FEMMINISMI

Diritti in rosa

I diritti delle donne in Italia: quanto conta il giudizio dell’ONU?
Rossana Scaricabarozzi

Il 2 agosto 2011 l’ONU ha reso pubbliche le sue valutazioni sull’operato di otto Stati nella promozione dell’uguaglianza di genere e la tutela dei diritti delle donne. L’Italia era tra questi.
Nei giorni precedenti alla pubblicazione, in pochi attendavamo con curiosità di conoscere l’opinione sulla condizione delle donne in Italia della più importante tra le istituzioni internazionali che tra i loro obiettivi includono il rispetto dei diritti umani. Molti non sapevano ci sarebbe stato un giudizio dell’ONU sul nostro Paese. Nessuno probabilmente lo temeva.
Dopo il 2 agosto, le severe critiche sollevate dall’ONU contro il nostro Paese non hanno destato molta attenzione presso istituzioni e media. Qualche radio e testata ha riportato la notizia, diffusa per lo più grazie allo sforzo della società civile. Nessun rappresentante istituzionale ha rilasciato commenti in proposito. Complice agosto, ma soprattutto la scarsa considerazione e conoscenza di quello che forse è il più importante strumento internazionale di tutela dei diritti delle donne nel mondo: la CEDAW.

Cos’è la CEDAW?
La CEDAW è la Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. È stata adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 18 dicembre del 1979 ed è entrata in vigore nel 1981. L’Italia ha ratificato la CEDAW nel 1985 e il Protocollo Opzionale nel 2000. A oggi 187 Stati l’hanno ratificata.
La Convenzione contiene 30 articoli, di cui i primi 16 esplicitano gli obblighi degli Stati nel garantire l’uguaglianza di genere nei vari ambiti (legislazione, partecipazione politica, istruzione, stereotipi, lavoro, salute, matrimonio e famiglia, ecc.); gli altri le procedure di reportistica e monitoraggio dell’operato degli Stati nell’attuare la CEDAW.
La Convenzione vincola gli Stati firmatari a mettere in atto ogni misura necessaria ad assicurare pari opportunità tra uomini e donne sul piano politico, economico, sociale e culturale e a riferire alle Nazioni Unite attraverso rapporti periodici sulle azioni svolte per l’applicazione concreta della CEDAW.
Il Comitato CEDAW, un organo indipendente composto da 23 esperti sui diritti delle donne stabilito dall’ONU per monitorare l’effettiva implementazione della Convenzione da parte degli Stati firmatari, organizza due volte l’anno delle sessioni di valutazione, a conclusione delle quali rivolge ai Paesi sotto esame delle raccomandazioni volte a eliminare i principali ostacoli al pieno godimento da parte delle donne dei loro diritti fondamentali.
Altro importante strumento è il Protocollo Opzionale alla Convenzione, adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1999 ed entrato in vigore nel 2000. Gli Stati che ratificano il Protocollo Opzionale possono essere soggetti a sanzioni da parte del Comitato CEDAW qualora un individuo o un gruppo di individui presenti comunicazioni relative a violazioni di diritti sanciti dalla Convenzione. Il Protocollo Opzionale permette, inoltre, al Comitato di effettuare inchieste in caso di violazioni gravi o sistematiche di diritti fondamentali.
La CEDAW non solo rappresenta il principale quadro normativo di riferimento per l’implementazione di politiche, programmi e misure volte a garantire la parità di genere in tutti gli ambiti della vita, ma è anche un prezioso strumento per la trasparenza delle azioni governative volte a promuovere e a tutelare i diritti delle donne.
In tal senso, il ruolo della società civile è fondamentale: sia nel mobilitarsi per diffondere la conoscenza di questo importante strumento di diritto internazionale, sia nel fare pressione sui Governi perché diano concretezza alla Convenzione nel mondo. Le organizzazioni della società civile hanno inoltre la possibilità di inviare al Comitato CEDAW un rapporto ombra, parallelo a quello governativo, fornendo all’ONU un’analisi indipendente sulla condizione delle donne nel proprio Paese, includendo, ove necessario, le omissioni e la non veridicità dei rapporti degli Stati. In mancanza di un ruolo attivo della società civile, i governi spesso non sentono pressione sufficiente a dare seguito alle raccomandazioni del Comitato CEDAW o a presentare i loro rapporti periodici rispettando le scadenze previste dalla Convenzione.

