Chiese conviviali
Dal 4 al 9 giugno scorso una piccola delegazione di Pax Christi Italia è stata in Iraq, visitando in particolare Kirkuk e il nord del Paese, nella zona chiamata Kurdistan iracheno. Non è stato possibile andare fino a Baghdad anche a motivo della necessità di avere il visto, cosa invece che non è richiesta per chi si spinge non oltre Kirkuk. La delegazione era presieduta da mons. Giovanni Giudici vescovo di Pavia e presidente nazionale di Pax Christi. Una visita breve ma intensa. Come è stato scritto dalla delegazione, al ritorno: “La presenza costante di uomini armati, la grande quantità di punti di controllo conferma il discorso spesso ripreso dai nostri ospiti: non ci si può spostare con tranquillità, anzi vi sono alcune città che sono località pericolose, dove non si è sicuri di poter vivere una giornata senza sparatorie e attentati. Per noi il referente locale è stata la Chiesa cattolica nelle due versioni, caldea e siriana. Caratteristiche di antichità e di nobiltà sono evidenti. Come evidente è lo stile di testimonianza. Molto utili si sono rivelate le visite a semplici famiglie, come pure il dialogo con le autorità religiose, sunnite e sciite. Noi siamo stati arricchiti dal confronto con situazioni e persone; abbiamo avuto la sensazione di aver incoraggiato, già con la sola nostra presenza, le persone disponibili all’incontro a proseguire sulla strada del dialogo”.
Abbiamo chiesto al Presidente di Pax Christi una riflessione su questa visita.
Mi sembra importante mantenere i contatti con la società irachena, e questo è possibile tenendo presente i due aspetti: il dialogo tra noi italiani ed europei con la società dell’Iraq che aspira alla pace ed è grata dell’interesse che si tiene desto nei loro confronti, e la collaborazione con la Chiesa irachena.
Per quanto riguarda la dimensione dell’attenzione alla comunità cristiana, un aspetto fondamentale è il rispetto per questa Chiesa d’Oriente presente in Iraq. Essa ha avuto una storia “gloriosa”, nel senso che è giunta ad annunciare il Vangelo fino ai confini, allora conosciuti, dell’India e della Cina. Poi, per diverse ragioni storiche, è stata isolata dal resto della cattolicità e ha avuto pochi rapporti con la Chiesa d’Occidente. È importante quindi, oggi, aiutare questa Chiesa a respirare, come ci hanno detto durante la nostra visita, “con due polmoni”, dell’Oriente e dell’Occidente. Il che vuol dire, per noi, riconoscere le ricchezze spirituali, liturgiche e culturali che questa Chiesa d’Oriente porta con sé. Per la cattolicità irachena significa il confronto con quella europea che vive la democrazia e in genere la modernità, con tutte le conseguenze che questo comporta. I cristiani iracheni passeranno, se si sviluppa la loro società, per la stessa strada in cui noi oggi siamo.
Il secondo aspetto, che ci ha interessato e che va sviluppato, è quello del dialogo tra le diverse tradizioni religiose. Ciò vuol dire che ognuno si ispira alle proprie radici e tuttavia si desidera favorire una relazione con l’altra tradizione religiosa, nel rispetto delle diversità.
Dialogare su questi due aspetti aiuta ad avvertire che è possibile vivere in una società rispettosa di tutti. Inoltre, richiama il significato concreto della libertà religiosa che ciascuna delle varie tradizioni religiose richiede per sé ed è chiamata ad accettare per gli altri. Il valore del rispetto della persona, insieme alla possibilità di esprimere liberamente la propria fede, danno fiducia e coraggio a tutti.
Credo, quindi, doveroso da parte nostra continuare ad accompagnare, in questo cammino di dialogo, la Chiesa dell’Iraq. È un obiettivo alto, importante. Ed è sicuramente un servizio alla pace. Una pace che non si crea solamente con l’impegno a costruire una vera democrazia o nell’attenzione all’economia di una nazione, ma anche con un dialogo interreligioso che favorisce il confronto sulle risposte diverse ai grandi interrogativi che l’uomo porta dentro di sé. Sentire che c’è un cammino comune in queste risposte alle domande profonde riguardanti il senso della vita, la pace, consente di preparare nelle persone e nei gruppi un atteggiamento che dispone il terreno per la pace, favorisce un clima non di scontro ma di fiducia e reciproco rispetto.
Tutto questo ci porta a guardare anche all’appuntamento di Assisi del prossimo 27 ottobre…
Certamente. È un segno importante che dobbiamo dare: un dialogo interreligioso che è servizio alla persona e, quindi, diventa superamento di sospetti e qualche volta anche di contrapposizioni, a volte più evocate che rea-li. Del resto l’interessante esperienza della visita ad alcune famiglie di Kirkuk, durante il nostro viaggio ai primi di giugno, ci ha fatto toccare con mano che tutti desiderano la pace sociale; la pace religiosa ne è come la premessa e la garanzia. Il conoscersi, il frequentarsi in modo semplice e quotidiano con gli altri, è un bene grande. Tutti lo desiderano, tutti ne hanno un enorme bisogno, proprio per riprendere a vivere la stessa dimensione sociale della loro quotidianità.