NUCLEARE

Bugie di terza generazione

Non dimentichiamoci di Fukushima!
Tutto quello che non è stato detto, taciuto, nascosto e che minaccia, ancora, la sicurezza della gente. Non solo giapponese.
Angelo Baracca

Sulla tragedia di Fukushima è calato un silenzio tombale, lasciando un quadro degli incidenti, dei loro sviluppi e delle possibili conseguenze, scandalosamente parziale e lacunoso. Si tratta di una vergognosa operazione mediatica, alla quale non si sottrae nessun organo (cosiddetto) d’informazione, e che priva l’opinione pubblica di notizie di fondamentale importanza per l’avvenire di tutti noi, e in particolare per i cittadini giapponesi (i quali hanno saputo solo dopo più di due mesi che i noccioli dei reattori sono fusi!). Le informazioni che si possono faticosamente e gradualmente reperire sui siti della Tepco (la compagnia che gestisce i reattori) e della Nisa (agenzia di sicurezza giapponese) fanno emergere un quadro della dinamica, della gravità e portata dell’incidente estremamente più grave della ricostruzione che è stata superficialmente accreditata e archiviata.
Si deve dire in primo luogo che l’incidente nucleare più grave, la fusione del nocciolo, ha riguardato i tre reattori che erano in funzione, ma bisogna considerare cosa sarebbe accaduto se tutti i sei reattori della centrale fossero stati accesi! Inoltre, sono state gravemente danneggiate, almeno due in modo grave, anche le piscine del combustibile irraggiato, che risulta anch’esso parzialmente fuso: incidente che non ha precedenti nella storia dell’energia nucleare e comporterà una severa revisione dei criteri di sicurezza e di progetto anche per i nuovi reattori di terza generazione e l’adeguamento di tutti i reattori già in funzione, con un aggravio dei costi al momento incalcolabile.
Se si rinormalizza la probabilità dell’incidente con fusione del combustibile, che veniva data ogni milione di anni-reattore, si deduce che possiamo aspettarcelo di nuovo tra pochissimi anni (e potrebbe toccare a uno dei 34 reattori francesi nei quali è stato riscontrato un grave difetto al sistema d’emergenza!).

Senza precedenti
Tanto più perché sta emergendo che è falsa la versione secondo cui i reattori avrebbero retto a un sisma enormemente superiore (grado 9o) a quello di progetto e solo lo tsunami eccezionale avrebbe causato il disastro. Il terremoto, infatti, è stato di grado 9o nell’epicentro, a circa 120 km dalla centrale, ma quando ha colpito l’impianto è stato classificato dalla Nisa di grado 7° (circa 900 volte inferiore): le misure dei 53 sismografi collocati all’interno della centrale rese pubbliche il 16 maggio scorso dalla Tepco dimostrano che l’intensità del sisma ha superato solo in tre casi i valori di riferimento con cui era stato costruito l’impianto. E malgrado questo, il sisma ha messo fuori uso la sottostazione elettrica di alimentazione della centrale (che è collocata su un terrapieno non raggiunto dall’onda) e ha provocato subito gravi danni almeno nell’unità n. 1 che di per sé avrebbero causato un incidente molto grave, e sono poi state amplificate 50 minuti dopo dall’arrivo dello tsunami. La dinamica dei danni ha messo in luce comunque gravi difetti di progettazione delle centrali, tra cui la collocazione dei diesel d’emergenza al di sotto del livello stradale, per cui l’onda li ha messi fuori servizio, interrompendo la refrigerazione dei noccioli.
Circa 5 ore dopo l’inizio dell’incidente il nocciolo del reattore n. 1 è rimasto totalmente scoperto e senza refrigerazione per molte ore: questo ha causato la sua fusione totale, che ha raggiunto 2800°C, e la rottura sia del vessel che del contenitore primario: ancora molte ore dopo il governo e la Nisa sostenevano che il combustibile era intatto. Per la prima volta nella storia degli incidenti nucleari, il combustibile fuso (corium) ha rotto il fondo del vessel d’acciaio del reattore ed è colato nel piano sottostante, costituendo una massa informe in trasformazione e assolutamente incontrollabile, nella quale la reazione a catena potrebbe riprendere localmente con temporanee ma pericolose escursioni di potenza.
Le unità 2 e 3 (alimentate, ricordiamolo, con combustibile Mox, misto uranio plutonio) hanno avuto una parziale fusione del nocciolo, sospetto danneggiamento del vessel, danneggiamento del contenitore primario, perdita delle funzioni di contenimento (esplosione nell’unità 3 il 15 marzo), danneggiamento del combustibile presente nella piscina di decadimento (anche nell’unità 4).
I danni subiti e l’elevatissima radioattività rendono estremamente pericolosi, problematici, costosi e lunghi gli interventi diretti per isolare i reattori danneggiati dall’ambiente esterno.

