Business e tabù
Se è vero che la Pace non è solo assenza di guerra, è altrettanto vero che non vi può essere pace là dove si prepara o si vive la guerra; non vi può essere pace là dove si alimenta il mercato e la cultura delle armi. Può sembrare banale questa affermazione, ma sul tema della pace, almeno a parole, sono più o meno tutti d’accordo. Se si passa al discorso delle armi, a un impegno per un disarmo vero, la strada è molto in salita. Sì, perché parlare di disarmo è spesso un discorso tabù in ogni settore: economia, finanza, politica, partiti, Chiesa. Lo stesso nostro linguaggio è un linguaggio “armato”: “il tuo intervento è stato una bomba”, “alzare il tiro”, “sparare a zero”, … e così via. E quando non è un tabù, il disarmo viene visto come una cosa per “donnicciuole piagnucolose”, mentre imbracciare un’arma è segno di forza, di virilità. E, con amarezza, vediamo crescere questo modello di forza e virilità anche tra le donne, come apparente segno di pari dignità. In questo contesto, diventa ancor più importante il lavoro silenzioso per il disarmo. In Italia, da diversi anni esiste una vera e propria rete, la Rete Italiana per il Disarmo, (www.disarmo.org) composta da una trentina di associazioni (tra cui anche Pax Christi), che lavora per documentare e denunciare il grande business delle armi, monitorare le spese militari e il commercio delle armi, promuovere campagne e azioni mirate su alcuni temi, ad esempio i nuovi cacciabombardieri F35, il cui costo totale si aggira intorno ai 20 miliardi di euro. Le armi vengono sempre più presentate non come strumenti di morte, ma come espressione di alta tecnologia, come dei piccoli gioielli, come occasione di guadagno, soprattutto in tempi di crisi come questo. Infatti, per restare in Italia, tutti i settori di spesa vengono tagliati, dalla scuola alla sanità, ai servizi sociali, al lavoro, alle pensioni, ecc., ma non viene toccato il bilancio della Difesa. Un solo aereo F35 viene a costare all’incirca 150 milioni di euro.
Interessante e sempre attuale, e non solo per i credenti, il documento del 3 giugno 1976, “La Santa Sede e il disarmo generale”: “La corsa agli armamenti, anche quando è dettata da una preoccupazione di legittima difesa... costituisce in realtà un furto …La contraddizione manifesta tra lo spreco della sovrapproduzione delle attrezzature militari e la somma dei bisogni vitali non soddisfatti (Paesi in via di sviluppo; emarginati e poveri delle società abbienti) costituisce già un’aggressione verso quelli che ne sono vittime. Aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo, uccidono i poveri, facendoli morire di fame”. La strada è davvero ancora molto lunga, ma ci sono molti compagni di viaggio, molte donne e uomini che lavorano e credono nel disarmo: forse non li vediamo ospiti nei programmi di approfondimento Tv in prima serata, forse non fanno opinione sui grandi mezzi di informazione, ma lavorano, come tante piccole formiche. Certo, la guerra e le armi fanno sicuramente più rumore del lavoro silenzioso e sommerso per la pace e il disarmo. Ma sarà questo a portare frutti veri di giustizia e pace. E ci aiuta a tenere vivo l’impegno e la speranza questa poesia del grande Gianni Rodari, che ci invita a tornare bambini, meno aridi, meno calcolatori… “Eccole qua le armi che piacciono a me: la pistola che fa solo pum (o bang, se ha letto qualche fumetto) ma buchi non ne fa... il cannoncino che spara senza fare tremare nemmeno il tavolino... il fuciletto ad aria che talvolta per sbaglio colpisce il bersaglio ma non farebbe male né a una mosca né a un caporale... Armi dell’allegria! Le altre, per piacere, ma buttatele tutte via!”