anni fa portarono in Parlamento i nazi...
L’emergenza economica è diventata normalità permanente. Ma altro è dirlo in ambito cultural-politico, altro farne oggetto di consapevolezza con chi teme di perdere sicurezze e non può rassegnarsi alla realtà: cattolici e cristiani o laici e laicisti avranno un bel compito per dare fiducia....