DIALOGO

La vera sfida dei nostri tempi

Troppe volte le differenze ingigantite dai nostri orgogli fanno dimenticare che il popolo di Dio vuole l’unità.
Iuvenalie Ionascu

Esiste una leggenda secondo la quale il sultano Maometto avrebbe avuto una visione: gli si sono mostrati cinque cristiani e una voce gli avrebbe detto: “Se esistessero questi cinque cristiani, la V Costantinopoli non sarebbe caduta”. Certamente i cinque cristiani sono i cinque patriarchi apostolici: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Se questi cinque fossero uniti, la catastrofe del 1453 non sarebbe mai successa.
I cinque cristiani sono, simbolicamente, la Chiesa una, così come l’ha conosciuta il primo millennio cristiano. Fino al 1054, con tutte le lacerazioni interne (eresie, lotte tra Chiesa e Stato) ed esterne (invasione dei barbari), la Chiesa di Cristo è riuscita a mantenere la sua unità. Il secondo millennio lo abbiamo trascorso separati. Mille anni di storia diversa hanno lasciato delle ferite che difficilmente si potranno rimarginare. Ma gli ultimi decenni del secolo appena concluso ci danno grandi speranze. Lo storico incontro tra il Patriarca Atenagora I e il papa Paolo VI ha segnato l’inizio di una nuova era, quella dell’ecumenismo. La Chiesa ha posto il capo sotto il segno dell’amore fraterno e questo è evidente nelle parole del documento “Tomos Agapis” (Atenagoras, 7 dicembre 1965).
Il patriarca Atenagoras ha lavorato notevolmente per concretizzare il disegno di unità del mondo ortodosso – riprendendo e attuando l’idea di un Concilio o Sinodo panortodosso e nello stesso tempo il sogno dell’incontro ecumenico tra Chiese cristiane, ritenendo fermamente che l’unità è la conseguenza di accordi teologici ma anche di incontri interpersonali. Per concretizzare questo suo sogno, mentre si svolgeva il Concilio Vaticano II e parallelamente le conferenze interortodosse di Rodi, Atenagoras incontrava Paolo VI a Gerusalemme, per pregare insieme. Successivamente, il patriarca Atenagora e papa Paolo Vi si incontrarono nuovamente, dapprima a Istambul e poi a Roma.
Credo opportuno evidenziare che Atenagoras aveva una forte convinzione nell’unità della Chiesa e nel percorso ecumenico. Affermava, infatti: “Lo stesso Signore, lo stesso Vangelo, la stessa fede, i martiri del Colosseo ci sono comuni..., se vi sono differenze, venute dopo, non bisogna dimenticare che al di sopra e al di là di esse vi è lo spirito di carità, di comprensione, di collaborazione”.
Le due Chiese, ortodossa e cattolica, si sono ritrovate come sorelle e si impegnano in un cammino verso l’unità. Questa, infatti, è la preghiera di Gesù: che tutti fossero una sola cosa in Lui. E questo è importante, direi una priorità oggi, per tutte le nostre Chiese e comunità. Per questo obiettivo ci dobbiamo impegnare con serietà, superando le difficoltà che la storia ha frapposto alla nostra unione, nei secoli passati.
Certamente riconosco che è un compito non semplice che ci viene oggi affidato, ma non è neppure da ritenersi impossibile. Al Giudizio Universale ci sarà chiesto

Paolo VI: “Riscoprirci Chiese sorelle”
Dal messaggio di Paolo VI al patriarca Athenagoras, 25 luglio 1967

