PAROLA A RISCHIO

Alla scuola dei poveri

Comincia una nuova serie di questa storica rubrica. Andremo a sederci tra i banchi dell'aula di Bartimeo, personaggio "minore" tra le pagine dei Vangeli.
Tonio Dell'Olio

Ho idea che “andare alla scuola dei poveri” in troppi casi resti una frase a effetto senza ricaduta alcuna sulla realtà. Sembra un concetto nobile che somiglia molto a una concessione per la quale anche ai poveri si permette talvolta di prendere la parola per dire qualcosa. Se poi noi riusciamo a comprendere fino in fondo una scuola che peraltro non usa le nostre stesse parole e adotta un altro linguaggio comunicativo, questa è un'altra storia! Se poi ci guardiamo bene dal proseguire sulle strade che la scuola dei poveri può indicarci, anche questo è un altro affare! Per questo motivo vi propongo di rileggere le pagine di Vangelo che presentano la figura di poveri che si imbattono nella persona del Cristo. Lungo il corso di quest'anno assumeremo come docente tale Bartimeo di cui, con una certa dovizia di particolari forniti con brevi pennellate, ci parla soprattutto Marco al capitolo 10 aprendo così: “E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo...”.

Storie e geografie
Inaspettatamente si parla di un arrivo e di una ripartenza. Riferisce dell'ingresso di Gesù nella città di Gerico e, immediatamente dopo, della sua ripartenza. Quasi a indicare che tutto quello che avviene tra le mura di quel centro non ci riguarda, non ha importanza se non fosse per l'incontro con Bartimeo. Lui sì ha la dignità di un racconto, di una storia, di un dialogo con il Cristo! Il selciato della città di Gerico è funzionale al racconto e non a se stesso. Nonostante queste considerazioni, non possiamo passare frettolosamente oltre questa ouverture che ci introduce al volto del protagonista. Si tratta di alcune semplici coordinate geografiche che indicano il domicilio del povero. Prima ancora di riferirsi alla sua condizione di mendicante e di cieco, Marco sembra essere scrupoloso riguardo al luogo in cui ci troviamo, meglio: in cui si trova Bartimeo. Tutti coloro che hanno a cuore la sorte dei poveri devono essere esperti non solo di storia (dei fenomeni sociali, di politiche sociali, di diritto internazionale, di sviluppo sostenibile…) ma anche di geografia.
È necessario localizzare i luoghi della sofferenza, sapere dove recarsi a sgominare il rischio che la miseria degeneri in cancrena e che le condizioni precarie si cronicizzino. (c) Olympia Se non si possiede una piantina della città non si può correre nemmeno a spegnere gli incendi. Insomma capita che, dei poveri di cui parliamo o sentiamo parlare, troppo spesso conosciamo vagamente la loro condizione senza aver mai approfondito la posizione geografica. La densità abitativa, il clima, gli indici di istruzione e di sanità, i conflitti in corso o terminati da poco, ci riguardano perché incidono in modo determinante nella condizione di miseria. Gerico, per esempio, è luogo storico del trionfo di Jahvè su tutte le genti, sugli stranieri che osano frapporsi al cammino di Dio e al suo sogno di abitare nella terra promessa con il suo popolo. Stando al resoconto che ne fa il Libro di Giosuè, quella città sovrabbonda di popoli: “Gli Amorrei, i Perizziti, i Cananei, gli Hittiti, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei” (Gs 24,11). Ma oggi non sono questi popoli stranieri a dover essere annientati, ma la condizione di miseria dei Bartimeo che si incontrano ai margini della strada. Non è più il tempo di girare attorno alle mura suonando la tromba affinché le mura cadano e possiamo finalmente conquistare la città. Gesù sembra dire che, al contrario, gli abitanti di questa città, simbolo delle città di ogni angolo della terra, ci stanno a cuore. Il vero nemico da sconfiggere è la miseria.

