Nella terra dei due fiumi
La terra dei due fiumi. La Mesopotamia. Qualcuno dice anche che il Paradiso terrestre era qui. In ogni caso questa è la terra di Abramo. A qualcun altro, in modo più laico, viene in mente Sharazad e i racconti delle Mille una notte... Sì, è proprio l’Iraq.
Una terra che in questi ultimi anni ha avuto l’onore della cronaca per una serie di guerre e tragedie che sembrano non finire mai. Eppure oggi si parla poco o niente dell’Iraq. Ci sono stati gli anni d’oro (sì, proprio come i rubinetti che avevamo venduto noi italiani) di Saddam Hussein, caro amico dell’Occidente. Affari a tutto spiano, anche con le armi ovviamente. E quando era in guerra con l’Iran, per una sana par condicio, vendevamo armi a tutti e due i belligeranti.
Solo a Saddam Hussein l’Italia ha venduto 9 milioni di mine antipersona disseminate in Kurdistan. Me lo confermava l’amico vescovo di Dohuk, mons. Butros Harboli, amareggiato perché non poteva portarmi a vedere la sua casa natale: il terreno, due anni fa, era ancora minato. Poi c’è stata l’invasione del Kuwait. Gli accorati appelli alla pace di Giovanni Paolo II: “La guerra è avventura senza ritorno”. Le grandi manifestazioni per la pace, con la mobilitazione di milioni di persone. Il 16 gennaio 1991 la prima guerra del Golfo. Un evento mediatico. La guerra in diretta Tv. Il cielo ‘verde’ di Baghdad ha tenuto svegli milioni di spettatori. Poi gli anni durissimi dell’embargo. E, il 20 marzo 2003, la seconda guerra del Golfo.
Bush, dopo 44 giorni di bombardamenti, il 3 maggio, a bordo della portaerei Lincoln dichiara: “Questa fase della guerra al terrorismo è finita”. E poi, di nuovo anni pesantissimi per la popolazione irachena. Guerre, bombe al fosforo, all’uranio impoverito, rapimenti, attentati, violenze di ogni genere. La scoperta delle tragiche conseguenze sulle persone, la Sindrome del Golfo.
L’Iraq crolla in una situazione che sembra non avere futuro. Molti lasciano il Paese. Ma la comunità internazionale è soprattutto attenta agli accordi economici, ai grandi affari con l’oro nero, il petrolio. Ci diceva mons. Warduni, vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad, nel dicembre 2002: “Tutto questo a causa del petrolio. Lo prendano, ma ci lascino in pace!”.
E l’informazione, come spiega bene Giuliana Sgrena nel suo articolo in questo dossier, diventa sempre più embedded. Sappiamo il numero esatto dei militari stranieri uccisi: americani, inglesi e italiani (pensiamo a Nassiriya). Ma non sappiamo il numero delle vittime irachene. A chi interessa? Abbiamo visto con i nostri occhi, e Mosaico di pace ha sempre cercato di guardare con attenzione all’Iraq, alla sua gente, al fatto che era dato in dotazione a ogni soldato Usa una pistola Beretta. Abbiamo ascoltato anche cappellani militari, al seguito dell’esercito Usa, sostenere la tesi che a volte la pace va imposta con le armi e con la guerra. Ora è caduto un silenzio quasi completo sull’Iraq. Solo qualche impennata di chi si fa paladino della difesa dei cristiani, ma non dice una parola contro la guerra e contro i nostri affari nella vendita di armi. Basta ascoltare la registrazione dell’audizione di mons. Warduni in commissione Affari esteri e comunitari, presso la Camera dei Deputati il 19 gennaio scorso, per rendersi conto direttamente del livello degli interventi dei nostri parlamentari. Non uno ha raccolto l’invito del vescovo di Baghdad a non vendere armi!
Per non rassegnarsi a questo silenzio, per non dimenticare le nostre responsabilità dirette in quella terra e soprattutto nei confronti delle persone, molte delle quali conosciamo per nome, abbiamo pensato a questo dossier. Senza pretese ovviamente.