PACE GIUSTA

Le parole maiuscole

Appare una breccia nel muro dell’indifferenza. Nasce la speranza. Emerge la voglia di essere protagonisti, del tempo e della storia. Intorno a quali parole chiave tracciamo percorsi di educazione possibile?
Nandino Capovilla (Coordinatore nazionale Pax Christi Italia)

Ben più lungo dei serpentoni di folla che sfilano nelle nostre città e molto più profondo di quei rapidissimi secondi di immagini che i TG governativi concedono alle opposizioni, è il fiume carsico della novità che sta attraversando questo nostro vecchio mondo, impaurito e stanco.
Pochi sanno, per esempio, che non ci sarebbero state le masse di “indignati” se Stephane, un ostinato vecchietto di 93 anni, non avesse provato a guardare negli occhi i giovani delusi e impauriti del suo Paese e, senza imbonirli né giudicarli, avesse cominciato a raccontare loro che è sempre il tempo della resistenza e che a ognuno è chiesto di non rassegnarsi, cominciando, prima di tutto, a indignarsi.
In Italia come in Francia, sembra prevalere la sfiducia nella possibilità di cambiamento e chi parla e scrive di pace e giustizia viene derubricato con un sorriso a residuo ingenuo di generici “comunismi” che fanno solo perdere tempo. Ma l’anziano saggio Stephane non la pensa così e la sorpresa è venuta dalla scoperta che come lui la pensavano migliaia, milioni di giovani, in tutto il mondo, primi fra gli altri i giovani nordafricani. Le venti pagine del suo libricino hanno scosso uno dopo l’altro il torpore delle nostre opinioni pubbliche (in due mesi sono state vendute quasi un milione di copie solo in Francia). “A quelle e quelli che faranno il XXI secolo dico con affetto ‘creare è resistere e resistere è creare’”.
Scegliendo il maiuscolo per questa consegna ai giovani Stephane Hessel, forse inconsapevolmente, voleva spronarli a vincere “il peggiore degli atteggiamenti, l’indifferenza”, per ricominciare a scrivere sui muri scrostati del nostro comune sentire, le parole maiuscole degli ideali più grandi: pace, giustizia, uguaglianza. L’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti mentre il motore del cambiamento è l’indignazione. Grandi sfide ci attendono, dall’immenso divario tra poveri e ricchi ai diritti dell’uomo e alla stato del pianeta”. Dice Hessel che su questo non possiamo transigere, lontano anni luce da ogni paternalismo imbonitore di tanti nostri politici, “perché se il nazismo è sconfitto, la sua minaccia non è del tutto scomparsa e la nostra rabbia contro l’ingiustizia è rimasta intatta. Non lasciamo che si accumuli troppo odio e continuiamo a invocare una vera insurrezione pacifica”.
Da queste parole è nato il vastissimo movimento popolare che sta restituendo il profumo della “primavera” alle piazze delle città di tutto il mondo.
Non fermiamoci all’imbarazzata sorpresa della nostra “opinione pubblica”, che tenta ancora di arginare la forza rivoluzionaria di questo movimento globale. Non accontentiamoci delle analisi preoccupate degli editorialisti dei quotidiani che, vecchi, obsoleti, decrepiti e fuori gioco rispetto al novantatreenne Hessel, riescono solo a guardare con diffidenza possibili rischi di fondamentalismi destabilizzanti, senza alzare lo sguardo ai milioni di indignati di tutte le latitudini che hanno osato aprire di nuovo l’agenda della pace e della giustizia.

