SUDAN

Geografia africana

Uno Stato neonato: il Sud Sudan ha dichiarato la sua indipendenza.
Ma i problemi non sono tutti risolti.
Irene Panozzo (visiting fellow all’Università di Durham, UK - esperta del Sudan )

Il 9 luglio un nuovo Stato africano è nato: il Sud Sudan ha dichiarato la sua indipendenza, come deciso dai milioni di sud-sudanesi che tra il 9 e il 15 gennaio scorsi hanno votato nel referendum per l’autodeterminazione della regione previsto dal trattato di pace che nel 2005 ha posto fine a una delle guerre civili più lunghe e sanguinose del continente.
Un nuovo Stato indipendente sulla cartina politica dell’Africa. Ma che stato sarà? E quali, se ci saranno, i contraccolpi dell’indipendenza del Sud sul resto del Sudan? Quali le relazioni tra i due paesi fratelli e con gli altri Stati della regione? Le domande sono moltissime, risposte certe, invece, non ce ne sono. Perché sono ancora troppi i nodi irrisolti, all’interno e all’esterno del Sud Sudan. Molti osservatori e analisti di cose sudanesi temono che il nuovo Stato possa velocemente passare da “neonato” a “stato fallito”. Di fatto, dall’indipendenza del Sudan nel 1956 il Sud ha vissuto quasi sempre in guerra. Si parte, quindi, da zero, o quasi: in realtà nei sei anni di pace diverse cose sono state fatte, a iniziare dalla creazione di una struttura amministrativa centrale e nei dieci Stati che compongono il Sud. Ma gli standard di sviluppo da cui la regione partiva erano – e restano – tra i peggiori al mondo: in molte aree, soprattutto in quelle rurali più distanti dai centri urbani, mancano servizi sanitari ed educativi di base, la povertà e la precarietà delle condizioni di vita sono estreme e basta un raccolto andato male, piogge troppo abbondanti o troppo scarse per distruggere il fragile equilibrio e mettere a repentaglio la sopravvivenza di intere comunità. Sviluppo, scuole per i figli, ospedali e dispensari, strade: sono state queste le priorità per le quali molti sud-sudanesi nei diversi angoli della regione sono andati a votare il 9 gennaio.
Le aspettative della popolazione sono, quindi, altissime. Il governo del Sud Sudan, guidato dagli ex ribelli del Movimento per la liberazione popolare del Sudan (Splm), sarà all’altezza? Dare risposte a quello che la gente chiede sarebbe difficile per chiunque. Ma lo è ancora di più per un partito che ha ereditato dalla guerra civile strutture e dinamiche più a misura di movimento ribelle che di governo civile e democratico. Il Sud Sudan è di gran lunga meno unito di quanto non sia apparso in occasione del referendum, con l’emozionante partecipazione – pacifica, ordinata, orgogliosa e festosa – del 98% dei cittadini che si erano iscritti al voto. A metà febbraio, poco dopo la pubblicazione dei risultati finali del referendum, nel nord dello Stato di Jonglei il generale George Athor, ex alto ufficiale dell’ex esercito ribelle diventato esercito sud-sudanese, l’Esercito di liberazione popolare del Sudan (Spla), ha ripreso le armi contro il governo di Juba, nonostante un cessate-il-fuoco firmato prima del referendum. La ribellione di Athor, come quella di Gatluak Gai nello Stato di Unity e quella di David Yauyau nel Jonglei orientale, è conseguenza delle divisioni interne allo Splm, diventate evidenti in occasione delle elezioni generali dell’aprile 2010. Ma non sono le uniche: negli ultimi mesi diversi altri gruppi si sono staccati dallo Spla per prendere le armi contro Juba. Lo Splm ha, a più riprese, accusato Khartoum di essere di nuovo dietro alle ribellioni armate contro il suo governo. Il Partito per il congresso nazionale (Ncp) del presidente Omar al-Bashir ha smentito qualsiasi coinvolgimento, ribadendo che il Nord preferirebbe avere un Sud stabile come vicino.

