GIUSTIZIA AMBIENTALE

La donna che piantava alberi

Testimone di giustizia, di rispetto dell’ambiente e del creato.
Una donna Nobel per la Pace: Wangari Maathai
Alex Zanotelli

È una gioia per un missionario come il sottoscritto, aver fatto un pezzo di strada con una donna come la Wangari Maathai, Premio Nobel per la Pace, scomparsa il 25 settembre 2011. La conoscevo bene e ho partecipato a varie sue iniziative a favore soprattutto dei prigionieri politici e contro la dittatura del presidente Moi, che ha governato il Kenya per 25 anni.
Quando nel 1988 giunsi a Nairobi, una delle persone che volevo incontrare era proprio la Wangari, la donna che piantava alberi.
Andai a trovarla alla sede del Green Belt Movement (il Movimento della cintura verde). Un’organizzazione di donne keniane che si prefiggeva di piantare alberi in tutto il Kenya, un Paese che si va sempre più desertificando. Il cuore e la mente di quell’organizzazione era proprio Wangari, nata a Myezi il 1 aprile 1940. Si era laureata in biologia. Era un’appassionata della natura e della vita. È questa passione che la porterà a organizzare quello straordinario movimento verde che pianterà in Kenya milioni di alberi : un’impresa compiuta da migliaia di donne africane in tutto il Paese. La Wangari aveva una straordinaria personalità con una capacità di trascinare e entusiasmare soprattutto i giovani. Per questo l’abbiamo invitata varie volte a parlare ai giovani che partecipavano alle riunioni annuali del Catholic Youth Center (Centro Cattolico per i giovani). Era davvero capace di folgorarli: era allora nella sua piena maturità umana e spirituale. Era un’impietosa critica del regime dittatoriale di Moi: una delle poche voci che osava sfidare il ‘tiranno’. Per questo emerse come una delle voci più ascoltate del Kenya. Lo scontro finale con il potentissimo Moi avvenne quando, da sola, ebbe il coraggio di dire un no durissimo alla costruzione di un grattacielo di 60 piani (il più alto dell’Africa!) in pieno centro di Nairobi, nel bel mezzo del bellissimo UHURU Park, il polmone verde della capitale. Fu quella donna (in una società patriarcale fu un rospo duro per un uomo come Moi da ingoiare!) a vincere il duello. Ma la pagò cara con calunnie, attacchi durissimi alla sua persona...
Fu anche arrestata, ma poi subito rilasciata. Partecipai con lei al digiuno, proposto da un gruppo di donne, per la liberazione dei prigionieri politici. Il 28 febbraio quelle donne si spogliarono nude al Peace Corner nell’Uhuru Park, per ottenere la libertà dei prigionieri politici. (In Kenya, per una donna spogliarsi nuda in pubblico è segno di maledizione!). E ottennero la liberazione di parecchi prigionieri politici. Ebbi così la possibilità di conoscere più da vicino la Wangari e di partecipare alle sue lotte.
La pressione, poi, del regime Moi nei confronti della Wangai fu talmente forte che la obbligarono a defilarsi. E per anni non si udì più la sua voce. Ancora oggi non sappiamo la verità su quanto sia avvenuto e che cosa ci stia dietro a quel suo lungo silenzio, che durò praticamente fino alla caduta del regime Moi alle elezioni del dicembre 2002, con il trionfo del presidente Kilaki (tuttora al potere). La Wangari fu eletta deputata nel Parlamento keniano. E nel 2005 arrivò il Premio Nobel per la Pace. Era la prima donna africana a riceverlo. Era un premio per tutte le donne africane! Ma più di uno si meravigliò che il Premio per la Pace fosse dato a una donna impegnata sull’ambiente.
Bisogna riconoscere che la giuria del Nobel è stata lungimirante: non ci può essere pace tra di noi se non c’è pace con la Madre Terra. Un messaggio, questo, fondamentale oggi, di fronte alla crisi ecologica che ci minaccia. E trovo, poi, particolarmente significativo il fatto che all’indomani della morte della Wangari, il Nobel per la pace sia passato a due donne africane, Ellen Johnson Sirloaf (presidente della Liberia) e L. Gbower, per il loro impegno per la pace in Sierra Leone, e a una donna yemenita T. Karman, per il suo impegno nella primavera araba in Yemen. È un altro riconoscimento per quello che le donne africane sono in questo martoriato continente.
Sono grato per quello che le donne africane mi hanno regalato, quella passione, quella vitalità, quella forza straordinaria...
È quanto mi ha donato anche Wangari. È proprio vero che nella vita non ci si incontra mai per caso! Grazie Wangari! Grazie alle donne di Korogocho.

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