CHIAVE D ’ACCESSO

E Bush vuole schedare i pacifisti

Alessandro Marescotti

Un importante documento del Pnac (Project for a New American Century) ispirato alle idee di Paul Wolfowitz (oggi vicesegretario alla Difesa) avanza la richiesta di un maggiore controllo di Internet. Perché? È presto spiegato: “Dall’uso di internet da parte degli insorti zapatisti in Messico fino alla guerra del Kossovo, la comunicazione via computer ha aggiunto una nuova dimensione alla guerra”.
Franz Gustincich ha studiato il problema e spiega: “L’attuale impossibilità di impedire al nemico l’accesso a internet è vista come un ‘tallone d’Achille’ per l’esercizio del potere. Il problema si pone sullo stesso piano dell’efficienza delle forze militari propriamente dette. Il controllo della Rete è un annoso problema delle forze armate Usa, a causa delle informazioni libere che vi possono viaggiare. Soprattutto durante una campagna militare, si possono così trasferire con facilità testimonianze non desiderate e messaggi in codice. Tuttavia, ricorda lo stesso documento, intervenire sulla Rete implica dei problemi etici e politici” (in Limes, 2/2003). Manuel Castells, nel suo bel libro Galassia internet (Feltrinelli), illustra come in sordina si stiano sviluppando delle sofisticate “tecnologie del controllo” finalizzate all’identificazione degli utenti su internet.
Il 23 novembre 2003 negli Usa è emersa la clamorosa notizia che l’Fbi sta raccogliendo massicci quantitativi di informazioni sui partecipanti alle dimostrazioni contro la guerra in Iraq.
Ormai si è giunti a forme di invadenza che giungono all’analisi dei nostri hard disk, quotidianamente perquisibili online. “Così facendo – afferma Castells – hanno permesso alla sorveglianza governativa di tornare con rabbia vendicativa nello spazio di libertà che era stato scavato dai pionieri di Internet”. Chi scrive queste parole non è un arrabbiato frequentatore di centri sociali, ma un consulente informatico del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Castells spiega che mai i governi sarebbero riusciti nel progetto del controllo di internet se non avessero avuto dalla loro parte un certo numero di programmatori di alcune multinazionali del software.
L’accordo è basato su un reciproco favore: tecnologie di controllo politico in cambio di controllo sul copyright. Il controllo governativo che non si era mai spinto fino ad aprire le buste delle lettere… entrerà nei nostri hard disk? Non è ancora detto. La lotta per la libertà è ormai diventata una lotta fra tecnologie con opposte finalità e dal mondo hacker (da non confondere con i pirati, ossia i cracker) ogni settimana giungono notizie di segno libertario: le tecnologie del controllo vengono smontate e smascherate. Eppure nel dizionario Paravia De Mauro leggiamo che un hacker è “chi si inserisce in un sistema di elaborazione disturbandolo o sabotandolo”. Falso. Tale definizione è valevole per i cracker. Gli hacker invece “smontano” le tecnologie che molti di noi usano a scatola chiusa. Scoprono le trappole nascoste. Garantiscono la trasparenza. Dovremmo ringraziarli: stanno difendendo la nostra libertà.

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