POLITICA

Ossessioni sovraniste

Un governo guerriero... E la Costituzione arranca.
Cosa sta accadendo al nostro Paese?
Sergio Paronetto (Presidente del Centro Studi Economico-Sociali per la Pace di Pax Christi Italia)

Continuando la riflessione politica sulle caratteristiche dell’attuale governo, cominciata negli ultimi due editoriali e con l’intervento di Giulio Marcon (cfr. Mosaico di pace di luglio, pag. 8-9), mi sembra importante richiamare i criteri etico-politici presenti nella logica governativa. Occorre dire, anzitutto, che in Italia non c’è un governo del popolo. Qualcuno ha detto che sono al governo “i migliori perdenti”. Le forze di governo non hanno vinto le elezioni e non hanno vinto insieme. Se due forze, che durante la campagna elettorale si sono presentate l’un contro l’altra armate e insultate pesantemente, si mettono insieme per governare vuol dire che sono spinte da una reciproca provvisoria convenienza, da una logica di potere. Il loro contratto mette insieme pezzi di programmi, sommando richiesta a richiesta in un crescendo demagogico finanziariamente insostenibile. Ne sono esempio la flat tax (che porta a diminuire le tasse per i più ricchi) e il reddito di cittadinanza (che può alimentare l’assistenzialismo). Proposte economiche così esagerate potranno essere finanziate o con nuove tasse o con nuovi debiti o con avventure neocoloniali. 

Un contratto aggressivo 

Un contratto simile ha un significato privatistico, volto a realizzare propositi di parte legati sia ad ambizioni di partito che ad aspirazioni territorialmente localizzate. Secondo Gustavo Zagrebelski si basa su “una tregua consensuale” in vista del consolidamento temporaneo delle posizioni ma “la mera sommatoria di interessi è dissolutiva della Costituzione, come visione e concezione d’insieme della vita della polis”. Il contratto contiene una doppiezza e si regge su “un equilibrio precario ma aggressivo sulle istituzioni costituzionali” perché tende a esautorare sia l’azione del Parlamento che quella del capo dello Stato. Il governo si configura come “propaggine del contratto” con un Presidente del Consiglio condizionato dai due vicepresidenti, orientato a esporre, eseguire o al massimo mediare “mentre la Costituzione gli attribuisce un ben diverso compito di direzione della politica generale e di garanzia dell’unità dell’indirizzo politico e amministrativo del governo. Perfino il presidente della Repubblica è stato sottoposto a una pressione mai vista, culminata nella minaccia d’incriminazione per attentato alla Costituzione avendo sollevato obiezioni circa la composizione della compagine ministeriale”. Alquanto anomala è la clausola che rimanda la soluzione dei contrasti interpretativi a un organo detto “comitato di conciliazione”. Si dirà che ogni governo è frutto di compromessi, osserva il costituzionalista, ma “una cosa è il programma steso in colloqui riservati e tra soggetti operanti in forma privata (come in effetti è stato) e poi presentato ultimativamente agli organi costituzionali per la sua ratifica ed esecuzione; un’altra cosa è se, secondo procedure consolidate nel sistema di governo parlamentare, si procede a partire dal presidente della Repubblica che individua il soggetto idoneo a formare un governo sostenuto da una maggioranza in Parlamento […]. Impossibile negarlo: la Costituzione arranca” (“la Repubblica”, 11.6.2018). 

Il governo di un contratto così poco costituzionale è necessariamente instabile. Ognuno sta usando l’altro per affermarsi. In un periodo così carico di problemi nonché di aspettative smisurate, drogato da promesse mirabolanti, ognuno aspetta il momento per smarcarsi attribuendo all’altro la causa di delusioni o fallimenti (la futura divisione sarà fragorosa). Per il momento il cemento unificante, per controllare e dirottare il disagio sociale, consiste nella diffusione costante e insistente della logica del nemico. L’unità dei contrari può coesistere solo scaricando sull’esterno le cause dei problemi, indicando il nemico, proponendo bersagli da colpire, cioè usando sistematicamente la logica sacrificale del capro espiatorio, anzi di due capri espiatori quasi sempre intrecciati: l’immigrazione vista come invasione (realtà “insostenibile” si scrive nel contratto) e l’Europa che ha certo tante responsabilità, ma che viene vista come origine di ogni male economico-finanziario. 

La figura del nemico 

Significativo è l’uso di un linguaggio ostile che non appartiene tanto al folklore politico, ma è tipico di una politica populista-sovranista diffusa a livello internazionale. Lucido al riguardo è il brano di Andrea Baravelli proposto agli esami di maturità di quest’anno: “La figura del nemico ha sempre rappresentato un elemento indispensabile per il buon funzionamento dei sistemi di propaganda. Insomma, si tratta di un protagonista assoluto – se non unico – dell’argomentazione di tipo propagandistico; una figura dalla rilevanza tale da costringere l’intero spazio della politica a organizzarsi in sua funzione [...]. L’effetto della designazione di un nemico per l’opinione pubblica è infatti triplice. Da una parte essa conduce alla cristallizzazione della fedeltà dell’opinione pubblica a un dato progetto politico (infatti, individuando un nemico non solo si orienta tale opinione pubblica contro qualcuno, ma la si sollecita anche a provare un senso di gratitudine nei confronti di chi quel nemico ha scoperto e denunciato). Da un’altra, il concentrare il risentimento della collettività nei confronti di un nemico equivale a “compattare” quella stessa comunità con il pretesto dell’esistenza di un elemento irriducibile e pericoloso. Infine, il definire un nemico dona al potere la possibilità di deviare il risentimento popolare che, altrimenti, investirebbe il potere stesso […] Dopo la Grande Guerra, prima importante prova, la propaganda si perfezionò all’interno dei regimi totalitari. L’asprezza ideologica della guerra fredda, poi, s’incaricò di confermare l’importanza della figura del nemico quale perno dell’intero sistema di rappresentazione della politica e dell’esistenza” (Nemico e propaganda, “Storicamente”, n.13, rivista storica online dell’Università di Bologna, nda). 

La fine delle ideologie non ha mutato il quadro di riferimento. Nelle società contemporanee, caratterizzate da flussi d’informazione condizionante o manipolatrice e da scarsa capacità di ricondurre in termini di comprensibilità la complessità dell’esistente, l’uso della categoria del nemico rimane indispensabile poiché fornisce una chiave ai fini della ricomposizione di una realtà frammentata e contraddittoria. 

L’ideologia del nemico si accompagna sempre all’idea di una minaccia incombente, cioè al mito dell’invasione che tutti i dati ritengono inesistente, ma che l’ossessione sovranista considera imminente. Su di essa torneremo perché riguarda la crisi della democrazia, il degrado dello stato di diritto, il nero che avanza.

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