[…] Incontriamo nuovamente il nostro amatissimo fratello Athenagoras, arcivescovo ortodosso di Costantinopoli e patriarca ecumenico, e siamo animati dall’ardente desiderio di vedere realizzarsi la preghiera del Signore: “Che essi siano uno come lo siamo noi. Io in essi e tu in me: perché siano consumati nell’unità: e il mondo conosca che tu mi hai mandato” (Gv 17,22-23).
Questo desiderio anima una risoluta volontà di fare ogni cosa in nostro potere per avvicinare il giorno in cui sarà ristabilita piena comunione tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente: perché cioè tutti i cristiani si ricompongano in quell’unità che permetterà alla Chiesa di testimoniare più efficacemente che il Padre ha inviato il Figlio nel mondo perché in lui tutti gli uomini divengano figli di Dio e vivano come fratelli nell’amore e nella pace.
[…] Poiché in ogni Chiesa locale si opera questo mistero dell’amore divino, non è forse qui l’origine di quell’espressione tradizionale, per cui le Chiese dei vari luoghi cominciarono a chiamarsi tra di loro sorelle? Le nostre Chiese hanno vissuto per secoli come sorelle, celebrando insieme i Concili ecumenici che hanno difeso il deposito della fede contro ogni alterazione. Ora, dopo un lungo periodo di divisione e incomprensione reciproca, il Signore, malgrado le difficoltà che nel tempo passato sono sorte tra di noi, ci dà la possibilità di riscoprirci come Chiese sorelle. Nella luce di Cristo noi vediamo come sia urgente sormontare questi ostacoli per arrivare a condurre a pienezza e perfezione la comunione già così viva esistente tra di noi. […] Occorre, infine, da una parte e dall’altra, con reciproci contatti, promuovere, approfondire e adeguare sia la formazione del clero, sia l’istruzione e la vita del popolo cristiano. Attraverso il dialogo teologico, reso possibile dal ristabilimento della carità fraterna, si tratta di conoscersi e rispettarsi, pur nella legittima diversità delle tradizioni liturgiche, spirituali, disciplinari e teologiche.
quanto abbiamo fatto perché l’unità diventasse ciò che Cristo vuole. Dobbiamo riconoscere che gli ostacoli sono molti e non sono da ignorare. Ma al tempo stesso è necessario prestare attenzione alle sfide del nostro tempo e accorgerci che ciò che ci unisce è più di quanto ci divide: è questa la meravigliosa eredità che ci portiamo dentro e che dobbiamo valutare. È questa l’eredità a cui dobbiamo dar voce e parola nei nostri giorni.
Il professor Oliver Clément confessava che, pur essendosi impegnato molto in favore del dialogo ecumenico, dopo trent’anni, restò deluso perché l’unità della Chiesa non era stata raggiunta secondo le sue speranze e i suoi desideri. Poi capì che i tempi della Chiesa non sono quelli della vita di un uomo. Che c’è bisogno di un impegno serio e di grande portata e che la più grossa difficoltà non è tanto la differenza tra le Chiese e le relative tradizioni di fede e liturgiche, quanto l’indifferenza reciproca. Fondamentalmente non ci conosciamo e non ci rispettiamo gli uni gli altri.
E per questo ritengo che la sfida ecumenica che i nostri tempi ci pongono dinanzi richiede dialogo, conoscenza e amicizia. Le nostre opere, in questa direzione, testimonieranno per noi che siamo tutti veramente figli dell’Altissimo e che possiamo chiamare insieme Padre il Dio che preghiamo. Padre di tutti e di ciascuno. Troppe volte inciampiamo in ostacoli che segnano le nostre differenze e che sono ingigantiti dai nostri orgogli e dimentichiamo che il popolo di Dio ci vuole uniti.
Ricordiamoci della folla che, a Bucarest, quando il papa Giovanni Paolo II ha visitato la Romania, gridava spontaneamente: “Unità! Unità!”. La Chiesa ci vuole uniti e noi non le diamo ascolto! Ritroveremo tutti il nostro carisma in questa unità che auspichiamo e in essa, all’interno di una Chiesa unita, ritroveremo anche tutto ciò che per noi è importante. Ma il lavoro è tanto…
Dobbiamo essere sinceri, se davvero desideriamo questa unità. Il dialogo tra le nostre Chiese conosce alti e bassi: non lasciamoci scoraggiare! Non areniamo il nostro lavoro agli errori della storia! Perché l’unità della Chiesa non è solo opera nostra. Sappiamo con certezza che lo Spirito Santo muove i cuori dei nostri fratelli, soprattutto di coloro che non hanno abbastanza fiducia. Ma ciascuno deve fare la propria parte e operare per un dialogo e conoscenza reciproca tra le nostre Chiese.
Il cammino ecumenico è ormai una via senza ritorno. L’ecumenismo è la vocazione del cristiano del terzo millennio. Lo dobbiamo conquistare passo per passo. Perché Cristo al suo ritorno possa trovare non solo la fede sulla terra ma soprattutto un’unica fede su questa nostra, comune, terra. È questa la grande sfida per la nostra generazione e per quella che verrà.

Note

Protosingello, Archimandrita della parrocchia ortodossa romena di san Giovanni Cassiano di Roma

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