La farmacia dei poveri
È una guerra, quella che l’Europa ha scatenato nei confronti dell’India, ma non ne parla nessuno. Si combatte con armi altre rispetto a quelle utilizzate in Libia o in Afghanistan, ma le vittime in prospettiva non sono numericamente meno rilevanti. Si tratta di una guerra commerciale, intessuta di negoziati opachi ed estenuanti (l’ultima sessione si è tenuta a Bruxelles dal 12 al 14 settembre) sul filo dei tecnicismi legali, ma senza spargimenti di sangue. Le stesse vittime designate, i pazienti affetti da ogni patologia in India e nei Paesi del Sud del mondo, si conteranno in là nel tempo e uno a uno, in silenzio, sui loro letti di morte; non ci sarà nessun reporter a segnalarne la fine. È una guerra, si combatte da quattro anni in nome della difesa della competitività del nostro continente, dunque degli interessi dei suoi cittadini. E come tutte le guerre, anche questa è sporca e intrisa di bugie.
Ma andiamo per ordine. L’India è la farmacia dei Paesi poveri del pianeta. Questo ruolo lo ha maturato dalla fine degli anni Settanta, come membro dei Paesi non allineati, con una politica industriale farmaceutica indirizzata alle cosiddette aree del Terzo Mondo. Oggi, provengono dall’India l’80% dei farmaci dei programmi internazionali di accesso alle terapie anti-aids in 115 Pae-si a basso e medio reddito. Provengono dall’India anche l’80% dei farmaci che le organizzazioni mediche e umanitarie come MSF utilizzano nei Paesi di loro intervento (Waning 2010).
L’India, uno dei 153 membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), nel 2005 ha dovuto varare una nuova legge sulla protezione brevettuale, così da ottemperare all’accordo TRIPS (sugli aspetti della proprietà intellettuale relativi al commercio). Con la nuova norma si sono in pratica estesi al settore farmaceutico i brevetti, fino a quel momento esclusi per ragioni di salute pubblica. Non è stato un passaggio di poco conto e, infatti, molte delegazioni di Paesi del Sud esercitarono pressione su New Delhi per evitare il peggio al momento di adottare la nuova normativa. Le regole globali sui brevetti dell’OMC legittimano, di fatto, un regime di monopolio ventennale che determina molte ripercussioni negative: l’aumento del costo dei farmaci, la necessità per le aziende locali di pagare royalties elevate per produrre gli stessi farmaci e “stare sul mercato”, la difficoltà dei farmaci generici equivalenti di affermarsi, dopo un periodo di monopolio tanto lungo.
In effetti, la legge indiana del 2005 sancisce la priorità del diritto alla salute (su quello della proprietà intellettuale) con alcune clausole specifiche, ad esempio l’articolo 3(d). Esso prevede rigide condizioni per riconoscere e, dunque, brevettare un’innovazione, così da evitare brevetti frivoli o rinverdimento (evergreening) degli stessi, una pratica ben nota per estendere la posizione dominante con lievi e insignificanti modifiche del prodotto di partenza (è quanto si è visto con il Prozac ad esempio negli Stati Uniti). La legge è senz’altro il frutto della pressione internazionale e della notevole capacità di mobilitazione della società civile indiana, che ha fatto dei brevetti sui farmaci una delle battaglie di avanguardia sul diritto allo sviluppo e alla salute.
Ritorsioni e minacce
Il sistema, pur se imperfetto, ha funzionato finora, malgrado la raffica di attacchi subiti in pochi anni. Nel 2006, di fronte al rifiuto di brevettare una versione del farmaco antitumorale Gleevec non considerata innovativa dalle autorità indiane, la multinazionale svizzera Novartis lanciò un’azione legale a tutto campo contro l’India, con l’obiettivo ultimo di far dichiarare l’articolo 3(d) anti-costituzionale: dopo aver perso la causa nel 2007, la Corte suprema dette ragione all’India nel 2009, dopo una difficile battaglia legale e anche mediatica. Per nulla intimidita, anche l’azienda tedesca Bayer si è fatta in quattro per vincolare la brevettazione del farmaco in India alla sua approvazione da parte dell’agenzia del farmaco: invano. Nel frattempo, sono stati eseguiti 17 blocchi di medicinali generici provenienti dall’India alla frontiera in Olanda e a Francoforte, diretti in Perù, Columbia, Ecuador, Messico, Portogallo, Spagna, Brasile e Nigeria. New Delhi compare, infine, nella Priority Watch List (la lista dei principali Paesi sotto osservazione per ragioni commerciali) prevista dalla legge statunitense 301 sul commercio. Rimane, dunque, un Paese a rischio di ritorsioni.
