Un mosaico multicolore
Non è facile parlare di nonviolenza. Attorno ad essa fioriscono pregiudizi, fraintendimenti e pigrizie mentali. Quando cominciano guerre come in Afghanistan (2001), in Iraq (2003) o in Libia (2011), davanti alle proteste degli amici della nonviolenza (meglio questa espressione che quella generica di pacifisti), si ripete che la nonviolenza o è un azzardo irresponsabile o è una vaga aspirazione o è una scelta encomiabile ma solo personale.
“Occorre essere realisti, la politica è un’altra cosa”, si esclama. E invece no! La nonviolenza è il realismo, è la politica! Certo, bisogna reagire alle violenze e difendersi dal male, ma ci sono modi non armati di reagire e di difendersi.
Arte politica
La nonviolenza è arte politica e scienza della pace: “Scienza articolata e complessa con tanto di formulazioni analitiche e di scelte rigorose. Che si avvale di grandi maestri e di una ormai incontenibile produzione bibliografica. Che fa perno attorno all’educazione e rielabora, in termini laici, l’antico motto dei profeti: o convertirsi o morire” (Tonino Bello, La speranza a caro prezzo, S.Paolo 1999). È l’ora della nonviolenza, gridava don Tonino durante le guerre balcaniche. Ma la nonviolenza va scelta, sperimentata, organizzata.
È cammino ragionevole e umano che dà fiducia all’indignazione.
È azione permanente a fianco delle vittime o dei deboli.
È un cantiere aperto a tutti e composto da mille atti quotidiani. Cosciente delle sue possibilità, conosce anche i limiti dei mali che ritiene superabili non con l’aggressione distruttiva ma con un’azione costruttiva. Non vuole prendere il potere ma trasformare i rapporti umani. Per questo plasma la società e rafforza la democrazia. Fin dal 1963 la “Pacem in terris” propone i quattro pilastri della casa nonviolenta: la ricerca della verità, la pratica di libertà, un’economia di giustizia, la forza dell’amore.
Sguardo nuovo
La nonviolenza è fare la pace con mezzi di pace. Non è mai una fuga, un lasciar fare, tanto meno un lasciar uccidere. È uno sguardo nuovo sui conflitti, un modo diverso di opporsi alla violenza o di ripristinare i diritti violati. La si sta studiando con varie ipotesi parziali: centralità di un’ONU rinnovata, polizia internazionale, difesa popolare nonviolenta, corpi civili di pace, disobbedienza civile, obiezione di coscienza, moti di resistenza-liberazione, campagne per disarmo e cooperazione, giustizia ricostituiva.
La nonviolenza è la civiltà del diritto in cammino: attuare il diritto codificato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nella Carta dell’ONU e in tanti testi come la Costituzione italiana. Sa essere efficace. Ha già realizzato alcune conquiste in varie parti del mondo, in India e in Sudafrica, negli Stati Uniti e in Sud America, nelle Filippine, nell’Est europeo e nel cuore dell’Africa, nel Medio Oriente e in Europa (anche l’Eta rinuncia alle armi). Vive nelle obiezioni di coscienza alle spese militari, ai sistemi e alle culture di guerra, ad ogni forma di dittatura, alla pena di morte. Opera nelle campagne contro la fame e la distruzione dell’ambiente. Nei movimenti indigeni sudamericani. Tra i monaci orientali. Nelle attività dei parenti delle vittime. Nel movimento internazionale degli “indignati”. Nelle reti interculturali. Nelle lotte delle donne. Nella mobilitazione antimafie. Nella cittadinanza attiva per i beni comuni: lavoro, finanza etica, commercio equo e solidale, consumo critico, acqua, energia pulita. Nelle iniziative per il disarmo (come gli F-35). Nella costruzione di “città aperte”. Nei movimenti ecumenici-interreligiosi per pace, giustizia e salvaguardia del creato. Nello “spirito di Assisi”, riproposto il 27 ottobre 2011. Nel decalogo della marcia Perugia-Assisi del 25 settembre 2011 che ne riassume i percorsi: garantire il diritto al cibo e all’acqua; promuovere un lavoro dignitoso; investire su giovani e cultura; disarmare la finanza e costruire un’ economia di giustizia; ripudiare la guerra e tagliare le spese militari; difendere i beni comuni e il pianeta; promuovere un’ informazione libera; fare dell’ONU la casa dell’umanità; democrazia partecipativa; società aperte e inclusive.