Il ruolo della società civile
Nel 2009 ricorreva il 30° anniversario della CEDAW e la Convenzione restava ampiamente sconosciuta in Italia. In quell’occasione ActionAid, insieme ad altre organizzazioni impegnate nella promozione dei diritti delle donne, ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “Lavori in corso: 30 anni CEDAW” per diffondere la conoscenza della Convenzione presso istituzioni, media, uomini e donne, italiani e non, che vivono nel nostro Paese. Il nome stesso della campagna voleva evidenziare quanto l’attuazione della CEDAW in Italia sia ancora un processo in corso.
In quello stesso anno, il governo italiano ha inviato all’ONU il suo 6° rapporto periodico. Come tutti gli Stati firmatari, ogni 4 anni il nostro Paese è tenuto a presentare al Comitato CEDAW un resoconto dettagliato delle azioni e delle misure adottate per applicare concretamente ogni articolo della Convenzione.
Otto organizzazioni appartenenti alla piattaforma “Lavori in corso: 30 anni CEDAW” hanno redatto un rapporto ombra presentato al Comitato CEDAW durante la 49° sessione di valutazione tenutasi a New York, presso la sede delle Nazioni Unite, lo scorso luglio.
Al rapporto ombra hanno aderito oltre 100 organizzazioni e altrettanti singoli individui: ciò ha reso le nostre istanze rappresentative della società civile italiana di fronte al Comitato CEDAW.

Il giudizio dell’ONU
Le raccomandazioni che il Comitato CEDAW ha rivolto all’Italia sulla base delle azioni implementate a favore dell’uguaglianza di genere rispecchiano in gran parte le analisi contenute nel rapporto ombra della piattaforma “Lavori in corsa: 30 anni CEDAW”. Segno che l’ONU ha ascoltato e tenuto conto delle criticità rilevate dalla società civile italiana.
Il giudizio del Comitato CEDAW è stato particolarmente duro riguardo agli stereotipi sessisti ampiamente diffusi dai media e nel linguaggio politico, in particolare la continua rappresentazione della donna come oggetto sessuale o in ruoli stereotipati all’interno dei nuclei familiari e nella società. Secondo l’ONU, gli stereotipi di genere pongono le donne in situazioni di svantaggio che si traducono nella scarsa rappresentanza delle donne a livello politico e nei ruoli dirigenziali, nelle disparità di trattamento subite sul lavoro e nella generale accettazione della violenza domestica.
La violenza di genere è l’altra problematica su cui il Comitato CEDAW ha espresso particolare preoccupazione: nonostante siano riconosciuti gli sforzi nell’adottare misure contro la violenza, come ad esempio l’introduzione del crimine di stalking, l’azione governativa risulta ancora inadeguata di fronte all’alto numero di crimini commessi contro le donne dai loro partner ed ex-partner, indice del fallimento dello Stato nel riconoscere la sua responsabilità di fronte alla drammaticità del problema.
Data la loro gravità nel contesto italiano, il Comitato CEDAW ha chiesto all’Italia di fornire ogni due anni un rapporto intermedio sui progressi fatti nell’adottare misure efficaci contro stereotipi e violenza di genere.
Il Comitato CEDAW ha, inoltre, espresso la sua preoccupazione sul fenomeno delle “dimissioni in bianco”. L’alto numero di donne che abbandonano il posto di lavoro dopo la nascita del proprio figlio è indice dell’assenza di misure efficaci per conciliare vita e lavoro e delle scarse politiche messe in atto per favorire una più equa ridistribuzione del lavoro di cura tra uomini e donne, che risulta evidente anche dalla scarsa fruizione del congedo parentale da parte dei padri.
Alcune note di disappunto accompagnano, però, il generale senso di trionfo da parte della società civile in questo processo d’esame dell’ONU. In particolare, la totale assenza di menzione ai diritti sessuali e riproduttivi e la mancata inclusione, tra le categorie particolarmente soggette a violazioni di diritti riconosciuti dalla CEDAW, delle donne lesbiche e transessuali, vittime di discriminazione multipla in tutti gli ambiti della vita.

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