Crisi e scontri
Ma le azioni di Khartoum nelle settimane precedenti l’indipendenza del Sud non sembrano confermare questa linea. Dopo mesi di tensione crescente, il 21 maggio gli uomini delle Forze armate sudanesi (Saf) hanno attaccato l’area contesa di Abyei, che a gennaio avrebbe dovuto votare in un referendum parallelo a quello del Sud per decidere se rimanere nel Nord o passare nella regione sud-sudanese, e hanno assunto il controllo della città. Contemporaneamente, a Khartoum, il presidente Bashir ha “licenziato” l’amministrazione transitoria, via decreto. Due mosse arrivate in risposta a una sparatoria avvenuta il giorno prima: uomini dello Spla avevano attaccato un convoglio di truppe Saf, scortato dai caschi blu della forza Onu in Sudan (Unmis), causando almeno 22 morti.
Mentre ad Addis Abeba, con la mediazione del Panel di alto livello dell’Unione Africana per il Sudan guidato dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, delegazioni di Khartoum e di Juba cercavano delle soluzioni negoziali alla riesplosa questione di Abyei e agli altri nodi irrisolti del rapporto tra Nord e Sud – dalla divisione dell’ingente debito estero del paese alla demarcazione del confine tra le due regioni passando per le questioni della cittadinanza – un’altra crisi è scoppiata in Kordofan meridionale, lo Stato del Nord che comprende i Monti Nuba, che hanno combattuto al fianco del Sud durante la guerra civile. Iniziati il 5 giugno, gli scontri hanno messo in fuga decine di migliaia di persone. Anche i toni dei protagonisti della scena politica del Kordofan meridionale si son fatti più accesi, con scambi di accuse tra il governatore Ahmed Haroun – quota Ncp, appena riconfermato alla guida dello Stato e sulla cui testa pende un mandato di cattura internazionale spiccato dal Tribunale penale internazionale dell’Aja per il ruolo avuto nel conflitto in Darfur –, e il suo ex vice governatore, l’Splm Abdel Aziz al-Hilu, leader politico e militare dei Nuba nell’ultima fase della guerra civile. A richiamare alla mente le memorie di un conflitto che, soprattutto durante gli anni Novanta, sui monti Nuba è stato particolarmente cruento, sono le notizie che riguardano la sicurezza, o meglio l’insicurezza, dei civili: ricerche e rastrellamenti casa per casa, Saf e milizie che prendono di mira anche le Chiese e i compound dell’Onu in cui parte della popolazione inizialmente ha trovato rifugio.
Che il Kordofan meridionale potesse tornare a essere uno dei punti più caldi e critici dell’intero Sudan era purtroppo previsto. Stato importante per il Nord, perché include campi petroliferi che sono a tutti gli effetti territorio settentrionale, il Kordofan meridionale si trova anche geograficamente in una posizione strategica: confina con il Darfur meridionale, ma confina anche sia con gli Stati meridionali di Unity e dell’Alto Nilo, a loro volta importanti per la produzione petrolifera sud-sudanese, sia con l’area di Abyei. Inoltre, essendo stati attivi nella guerra civile, molti Nuba hanno continuato anche in questi anni di pace a far parte dello Spla. Come durante il conflitto. Solo che, nel frattempo, la pace del 2005 ha stabilito che da esercito ribelle lo Spla diventasse esercito regolare di quel Sud di cui il Kordofan meridionale non fa parte.
La ragione degli scontri di inizio giugno sta anche in questa contraddizione, comune peraltro a un altro Stato settentrionale, quello del Nilo Azzurro, anch’esso abitato in parte da popolazioni africane che hanno combattuto a fianco del Sud e che continuano a sostenere lo Splm, oltre che a far parte dello Spla.
Quando a fine maggio, poche settimane dopo elezioni che hanno riconfermato Haroun alla guida dello Stato nonostante le accuse di brogli mossegli da al-Hilu, le alte sfere delle Saf hanno rivolto alle forze dello Spla nel Nord un ultimatum – sciogliere o richiamare a Sud tutti gli effettivi Spla presenti a nord del confine entro il 1° giugno – la tensione già alle stelle è scoppiata. Anche perché, hanno detto da Juba, quelle truppe presenti negli stati settentrionali sono a tutti gli effetti cittadini settentrionali, quindi non si può chiedere loro di trasferirsi “all’estero”.
La nuova crisi, tutta interna al Nord Sudan, getta un’ombra lunga anche sul futuro di quel che resta del paese più grande dell’Africa, dove è ancora in corso, irrisolta, la guerra in Darfur e la cui situazione economica, dopo la perdita del petrolio sud-sudanese, non è certo rosea. I prossimi mesi diranno se i due nuovi Sudan riusciranno a ritrovare un equilibrio o se le armi avranno di nuovo la meglio.

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