STORIA

Tra catene e piantagioni

Il Cristianesimo negli Usa nel periodo della schiavitù afro-americana.
Come nascono gli Spirituals?
Cristina Mattiello

Con le sue parole la ex-schiava Lucretia Alexander ci racconta la storia del Cristianesimo

Arrivava il predicatore bianco e cominciava a dire: “Servite il padrone. Non rubate il tacchino del padrone. Non rubate i polli del padrone. Fate tutto quello che vi dice il padrone”. Sempre la stessa storia. Mio padre teneva le riunioni della chiesa nelle capanne e dovevamo parlare sottovoce. Era lì che andavano quando volevano un vero incontro di preghiera e una vera predicazione. Cantavano sussurrando e pregavano sottovoce.

Lucretia Alexander


nelle piantagioni. Da un lato, religione dei padroni, strumentalizzata per l’oppressione, dall’altro veicolo fondamentale per il recupero di un’identità umana negata con la violenza. Fin dall’inizio l’introduzione del Cristianesimo fu controversa, per la reticenza dei padroni a fornire strumenti culturali agli schiavi. I missionari riuscirono alla fine a ottenere il permesso di contattarli, ma la predicazione fu fortemente condizionata: il predicatore bianco nelle piantagioni resta nel tempo un elemento organico al sistema, che usa la religione per legittimare la schiavitù e indurre gli schiavi alla sottomissione fornendo loro un elemento consolatorio: “Lo schiavo che abbraccia il Cristianesimo è l’uomo libero del Signore, pur restando schiavo”, disse Cotton Mather, figura leader delle prime comunità puritane.

L’essenza liberante del messaggio cristiano fu però presto percepita dagli schiavi. In un contesto dominato da una continua violenza fisica e psicologica, il cui fine era l’annientamento della loro stessa umanità e in cui la precarietà della vita era assoluta – si poteva essere venduti o trasferiti, ma anche colpiti e perfino uccisi in ogni momento – si arrivava facilmente quasi a un ottenebramento delle facoltà intellettive. La resistenza mentale era, dunque, la prima frontiera (come hanno raccontato anche i sopravvissuti ai lager). E il messaggio cristiano, per quanto piegato agli interessi del sistema,

La storia della schiavitù afroamericana negli Stati del Sud degli Stati Uniti è stata raccontata dagli schiavi stessi, con i loro scritti dopo l’emancipazione – come l’autobiografia di Frederick Douglass e delle ex-schiave predicatrici – e poi con le testimonianze orali raccolte fino agli anni Trenta da ricercatori impegnati nel campo dei diritti. È con queste parole che è stato ricostruito l’orrore del sistema delle piantagioni, nel quale la religione ha un ruolo fondamentale. Per i “padroni” gli schiavi – considerati un oggetto e non persone – erano soltanto un numero nell’elenco delle loro proprietà, e la storiografia ufficiale per molto tempo non si era posta molte altre domande. Impossibile determinare con precisione il numero complessivo degli schiavi, dall’era coloniale all’abolizione della schiavitù dopo la fine della Guerra civile (XIII Emendamento alla Costituzione, 1865), ma è nell’ordine di molti milioni: nell’Ottocento in più periodi è attestato un picco di 4 milioni.

trasmetteva una verità fondamentale, che era difficile occultare totalmente e che gli schiavi colsero con chiarezza: che anche loro erano esseri umani e che gli esseri umani sono tutti uguali di fronte a Dio. Il Cristianesimo dava loro, nonostante tutto, un codice morale condiviso, attraverso il quale arrivarono a smascherare l’“ipocrisia” dei padroni e delle Chiese bianche e a sentire una loro superiorità morale nell’oppressione materiale: “Il ministro ci diceva che non dovevamo essere in peccato quando prendevamo il sacramento. Io pensavo che era in peccato lui perché aveva degli schiavi” (testimonianza di James Sumler). E ancora: “Ci dicono che rubare è male. Ma perché i bianchi hanno rubato mia madre e sua madre?” (Charles Brown).

A poco a poco prende corpo un’“altra” religiosità. Gli storici parlano di una “istituzione invisibile”, perché la religione degli schiavi nasce e si sviluppa nella clandestinità. Emergono ben presto figurecarismatiche, gli schiavi predicatori, che nello sfinimento di una giornata di lavoro disumano trovano, ispirandosi al Vangelo, le parole giuste per ridare un senso e creare comunità. Erano riunioni proibite nelle quali il Cristianesimo viene vissuto con un’intensità emotiva sconosciuta alle Chiese ufficiali dei bianchi, in cui confluiscono i ricordi della spiritualità africana, ed elementi dell’esperienza revivalistica che segnò negli Stati Uniti il successo anche numerico delle Chiese battiste e metodiste. 

Il pastore nero conosce gli abissi della disperazione di Giobbe e cerca nella fede di recuperare la speranza, sottolinea l’umanità comune di “bianchi e neri, schiavi e liberi” (Col. 3,9-11), cita Paolo quando dice che “siamo fatti tutti dello stesso sangue” (Atti, 17,26), ma soprattutto entra in risonanza emotiva con la sua comunità, ne condivide il dolore e l’aiuta a esprimere la volontà di sopravvivere. Solo lui riesce veramente a parlare di fede nella piantagione: “I predicatori bianchi parlavano con la lingua, e

non dicevano niente, ma Gesù a noi schiavi ha detto di parlare col cuore” (Nancy Williams). 

Le riunioni sono clandestine, avvengono di sera, perché lo schiavo vive “dal tramonto all’alba” (George Rawick), in luoghi segreti, o in qualche capanna, o in grotte nei boschi. Erano assolutamente vietate e le punizioni erano feroci per chi veniva scoperto a partecipare: “Se i bianchi arrivavano quando i neri stavano pregando, frustavano tutti”. Le pattuglie erano sempre in agguato. Assolutamente proibito era il rapporto diretto con la Bibbia, centrale in ambito protestante, che comportava ovviamente l’alfabetizzazione. Pesanti pene fisiche erano previste per chi venisse scoperto a imparare a leggere e scrivere per potersi accostare alla lettura della Parola: oltre alle frustrate, spesso veniva tagliato un dito.

Spirituals

È in questo contesto che nascono gli Spirituals: molto vicini al sermone di tipo revivalistico, con una struttura aperta costituita da una parte molto semplice, facilmente apprendibile, e una integrabile con l’improvvisazione, questi canti religiosi sono davvero una creazione della comunità, il messaggio degli schiavi al mondo, l’unica voce possibile nell’oppressione. Raccontano le sofferenze, il dolore, ma anche, attraverso metafore, la speranza: il viaggio verso la Terra promessa che è anche il viaggio verso il Nord

e la libertà dalla schiavitù, la “Valle solitaria” dell’incontro con Gesù, che è un luogo dello Spirito ma anche il luogo delle riunioni segrete di preghiera.

Il predicatore nero può spingersi oltre: catalizzatore delle istanze psicologiche e spirituali della comunità degli schiavi, a volte tenta di diventare anche leader politico. Le tre più incisive rivolte di schiavi vedono protagonisti sempre i predicatori della piantagione, tra cui la figura leggendaria di Nat Turner. E tutti i leader afroamericani della storia contemporanea, Martin Luther King soprattutto, ma anche tutti gli altri, trovano le loro radici nei predicatori della piantagione. Anche Obama, nel “Discorso della vittoria” subito dopo la sua elezione, ha ripreso la retorica del sermone afroamericano tradizionale.

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