La paure che ci abitano
Quali sono le paure che abitano i nostri cuori, e ci chiudono al mondo, ci paralizzano, limitandoci nelle nostre espressioni e nei comportamenti?
Don Angelo Casati ne elenca undici, e a ciascuna di esse dedica riflessioni di “tenerezza e fermezza”.
Sono paure ataviche e accecanti, come quella di vivere o di morire. La prima ci blocca nell’affanno quotidiano, quando ci dimentichiamo che Dio si occupa di noi, ha cura delle nostre giornate ansimanti (“il preoccuparsi è segno di stoltezza: puoi forse aggiungere un’ora sola alla tua vita?”).
Mentre dovremmo “ritornare a incantarci per l’oltre, per il volto che abita le cose e le fa dono... L’incantamento viene da un indugio, da una capacità di sostare... la fretta che ci consuma è parente stretta della voracità”. La seconda paura, che ha le sembianze dell’angoscia heideggeriana, è la paura di morire, di non essere più, di finire con l’ultimo sospiro esalato. Per vincerla dobbiamo lasciare “lungo la strada il pomposo mantello dell’egoismo e indossare quello della compassione... L’amore non sta in una tomba, ha passi di vento…”. Le parole delicate e convinte di don Angelo sanno rivestirsi di poesia, e infatti ogni capitolo del suo libro si apre con dei versi, che non hanno nulla della falsa bonomia di cui sono animate spesso le poesie religiose: sono drammatici e scabri, lontani da ogni retorica. Se, dunque, “neanche la morte, all’apparenza così vincente su tutto e tutti, può cantare vittoria sull’amore, ne esce sconfitta”, ecco che ognuno di noi ha un motivo in più per non cedere alle altre paure: dell’inedito, dell’altro, di amare, di essere liberi, di pensare, dell’insicurezza. L’invito pressante dell’autore è a saper osare, innamorandoci della nostra libertà: dobbiamo sconfinare da noi stessi, imparare a essere visionari, superando le barriere delle architetture interne ed esterne ai nostri cuori. È questa libertà che il potere teme: “Meglio avere vassalli obbedienti, accoliti del nulla, esecutori plaudenti, meglio una massa pilotabile e acclamante che un popolo maturo di pensanti e resistenti”. Ma il volume affronta e demolisce anche timori meno scontati, come quelli della mitezza e della fragilità, “nella stagione dell’urlo” che viviamo e in cui “incenerire l’altro sembra ormai il sogno estremo”. Eppure, il rabbi di Nazareth (che è entrato a Gerusalemme su un umile asinello, che ha lavato i piedi ai discepoli...) ha promesso che saranno i miti a ereditare la terra, cosa che spesso dimenticano anche le gerarchie della Chiesa: “Quando una chiesa dimenticò il grembiule e indossò le modalità dell’impero, cancellò dal mondo la notizia buona, divenne ovvietà sulla terra... fino a una sacrilega identificazione con le esibizioni, i riti, le macchinazioni del potere”. Ritrovare coraggio, quindi, e dolcezza consapevole: fidarsi di un Dio che è guida e tenerezza, amare la bellezza come anche la mancanza di bellezza, la luce come le ombre, il volto dell’altro anche quando è deturpato dalla povertà o dall’errore, fare “opera di detronizzazione dentro di sé”. E amare con pudore e discrezione, senza invadenza, senza usurpare e travalicare i confini dell’anima altrui: “Anche nell’amore più forte e appassionato, riconosci la distanza”. Vincere le paure per vivere più pienamente, più consapevolmente, il nostro mestiere di uomini e donne, con l’umiltà di affidarci a chi ci travalica e ci invita a superare i confini.
Un libro molto intenso, questo di don Angelo Casati, da meditare e condividere con chi ci è vicino e possibilmente anche con chi è lontano da noi. Senza paura.