Giorgio La Pira. La profezia e la città
Chiunque si occupi, sia pur saltuariamente e in modo periferico, di politica, deve da sempre far i conti con una serie di domande, che ruotano intorno all’interrogativo su quanta utopia si possa trasferire nella logica politica, di governo e amministrazione. Le risposte si fanno per lo più univoche quando vengono dai politici stessi, spesso pronti a distinguere tra il loro ruolo e gli ideali di riferimento. Come a dire: un conto è il sogno, un altro la pratica di governo, che assume sempre più le logiche prammatiche dell’accettazione del principio di realtà.
Ma ogni amministratore, se si confronta con un preciso riferimento, ha molto da riflettere: una generazione di uomini e donne che in Italia e in Europa si sono
Eletto membro della Costituente nel 1946, è poi parlamentare e sottosegretario nel governo De Gasperi. Il 10 luglio 1951 viene eletto sindaco del capoluogo toscano. In tale veste realizza moltissime opere di edilizia popolare, promuove le politiche sociali a tutela dei cittadini più poveri, intraprende iniziative significative a difesa del diritto al lavoro, riuscendo a salvare dalla chiusura alcune delle aziende più famose della città (le officine meccaniche del Pignone, la farmaceutica Manetti e Roberts, la Fonderia delle Cure).
Ma nel suo ruolo di sindaco (che conserverà per tre legislature, di durata varia bile), diventeranno note a livello internazionale le sue iniziative di pace: le città, così duramente provate in ogni conflitto, devo no imparare a comunicare tra di loro al di là delle differenze culturali e le contrapposizioni politiche delle nazioni, a salva guardia dei loro membri: la condizione di cittadino immette nella logica del diritto e dei diritti, nessuno può cancellare lo status di persona di alcun individuo.
Sua iniziativa saranno i Colloqui mediterranei (che vedranno le rappresentanze dei popoli mediterranei radunarsi a Firenze per affrontare, tra l’altro, l’emergere della problematica Nord – Sud), le lettere agli uomini di governo appartenenti ai due blocchi, le visite in Paesi che venivano considerati nemici dell’Occidente (Unione Sovietica, Vietnam, Egitto,…).
Sarà denunciato nel 1962 per aver organizzato una proiezione pubblica del film “Non uccidere”di Autan Lara, uno dei capisaldi della cultura dell’obiezione di coscienza. Per i giochi politici all’interno del suo partito, la Democrazia Cristiana, viene progressivamente isolato anche perché fortemente inviso a buona parte della nomenclatura e della base elettorale, orientata a destra. Dopo esser stato eletto nuovamente parlamentare alle elezioni politiche del 1976 (a cui fu candidato dalla DC più per calcolo che per convinzione), muore a Firenze il 5 novembre 1977 nel convento dei padri domenicani di San Marco, presso cui ha vissuto molti anni, in autentica povertà.
L’edilizia popolare fu concepita con l’intento di dare a tutti la possibilità di possedere un’abitazione propria (le cosiddette “case minime”, essenziali e sobrie ma decisamente decorose), si vararono politiche di assistenza all’avanguardia per il tempo, si progettò la vita nei quartieri periferici con l’occhio attento a criteri che oggi definiremmo di sviluppo integrale e compatibile all’umano. Per fare un esempio, il quartiere periferico dell’Isolotto fu fatto ideare da gruppi diversi di architetti, con l’intento di edificare un’area urbana in cui gli edifici fossero il più possibile diversi da loro e nel maggior equilibrio consentito tra case, zone verdi, servizi, per evitare l’uniformità che caratterizza molti dei quartieri dormitorio di quel periodo, tristemente contraddistinti dalla logica del “sacco edilizio” che deroga selvaggiamente da ogni piano regolatore. L’idea di fondo è quella del villaggio, in cui le diversità e i valori umani si integrano in un microcosmo capace di favorire le relazioni. All’Isolotto esiste una zona urbana totalmente concepita per i piccoli, che fa sfociare la piazza principale in un “viale dei bambini”, largo e verdeggiante, che conduce al parco giochi della Montagnola e alla scuola elementare.
L’attenzione sincera del La Pira amministratore per i poveri, che si concretizzò sempre nell’accoglienza e nell’ascolto personali, si coniugò con uno stile di vita austero e al riparo da sospetti di sorta. Per lui si può parlare di un’autentica spiritualità delle Beatitudini, della povertà come scelta di libertà unita all’intolleranza nei confronti della miseria, contro cui bisogna lottare per esigenza di fede. Le lettere ai monasteri di clausura e agli istituti religiosi, con cui fu sempre in stretto contatto, dimostrano la qualità di un’azione politica che fu sempre sostenuta da un alto livello etico: l’impegno politico come esplicitazione di un servizio alla collettività che verifica la fede. Lo stesso impegno per la pace, logica espansione sul piano globale della famiglia umana della sollecitudine verso i propri concittadini, da indirizzare verso la cultura di una cittadinanza mondiale, transculturale e interculturale, si nutre in quest’uomo di riflessioni sulla Scrittura molto ricche. Si è scritto molto a suo tempo del millenarismo di La Pira, la sua visione storica dettata dai profeti e dall’apocalittica biblica: una sua frase famosa recitava “alla fine del mondo resusciterà anche il Campanile di Giotto”, espressione del suo riferimento alla teologia delle realtà terrestri come assunzione piena del valore del mondo, pur annunciandone il superamento alla luce del Regno di Dio che viene.
Un Regno che non annullerà la bellezza frutto delle mani, dell’ingegno, della sofferenza degli esseri umani. Questa visione sul presente, che si pone la questione sul rapporto con il passato per l’edificazione del futuro, dovrebbe essere
Lettere al Carmelo,Edizioni Vita e Pensiero, Milano 1987, pag. 125
L’attesa della povera gente,LEF Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1983, pag. 98
I colloqui della Badia,LEF Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1989, pag. 236
La Pira autobiografico (antologia di testi), SEI, Torino 1995, pag. 202
Opere su Giorgio La Pira
Ernesto Balducci, Giorgio La Pira,ECP Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1986, pag. 188
Paola Palagi, Giorgio La Pira. Politica e opzione per i poveri,EDB, Bologna 1996, pag. 236
Angelo Scivoletto, Giorgio La Pira: la politica come arte della pace, Ed. Studium, Roma 2003, pag 286.
Se la politica non si pone la questione dell’edificazione della pace – e di una pace da intendersi nel suo senso più ampio, di proposta e identificazione di un’esistenza piena e risolta positivamente, articolata nell’acquisizione e nel rispetto reciproco di diritti e doveri – è una politica fasulla, che non sarà mai capace di svincolarsi dalla pura gestione dell’esistenza, non riuscirà mai a generare moralità e futuro e che, per questo, finirà inevitabilmente preda della logica, sempre più meschina, dello scambio corporativo, fino alla concussione e al peculato, ormai di fatto concessi moralmente e depenalizzati. I risultati danno ragione al piccolo professore diventato sindaco: grazie a lui si sono messe in comunicazione realtà assai distanti, la città è stata ancora pensata come realtà da vivere e non da subire passivamente, la speranza è entrata nei linguaggi amministrativi perché fosse in grado di donar loro respiro e orizzonte.
Più il tempo presente ci suona politicamente squallido, più ricordare Giorgio La Pira ci ridà energia e voglia di fare. Perché sappiamo che da chi ci governa possiamo chiedere altro oltre all’essenziale della competenza e dell’onestà: la capacità di sognare e di progettare una realtà comune, solidale, capace di chiedersi e dare avvenire.