Osare per fede
Osare è il verbo giusto, perché è necessario prendere atto che chi parla oggi di giustizia e di pace viene ancora considerato ingenuo o sognatore, mentre più profondamente sta ritornando a conquistare i nostri giovani la testimonianza di chi ha mostrato con la sua vita la strada impervia dell’”osare la pace per fede”, lasciando che lo Spirito Santo lavori in noi e ci annunci i tempi nuovi: “Misericordia e verità si sono incontrate; giustizia e pace si sono abbracciate. La verità si è levata dalla terra, e la giustizia si è affacciata dal cielo” (Sal 84).
Ma c’è un contributo fondamentale da dare perché all’annuncio di questi “tempi nuovi” corrisponda la costruzione di un altro mondo possibile, più giusto e riconciliato per tutti. Protagonista di questo passo dovrebbero essere la donna e l’uomo credenti che, nella fraternità delle comunità, prendessero sul serio il progetto di Dio per la storia umana. Continuo a coniugare i verbi al condizionale perché, purtroppo, non sembra questa la scelta della nostra Chiesa cattolica e ancora troppo debole è la testimonianza comune di tutti i credenti. Ancora prevale la difesa e l’arroccamento nella propria identità, ritenuta superiore alle altre, mentre il Regno di Dio che “è già in mezzo a noi” richiederebbe un più coraggioso servizio alla comune costruzione della società umana.
La diffidenza verso l’altro paralizza e ci si erige presuntuosamente a giudici del limite altrui, senza orientare energie e impegno su ciò che appare sempre più chiaro: “l’instaurazione della pace con giustizia attraverso una risposta comune alla chiamata di Dio. è la Pace Giusta che Dio propone all’uomo e che ci invita a unirci in un cammino comune e a impegnarci a costruire una cultura di pace”(Messaggio finale Convocazione ecumenica internazionale per la pace (Kingston, 25 maggio 2011).
Se la recente Convocazione ecumenica di Kingston ha tenuto fisso lo sguardo su questo orizzonte, la vita delle nostre Chiese è concentrata su ben altro, irregimentata in parziali “valori non negoziabili”; soprattutto, invece di collaborare con tutte le donne e gli uomini che stanno lavorando nello stesso cantiere del mondo, spesso i cattolici ritenuti “doc” preferiscono lavorare separatamente, distinguendosi dagli altri. Basti pensare con quanto distacco la Chiesa italiana ha osservato a distanza il movimento dei beni comuni e degli indignati, arrivando perfino a ipotizzare la soluzione di distrarre i “nostri” giovani cattolici dalle piazze di tutti i cittadini, per differenziare “gli indignati per bene” (che sarebbero i giovani cattolici) da tutti gli altri e chiamando questa élite di credenti “gli indignati propositivi” (Avvenire, 22 ottobre 2011).

Con responsabilità
Il contributo, invece, che proprio i credenti dovrebbero dare, è grande e urgente: “a cominciare da una responsabilità quotidiana per prevenire e quindi evitare la violenza alla sua radice. (…) Con partner di altre fedi abbiamo riconosciuto che la pace è un valore fondamentale in tutte le religioni e che, da questo impegno comune, dipende il futuro del mondo. La storia, specialmente attraverso la testimonianza delle chiese storicamente pacifiste, ci ricorda che la violenza è contraria al volere di Dio e non può mai risolvere i conflitti. È per questa ragione che superiamo la dottrina della guerra giusta andando verso un impegno per la Pace Giusta. E ciò comporta abbandonare i concetti esclusivisti della sicurezza nazionale e passare a una sicurezza per tutti e tutte. Ci unisce un desiderio comune: che la guerra diventi illegale. Se solo osassimo, come Chiese siamo nella posizione di indicare la nonviolenza ai potenti. Infatti siamo seguaci di uno che è venuto come un bambino indifeso, è morto sulla croce, ci ha detto di deporre le nostre spade, ci ha insegnato ad amare i nostri nemici ed è risuscitato dalla morte. Nel nostro cammino verso la Pace Giusta c’è urgente bisogno di una nuova agenda internazionale poiché siamo di fronte all’immensità dei pericoli che ci circondano” (Messaggio finale di Kingston). Non ho tagliato questa lunga citazione perchè è meglio non chiedersi quanti nella chiesa italiana hanno letto queste dichiarazioni di Kingston, oppure quanti hanno rilanciato nelle loro comunità l’altrettanto forte appello che dalla Convocazione delle religioni ad Assisi, il 27 ottobre 2011, si è levato per ripetere con insistenza che “la pace senza giustizia non è vera pace” e i credenti “devono far proprio il grido di chi non si rassegna alla violenza, nella ricerca comune di credenti e non credenti, per dire NO ad ogni ingiustizia” (dall’Impegno comune per la pace, Assisi 27 ottobre 2011).
Sapremo “educare i giovani alla giustizia e alla pace” rifuggendo le tentazioni identitarie che ci isolano, rispondendo all’universale voglia di cambiamento e alla chiamata ineludibile di Dio a collaborare con lui, qui sulla terra, per costruire il Regno?

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