Disastro economico
Il Giappone è colpito da una recessione che è dovuta più alla scelta nucleare che ai danni dello tsunami. Dei 54 impianti nucleari che fornivano al Paese il 30% dell’energia elettrica, 35 sono fermi a seguito del sisma: i 6 reattori di Fukushima Daiichi e i 5 di Hamaoka (centrale nuovissima a sud di Tokio chiusa su richiesta del primo ministro Kan in quanto si prevede un futuro sisma) non rientreranno più in funzione, mentre tutti gli altri che hanno subito danni minori resteranno fermi alcuni mesi per ispezioni e/o riparazioni. La situazione è resa drammatica dal fatto che il Giappone, considerato un modello di efficienza tecnologica, è diviso in due aree elettriche non comunicanti tra loro: quella a Sud Ovest con frequenza a 50 Hertz e quella a Nord Est (la più colpita dal sisma) a 60 Hertz; ciò limita drasticamente la possibilità di trasferire energia da una zona all’altra. Come risultato, l’energia elettrica è razionata e le fabbriche (auto, componentistica elettronica, ecc.), pur non essendo state colpite dallo tsunami, lavorano a ritmo ridotto.
È difficile valutare i danni dell’incidente nucleare; alcune valutazioni recenti si collocano tra 170 e 250 miliardi di dollari: a pagarli sarà lo Stato (ossia i contribuenti: dopo il danno la beffa), per salvare l’industria nucleare (ma il crollo del titolo della Tepco ha danneggiato moltissimi piccoli investitori), poiché è noto che il rischio da incidente nucleare non è coperto dalle compagnie di assicurazione se non in minima parte. Per di più, le lobbies bipartisan che dominano il parlamento giapponese tengono Kan sotto ostaggio, subordinando ai loro interessi le scelte energetiche future e la possibilità di uscita dal nucleare, malgrado la crescita del movimento di protesta.

Lo spettro della radioattività
Ancora più confusa e reticente appare l’informazione sulla radioattività rilasciata dall’incidente nell’ambiente, cosa che rischia di rendere problematica per sempre la valutazione delle vittime (se è vero che a 25 anni dall’incidente di Chernobyl non si vergognano di parlarci di una sessantina di vittime accertate!). Acqua altamente radioattiva continua a uscire dai reattori danneggiati: oltre a quella già scaricata in mare, circa 110.000 tonnellate (circa 40 piscine olimpioniche) raccolte ai limiti della capacità creano un problema di difficile soluzione, e nelle prossime settimane potrebbero fuoriuscire in mare (inizia anche la stagione delle piogge).
I dati forniti sulla radioattività liberata nell’ambiente sono parziali e lacunosi, soprattutto quelli più significativi riguardanti i vari isotopi radioattivi (come il cesio-137 e 134, lo stronzio-90, lo stesso plutonio: trovati alle Hawaii e in Usa) i quali, come è stato per Chernobyl, si accumuleranno per decenni nelle catene alimentari e nei tessuti umani, rischiando di interferire con lo sviluppo cerebrale infantile (Vassili Nesterenko) e favorendo l’insorgenza di leucemie e tumori.
Perché altrimenti alcune settimane fa il governo giapponese avrebbe alzato di ben 20 volte il limite di esposizione per la popolazione (compresi i bambini)? E lo ha abolito per i lavoratori dell’unità n.1. Un consigliere del primo ministro, Goshi Hosono, ha dichiarato che questo Paese tra i più avanzati tecnologicamente “non ha un sistema idoneo per gestire i rischi delle radiazioni come risposta immediata”.
Il modello e le valutazioni di rischio ufficiali si dimostrano sempre più inadeguati di fronte alle nuove evidenze scientifiche, che mostrano che il vero problema è dato proprio dalle piccole quantità di radioisotopi rilasciate dalle centrali che si concentrano nelle catene alimentari. Essi passano attraverso la placenta al feto interferendo col suo Dna, innescano processi diffusi d’instabilità delle cellule e dei tessuti che si trasmettono alle generazioni successive.
Incidenti come quello di Chernobyl e di Fukushima, immettono nella biosfera grandi quantità di radioisotopi che permangono nelle catene alimentari per decenni e, per quanto concerne il plutonio, per millenni. A essere esposti e contaminati non saranno dunque soltanto i bambini ucraini o giapponesi ma, col passare del tempo, tutti gli esseri umani e, più in generale, tutti gli esseri viventi.

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