Persone e movimenti
La nonviolenza è un mosaico di persone, di culture e di storie. La nonviolenza politica moderna nasce con Gandhi nel 1906 in Sudafrica, laboratorio mondiale di nonviolenza fino a Nelson Mandela e Desmond Tutu che hanno favorito lo sviluppo di “commissioni per la giustizia e la riconciliazione”; interventi civili per la prevenzione e la trasformazione dei conflitti; gruppi sudamericani nunca mas o l’opera delle donne africane per i diritti umani; scuole di perdono; esperienze di “giustizia ricostitutiva” per superare le cause della violenza e ricostruire la vita sociale. La nonviolenza non è una dottrina compiuta né un metodo uniforme ma un insieme di storie, un mosaico di persone e di movimenti. Feconda varie discipline: etica e pedagogia, economia ed ecologia, politica e diritto, teologia e mistica, intercultura e arti varie. è intreccio di esperienze vitali: amore politico, lotta per la dignità umana, amicizia liberatrice, pratica di costruzione sociale, interdipendenza, gratuità.
È ricerca della felicità compatibile con molte filosofie e religioni di cui conserva, per così dire, la sostanza (la passione per le vittime e la possibilità di riscatto umano). Per questo si mescola a varie culture, arricchendole: è “compassione” buddista-induista, “satyagraha” gan-dhiana, “misericordia” islamica, “ubuntu” africano, “buen vivir” andino, “shalom” ebraico, “beatitudine” evangelica, “principio speranza”, la “regola aurea” dell’amore per il prossimo. Per i cristiani è la “buona notizia” del Cristo morto e risorto. Per Gandhi “forza della verità”. Per Martin L. King “forza di amare”. Per Tonino Bello “convivialità delle differenze” o “etica del volto”. Per i Forum Sociali Mondiali è agire per “un altro mondo possibile”. Per tanti è il nuovo fondamento della ragione, dell’economia e della politica.
Diventare umani
Tra i punti di riferimento, occorre riandare ai sei principi di Gandhi (non fare violenza, aderire alla verità, sacrificio, agire costruttivo, compromesso, gradualità) e al “Programma costruttivo” del 1909 e del 1941. Anche per M. Luther King (nel 1958) i principi nonviolenti sono sei: attiva resistenza al male, rifiuto dell’odio, lotta non contro le persone ma contro le strutture del male, accettazione della sofferenza, agape-amore in azione, fede nel futuro. Tra le fonti, Johan Galtung, Theodor Ebert, Jacques Sémelin, Jean Marie Muller, Pat Patfoort, Gene Sharp, Giovanni Salio, Giuliano Pontara, Enrico Peyretti, Antonio L’Abate, Peppe Sini, Antonino Drago, Luigi Bettazzi; le riviste «Azione nonviolenta», «Satyagraha», «Mosaico di pace», «Cem-Mondialità», «Nigrizia» e «Combonifem», «Missione oggi», «Mondo e Missione», «Narcomafie», «Rocca».
Storia profonda dell’umanità
Occorre scavare nella storia profonda dell’umanità, formarsi con le storie di Gandhi, Tolstoj, Aldo Capitini, Danilo Dolci, Vinoba Bhave, Lanza del Vasto, Albert Einstein, M. Luther King, Thomas Merton, Cesar Chavez, Chico Mendes, Primo Mazzolari, Giorgio La Pira, Giovanni XXIII, Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, Tonino Bello, Jean Goss, Helder Camara, Leonìdas Proaño, Oscar Romero, Paulo Freire, Alexander Langer, Thich Nhat Hanh, Chaiwat Satha-Anand, Raimon Panikkar, Vittorio Arrigoni, i volti dell’antimafia, la nonviolenza femminile di Simone Weil, Etty Hillesum, Hanna Arendt, Rosemary Linch, Doroty Day, Teresa di Calcutta, Wangari Maathai, Marianella Garcia, Annalena Tonelli, Doroty Stang, Anna Politovskaya, Ilaria Alpi o delle viventi Rigoberta Menchù, Shrin Ebadi, Vandana Shiva, A. San Suu Kyi, le vincitrici del Nobel per la pace 2011. La nonviolenza dei volti educa a vivere e ci rende umani. Intreccia la mobilitazione collettiva con l’impegno personale.
Possiamo, così, dire a noi e a tutti: sii tu la speranza che vuoi affermare, sii tu la nonviolenza in cammino.