Libere, dentro e fuori
Voci al femminile, voci di donne. Per raccontarsi, per raccontare cosa accade nei luoghi di guerra, di occupazione, di violenze e violazioni dei diritti umani. Il nostro viaggio prosegue e, questo mese, la testimonianza è di Mariam Abu Daqqa, dai territori occupati palestinesi della Striscia di Gaza.
Sono presidente dell’associazione Palestinian Development Women Studies Associations (PDWSA), e sono parte del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (PFLP). Ora vivo a Gaza, ma dopo gli accordi di Oslo ho dovuto vivere in esilio. Il mio lavoro è aiutare le persone in forme diverse, in particolare le donne di Gaza.
Un servizio importante che svolgiamo è il sostegno alle donne che escono dalle prigioni israeliane dopo uno, due, dieci anni e non hanno più nulla. Sono dentro solo perché sono palestinesi e perché impegnate nella lotta di liberazione. Anche io sono stata in un carcere israeliano. Quando mi hanno liberata, non mi hanno permesso di tornare a casa e mi hanno espulso in Giordania. Ho vissuto in Giordania, Libano, Siria, Iraq. Ho conseguito il mio dottorato in filosofia in Bulgaria e poi sono tornata a Gaza, perdendo, nel frattempo, quasi tutti i contatti con la mia famiglia.
Questa è la vita della maggior parte dei palestinesi.
Mia madre è egiziana, mio padre palestinese, mia nonna turca. Siamo una famiglia internazionale. Quando ero giovane, mio padre mi raccontava la storia della nostra famiglia, dell’occupazione del 1948. Sono cresciuta in questo clima e sognavo di poter visitare i luoghi storici palestinesi, dove ancora alcuni palestinesi vivono. La maggior parte degli abitanti di Gaza sono rifugiati dalle terre occupate nel 1948 e la situazione da allora è peggiorata. La Striscia di Gaza è piccola per contenere tutte le persone che oggi ci vivono.
Quando ho deciso di iniziare a lottare per i nostri diritti sono stata arrestata.
Avete visto le immagini dell’ultima guerra a Gaza e dei danni arrecati, per non parlare di quelli che derivano dall’assedio israeliano che continua: ospedali, case, moschee distrutte. Israele non rispetta nessuna legge o regolamento, perché ha un supporto forte dagli Stati Uniti e dall’Europa. Gli USA sostengono Israele per salvaguardare i loro interessi in Medio Oriente. Tutti noi siamo in grado di riconoscere i nostri nemici: imperialismo, sionismo e qualsiasi regime che supporta Israele.
La Palestina è la nostra terra ed è nostro diritto avere una casa. Abbiamo 5 milioni di palestinesi rifugiati in altri paesi che vivono in condizioni pessime; le famiglie vivono separate tra dentro e fuori la Palestina, molti bambini non sanno più chi è la loro famiglia. La disoccupazione a Gaza è di circa 80%, hanno distrutto tutte le industrie e, a causa dell’assedio, non possono entrare né persone né aiuti. Secondo la propaganda israeliana, gli aiuti rafforzerebbero il terrorismo. Io, invece, penso che Israele è terrorista per l’occupazione.
I palestinesi sono nati in Palestina e hanno diritto alla propria terra e a difendere i propri diritti con ogni mezzo. Noi possiamo anche morire, ma non moriranno i nostri diritti. Nel mondo la questione palestinese ora è molto più conosciuta e si capisce che il pericolo è il sionismo non solo per noi palestinesi, ma per il resto del mondo. La nostra gente soffre da tutti i punti di vista: fisico, psichico; per mancanza di lavoro, di cure sanitarie; i nostri giovani soffrono per mancanza di speranza. Siamo disposti a lottare fino alla vittoria. I palestinesi esiliati hanno il diritto di tornare. Noi non siamo contro ogni israeliano, ma combattiamo il sionismo. Ci sono israeliani che vogliono vivere in pace.
Mi sento arrabbiata perché conosco i miei diritti e non capisco perché i leader europei e americani appoggiano Israele, nonostante non abbia nessun diritto di vivere sulla nostra terra. Il loro comportamento non è giusto, non è morale, non è umano.
Quando gli israeliani affermano che la Palestina è la terra assegnata loro da Dio, fanno ideologia, è un loro film. Noi non siamo contro nessuna religione, dobbiamo imparare a vivere insieme, nessun popolo dovrebbe vivere solo perchè nelle differenze possiamo coabitare.
Il lavoro che facciamo con le donne appena uscite di prigione è studiare i loro bisogni e sostenerle sul piano informativo. Sono storie diverse, drammatiche, perché alcune hanno avuto figli in prigione, altre sono anziane, altre non sono sposate e non hanno nessuno che si possa occupare di loro. Abbiamo deciso di valorizzare le loro storie, aiutandole a scrivere per comporre un libricino. Talvolta sosteniamo le loro figlie negli studi o le donne che sono dentro. Sappiamo che la nostra cultura tratta le donne in modo diverso dagli uomini e questo non facilita il nostro lavoro.
Stiamo realizzando dei video per mostrare le discriminazioni che vivono le donne, dentro e fuori il carcere. È importante la promozione della donna, non solo per stare in casa, ma come sostegno e protagonista della lotta per la liberazione.
Penso che le sfide che la donna vive in Palestina sono le stesse che vive la donna araba in altri paesi o altrove. È difficile far capire agli uomini (e alle istituzioni) che abbiamo diverse capacità e che possiamo collaborare con loro nella lotta per i nostri diritti.
Sono molto felice di quello che faccio con le donne, spero di continuare ad avere salute e risorse economiche.
“È importante la promozione della donna non solo per stare a casa, ma come sostegno e protagonista della lotta per la liberazione”.