PENA DI MORTE

L’orrore continua

Nessuno tocchi Caino: il punto sull’impegno contro le condanne capitali.
Cristina Mattiello

È dedicato al neo-presidente del Kenia Mwai Kibaki il Rapporto 2003 di “Nessuno tocchi Caino” sulla pena di morte nel mondo: 195 condanne subito commutate in ergastolo, 28 detenuti liberati e la promessa di una nuova Costituzione che sarà abolizionista. È un segno di speranza: tra i tanti orrori cui quasi ci stiamo abituando ad assistere, almeno sul piano della pena di morte “la

La pena di morte nel mondo
Nessuno tocchi Caino. La pena di morte nel mondo. Rapporto 2003, a cura di Elisabetta Zamparutti, Marsilio, 2003. La versione originale integrale del discorso di Ryan al momento della commutazione delle pene capitali, si può trovare nel sito CND-RTEX.htlm.
situazione nel mondo è quanto mai cambiata negli ultimi anni”. In leggero calo, nel 2002, le condanne totali eseguite: da almeno 4700 nel 2001 a 4078. Saliti a 130 i Paesi che, in vari modi, hanno rinunciato a questa pratica: 78 totalmente abolizionisti, 14 solo per i crimini ordinari, altri de facto: tra i 66 Paesi mantenitori, solo 34 hanno effettivamente eseguito condanne.
Sono questi i frutti di anni di campagne di sensibilizzazione delle associazioni per i diritti civili e delle denunce di giuristi, avvocati, giornalisti. Negli stessi Stati Uniti gli ultimi sondaggi danno ancora i favorevoli alla pena di morte al 65%, ma la percentuale scende al 46% se l’alternativa è l’ergastolo senza condizionale, laddove nel 1994 si arrivava a punte dell’80%. Lo scorso anno, in particolare, l’esperienza personale e politica del Governatore dell’Illinois George H. Ryan, culminata con la commutazione di tutte le condanne capitali dello Stato in ergastolo, ha contribuito in modo significativo a far breccia nel muro di consenso. Nella sua Prefazione al dossier di “Nessuno tocchi Caino”, Ryan scrive che, nel 1999, all’inizio del suo mandato, non avrebbe mai immaginato di doversi confrontare con “l’ingiustizia del nostro sistema della pena capitale”: “Avevo sempre pensato che prendessimo i cattivi ragazzi e li mettessimo dentro. (…) Dovevo giungere alla più alta carica dello Stato dell’Illinois per capire che se sei povero e appartieni a una minoranza, il sistema è schierato contro di te”.
Ma continua il massacro, che il Rapporto documenta puntualmente con dati aggiornati e schede per ogni Paese. Il triste primato spetta ancora alla Cina, con almeno 3.138 condanne ufficialmente eseguite – ma fonti
Ryan ci ripensa
Il ripensamento di Ryan scaturisce dall’analisi dei dati dei gruppi abolizionisti e di numerosi casi, che rivela scoperte sconvolgenti: due terzi dei condannati, spesso da giurie di soli bianchi, afroamericani; detenuti, poi beneficiati, come unici accusatori; avvocati inetti e corrotti; confessioni estorte con la violenza; prove d’innocenza ignorate. “L’impressione è quella del sistema giudiziario del Sudafrica al tempo dell’apartheid (…) Come possiamo noi decidere a chi tocca fare la parte di Dio?”
interne alternative ipotizzano la spaventosa cifra di 15.000 ogni anno dal 1998. Seguono l’Iran con 316 e l’Iraq con almeno 214 accertate, che sarebbero però circa 4000 secondo un’inchiesta delle Nazioni Unite. Allarmante è la presenza, tra i 66 Paesi mantenitori, di ben 13 democrazie liberali, di cui cinque con condanne eseguite: oltre agli Stati Uniti, con la cifra più alta (71), l’India, la Thailandia, Taiwan e il Giappone. Il Rapporto sottolinea anche la mancanza di processi equi e la violenza che fanno quasi sempre da contorno a queste esecuzioni, il permanere dell’applicazione della condanna a morte sui minori negli Stati Uniti (3 casi), negli Emirati Arabi Uniti e in Iran o per reati che non implicano violenza, come quelli di tipo economico e sessuale, in Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord, il frequente sospetto o l’accertamento di casi di condanne di innocenti ovunque.
Nonostante i segnali positivi, quindi, la mobilitazione deve continuare. L’obiettivo della moratoria, al quale da tempo lavora “Nessuno tocchi Caino”, è ancora lontano. In Italia, in particolare, si registra addirittura un’inversione di tendenza non prevedibile al momento della pubblicazione del Rapporto, lo scorso luglio. Se fu infatti proprio il nostro Paese, nel 1994, a presentare per la prima volta una risoluzione sulla moratoria all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, oggi che sulla carta l’esito della votazione dovrebbe essere anche più favorevole (95-100 contro 62-65, con 21-26 astensioni), il nostro governo, che pure, come ricorda il Rapporto, lo scorso maggio sembrava favorevole a replicare l’iniziativa, si è rifiutato di farlo. Nel quadro geopolitico che si è delineato dopo l’11 settembre, nel campo dei diritti nessuna posizione, nessuna garanzia acquisita si possono più dare per scontati.

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