Nel cuore delle città
C'è un Bartimeo che abita in Iraq e in Afghanistan anche oggi, abita nelle sconosciute regioni del Sudan e tra le coltivazioni di oppio in Colombia, abita i conflitti dimenticati di tante parti della terra. Soccorrerlo stringendolo d'assedio, prima che essere azione criminale, scelta gravemente immorale e illegittima secondo le leggi internazionali, è una tragica e drammatica ironia. È un paradosso! Se continuiamo a cingere le mura piuttosto che abbracciare le persone, mostriamo di non aver compreso che le strategie del Vangelo non saranno mai pianificate nelle tende dell'accampamento fuori le mura, ma nel cuore della città e dell'uomo. Dopo aver fatto guerra agli abitanti della terra di Abramo nel 1991 e averli affamati per 12 lunghissimi anni, alcuni Paesi dell'Occidente assetato di petrolio e di potere sono tornati a muovere portaerei e bombardieri. È un bel pretesto quello che pretende di vincere coloro che seminano il terrore seminando terrore con la guerra. Se avessimo conosciuto davvero le strade di tutte le Gerico della terra e dell'Iraq e dell'Afghanistan, avremmo tentato ben altre incursioni! Avremmo provocato dei blitz di solidarietà da spiazzare dittatori, fondamentalisti e fanatici di ogni religione! Avremmo messo in circolo gli anticorpi della nonviolenza invece delle tossine letali dell'odio. Se avessimo avuto a cuore quella gente con tanto di nome, di cognome e di paternità, avremmo evitato di risvegliare vecchie contrapposizioni e vendette tra fazioni islamiche e antichi casati, promuovendo semmai alleanze da riconciliazione. Il pane e non le bombe creano consenso sul target della pace e della democrazia!

Caro Bartimeo che cambi il tuo nome in Said e in Abdullah, in Ibrahim e in Omar, figlio di una terra prima affamata e poi stuprata, usata come meretrice e venduta come schiava, profumata non di essenze e fragranze antiche, ma di petrolio grezzo il cui barile vale più della sua stessa vita, chiederti perdono oggi, mentre le nostre armi continuano a deflagrare minacciando la liberazione e la democrazia, è esercizio che irride prima ancora che offendere. E allora non potrò fare altro voto se non quello di passare per le tue strade, di conoscere i tuoi padri e la tua lingua, le tradizioni del tuo popolo e le denominazioni della tua gente.
Come si prega nelle tue moschee? Cosa è rimasto delle Mille e una notte? Dove avete attinto la forza per sopportare una dittatura così crudele per tanti anni? Riesci ancora a leggere il futuro scrutando la trasparenza degli occhi di tuo figlio? Se ti conosco non ti evito e non ti aggredisco, al contrario ti rispetto e ti stimo per la tua fierezza e per la tua storia, per il tuo dolore e per la speranza che non hai ancora frantumato come un antico vaso di terracotta. Se ti conosco imparo ad amare i tuoi stessi figli e a innamorarmi delle piazze e delle strade che percorri, a mangiare nel tuo stesso piatto, a inebriarmi degli stessi profumi, a sognare lo stesso sogno. Quale sfida più audace e più pericolosa, per un tiranno, dell'amicizia solidale tra i popoli? Stringiamoci le mani, Bartimeo, per non rischiare anche noi di consegnarle a chi le userebbe per posare l'ennesimo ordigno di terrore, per cliccare sull'obiettivo strategico carico di effetti collaterali, per scrivere pagine traboccanti di retorica che offendono il sangue versato chiamandolo martire.
Se vedi Giona passare per le strade della tua Ninive, ti prego, fagli cenno di imbarcarsi sul primo piroscafo utile che attracchi ai nostri porti per predicare lì una penitenza degna di questo nome in cui sia il pane e l'amicizia a contagiare di libertà e non il triste colore della morte.
Arrivederci a presto, Bartimeo. Insciallah!

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