PAROLA A RISCHIO

Sotto scacco

I due lati dell’educazione: per uscire dal ricatto globale cui siamo intrappolati, occorre rilanciare un movimento di autoeducazione permanente.
Roberto Mancini (Professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Macerata)

Nel cercare una risposta adeguata alla crisi di civiltà che colpisce tutti, si deve partire dall’educazione perché essa è nel contempo l’azione maieutica per l’umanità di ognuno, la trasformazione dello stile di vita delle persone e la più profonda dinamica di rigenerazione della società. È il confine della vita nuova comune. Una malintesa idea d’educazione porta a presupporre che possono essere educati solo i singoli e finché sono piccoli. Ma le società possono apprendere, educarsi, sino a trasformare la qualità della convivenza e della loro civiltà? Se l’educazione ha luogo in ogni evento o esperienza di umanizzazione della vita dei singoli, essa si attua anche nella vita della società complessivamente considerata. Occorre, poi, congedarsi anche dal pregiudizio secondo cui l’educazione sarebbe la preparazione a una vita che verrà: in realtà, le svolte educative sono già piena espressione del divenire dell’esistenza.

Quale educazione?
Credo che esistano due tipi di educazione: da un lato l’educazione fondamentale, quella affidata alla famiglia e alla scuola; dall’altro quell’autoeducazione sociale che è fatta di esperienze politiche, giuridiche ed economiche dove la società impara forme più umanizzate di convivenza. Finché si vede solo la prima forma di educazione, isolandola dalla seconda, essa finisce per soccombere alla pressione di una società presa nell’ignoranza e nell’incultura.
Certo, resta un nucleo comune e trasversale ai due lati dell’educare: infatti, ogni volta, nell’uno e nell’altro lato, si dà propriamente educazione lì dove la libertà umana rompe il corso meccanico e inerziale delle cose, il degradarsi delle situazioni, e inaugura un nuovo modo di stare al mondo, scoprendo nel cuore della realtà un versante che era rimasto sconosciuto e che, invece, ora viene illuminato. Un versante di realtà liberata, positiva, capace di comunione.
È la scoperta di un altro mondo, di un altro modo di stare al mondo insieme agli altri; è la soglia della rigenerazione della società e delle persone. Le grandi svolte della storia dell’umanità sono scoperte di questo tipo: come quando lo sguardo delle donne supera l’angustia della mentalità maschilista, o come quando Gandhi scoprì la nonviolenza e un modo etico di fare politica, oppure come quando un educatore impara a vedere le cose con gli occhi e la sensibilità dei più piccoli. Non fu così anche quando Gesù schiuse per tutti la soglia dell’amore vero, rivelando il volto del Padre e la sua luce, che illumina ogni volto umano ?
Tutto questo oggi sembra impossibile. Il sistema di organizzazione della società del mercato globale è fondato su un immenso ricatto: compiacere a ogni costo il capitalismo e le sue regole primitive o soccombere. Così, quasi tutti, anziché ribellarsi al ricatto, s’impegnano a compiacere sempre più il sistema.

Liberi
Per uscire da questa prigionia serve un grande e capillare movimento di autoeducazione sociale che spezzi il sistema del ricatto globale. Oggi l’arco dei partiti e dei sindacati esprime, per lo più, solo un minimo di cultura etica e politica: una visione equa, solidale, nonviolenta della società e della democrazia continua a restare senza soggetti e senza rappresentanza.
In Italia c’è una destra, per lo più scarsamente democratica, un centro che spicca per ambiguità e nessuna sinistra, giacché la sinistra vive lì dove si crede a un progetto di società alternativo al capitalismo. Non intendo affatto un progetto che riproponga il modello totalitario del socialismo reale; piuttosto si dovrebbe iniziare a prendere sul serio il fatto che già l’idea di società emergente dalla nostra Costituzione non coincide affatto con il modello capitalista. Nel contempo, la spinta profetica delle fedi, dal cristianesimo alle altre, rimane del tutto ininfluente dalla scena politica. I politici professionisti sono da sempre abituati a considerare la Chiesa come un’istituzione di potere e i cattolici come un serbatoio di voti senza i quali non si vince.
In una situazione di questo tipo la risposta da costruire è affidata a un vasto, trasversale, tenace movimento per la giustizia intera. Bisogna superare il pregiudizio per cui la giustizia si risolverebbe nei procedimenti giudiziari, senza riguardare i progetti di società, le leggi, la politica, che tuttora rimane asservita alla delirante economia del capitale e priva di rapporto con la giustizia. Invece, la costruzione della giustizia è il metodo e la sostanza della politica.

Per una giustizia radicale
Nei primi anni Ottanta del secolo scorso fu attivo per anni un movimento per la pace, forte, diffuso, sentito, che vide il risveglio di giovani, enti locali, confessioni religiose, partiti, scuole, università e che, ancora oggi, resta vivo in forme più disseminate e frammentate. È venuto il tempo di far nascere il movimento per la giustizia. Non certo come se fosse “un nuovo soggetto politico”, cioè una sigla in più rispetto a quelle già note, ma come l’emersione corale di una sensibilità e di un metodo inediti. Si tratta di un processo di autoeducazione sociale nel quale persone, comunità, associazioni, gruppi interni a partiti e sindacati assumono la Costituzione come visione condivisa di un’altra Italia e adottano la giustizia come metodo del loro agire. Penso a quella giustizia radicale, mite e precisa che è la giustizia secondo i criteri della dignità umana e del bene comune.
Se in ogni territorio del Paese sorgerà un movimento di questo tipo, potrà prendere corpo un’esperienza educativa collettiva capace di trasformare le condizioni culturali, sociali e politiche della vita pubblica. Questa prospettiva di iniziativa responsabile riguarda tutti, in linea di principio, ma gli adulti dovranno fare la propria parte non in maniera da “riempire” gli spazi, bensì in modo da togliere tutti i pesi che hanno imposto sulle spalle dei giovani, facendo spazio alle loro autonome iniziative. E i cristiani? Credo che debbano rovesciare i banchi dei mercanti nel tempio, cioè rovesciare i mercati posti al di sopra dell’uomo per opprimere la sua umanità. Devono rompere ogni complicità con il capitalismo, dichiarando apertamente, con la parola e con l’azione, che Cristo, non il mercato, è il signore della storia. Qui “signore della storia” è un’espressione che non allude a un capo o a un padrone, ma a colui che è fonte di vita nuova e che può essere seguito solo adottando una giustizia più grande (Mt 5, 20) di ogni calcolo di interesse o di successo, più viscerale della paura e più forte della crisi.

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