Una minaccia senza precedenti viene adesso dal negoziato sul libero scambio (free trade agreement, FTA) tra India e Unione Europea (ce n’è in corso uno anche con il Canada). Si tratta, in linea di principio, di una strategia bilaterale intesa a favorire la penetrazione di nuovi mercati da parte dei contraenti, nel momento in cui i partner tradizionali se la devono vedere con le incertezze della crisi economica. Terza potenza commerciale asiatica, l’India è un piatto ghiotto per la UE: l’idea è di conseguire uno scambio commerciale del valore di 237 miliardi di dollari entro il 2015, dai 92 attuali! La posta in palio è così altissima, date le potenzialità dell’interlocutore che, però, è anche un competitor commerciale. Per l’Europa, primo partner commerciale dell’India, il negoziato è l’occasione per introdurre condizioni in grado di delimitare in modo significativo il margine di competitività della potenza economica emergente. Tra l’altro, l’accordo prevede condizioni rigide per gli investimenti e standard di protezione brevettuale più severi di quelli imposti dall’OMC.
Monopoli
Nel campo dell’industria farmaceutica, settore trainante dell’economia indiana, la questione del negoziato con la UE si complica ulteriormente a causa della questione che riguarda l’esclusività dei dati clinici (data exclusivity). Il monopolio sui dati di ricerca clinica è una faccenda molto tecnica, ma anche molto seria in una prospettiva di diritto alla salute. Stabilisce che un’azienda farmaceutica europea potrebbe, per un periodo fino a dieci anni, impedire l’accesso ai risultati della sua ricerca clinica alle autorità regolatorie e alle industrie farmaceutiche indiane che intendessero prepararsi a predisporre il generico equivalente, nel momento della scadenza del brevetto sul farmaco originario.
In India, quando un produttore farmaceutico vuole registrare e introdurre sul mercato la versione generica di un farmaco di marca già registrato, deve solo dimostrare che il suo prodotto è equivalente all’originale. L’autorità regolatoria si affida ai dati di efficacia e sicurezza del farmaco messi a disposizione dal dossier del produttore originario e non chiede al produttore generico di rifare tutta la sperimentazione clinica per produrre nuovi dati. A parte le considerazioni etiche di ripetere sulle persone test clinici già completati e validati, questa pratica aumenterebbe in modo esorbitante il costo dei farmaci generici, rendendoli economicamente inavvicinabili.
Se nel braccio di ferro dell’ultimo anno (la UE ha introdotto questa condizione sulla esclusività dei dati nel luglio 2010) passa la clausola voluta dalla Commissione Europea, questa procedura sarà del tutto vanificata. Alle aziende farmaceutiche indiane non resta che produrre dati autonomi e rifare la sperimentazione clinica ex novo, oppure aspettare che scada il periodo di occultamento dei dati clinici, anche se non c’è più il brevetto sul farmaco – sì, perché l’esclusività dei dati si applicherà a tutti i medicinali, quelli sotto brevetto e quelli il cui brevetto è scaduto – per mettere sul mercato la loro versione più economica. I farmaci costosi prodotti a regime di monopolio avranno ancora meno concorrenza, dunque. E vita più lunga sul mercato. Solo per fare un esempio, la produzione dello sciroppo per bambini di nevirapina (un antiretrovirale che impedisce la trasmissione materno fetale del virus HIV/AIDS), che non è stato brevettato in India ai sensi dell’articolo 3(d) della legge del 2005, a oggi resterebbe bloccata se fosse in vigore il regime di protezione esclusiva sui dati voluta dalla UE. L’esclusività dei dati rappresenta un livello aggiuntivo di protezione monopolistica peraltro non prevista nell’accordo TRIPs. Il Commissario del Commercio De Gutch fa il suadente a parole; peccato che finora il tira e molla non abbia prodotto alcun risultato, e anzi si pensa che il divario tra le posizioni dei due blocchi sia troppo ampio per fare un minimo passo avanti.
Intanto, un nuovo passo legale lo ha compiuto la Novartis, con una seconda azione contro New Delhi allo scopo di ottenere un brevetto per l’aggiunta di uno specifico sale nel farmaco anticancerogeno Imatinib - Gleevec. Se Novartis riuscirà a indebolire l’interpretazione della sezione 3(d) della legge, forzerà l’India a concedere molti più brevetti rispetto a oggi. Ciò potrebbe chiudere definitivamente la funzione della concorrenza prodotta dai farmaci generici volta alla vertiginosa riduzione del prezzo dei medicinali. Le decisioni prese dal dipartimento indiano per i brevetti e dai tribunali indiani possono fare la differenza tra la vita e la morte delle persone sieropositive. Non solo in India, ma in tutti i Paesi a basso reddito del Sud del mondo.
Se non è guerra questa!