Il decreto della discordia
Il piano “tolleranza zero” parte dal decreto sulla sicurezza.
E gli immigrati non sono più destinatari di diritti.
Il decreto sicurezza, recentemente varato dal governo, si presenta come l’ennesima ricetta per guarire da quello che molti chiamano “il male dell’immigrazione”. Non è certo il primo esecutivo che, appena insediato, si affretta a intervenire su un tema considerato dai più, politicamente sensibile. Anche il ministro dell’Interno precedente, Marco Minniti, a poche settimane dalla sua nomina al Viminale, si era adoperato per modificare il sistema italiano su immigrazione e asilo in chiave maggiormente securitaria. Erano, infatti, i primi mesi del 2017 quando il ministro dell’Interno comunicò che sarebbero stati aperti nuovi centri di detenzione per migranti irregolari in ogni regione d’Italia. Si trattava di una scelta in assoluta controtendenza rispetto al governo Renzi che aveva lavorato, invece, per chiudere progressivamente i centri di identificazione ed espulsione, visto che, fino a quel momento, avevano dimostrato una scarsa utilità, oltre a essere costati molto alle casse dello stato. Sembra che le forze politiche di questo paese siano costantemente preda di una nuova e diversa sindrome di Penelope, per cui chi va al governo si affretta a disfare quanto fatto da chi lo ha preceduto, anche quando si tratta di intervenire su norme di civiltà.
Perché contestarlo?
Con riferimento alle ultime disposizioni in materia di sicurezza e immigrazione, queste appaiono illegittime già nella scelta dello strumento adottato per la loro emanazione, in quanto il decreto legge si giustifica solamente nel “caso straordinario di necessità e urgenza”, così come previsto dalla Costituzione. A sostegno della propria scelta, il governo, nella relazione tecnica, ha specificato che il provvedimento ha come scopo quello di “scongiurare il ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale”, e di “garantire l’effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione”, ma anche di “adottare norme in materia di revoca dello status di protezione internazionale in conseguenza dell’accertamento della commissione di gravi reati”. Tali preoccupazioni, però, appaiono non sufficienti a soddisfare il dettato costituzionale in quanto, considerata la sensibile diminuzione degli ingressi in Italia, non si ravvisano elementi di particolare urgenza e, inoltre, l’accorpamento di diverse ed eterogenee materie, all’interno del testo di legge, mostra l’assenza di un caso di necessità e urgenza che possa giustificare l’adozione di un decreto-legge. Si fa fatica a comprendere, infatti, come due previsioni, entrambe contenute nello stesso decreto, una sulla cittadinanza e l’altra sul taser, la pistola elettronica a disposizione della polizia locale, possano iscriversi in un quadro complessivo di urgenza.
Protezione umanitaria
Più in generale, sul tema migranti, la previsione che desta maggiore preoccupazione è certamente l’abolizione della cosiddetta protezione umanitaria. Attualmente la legge prevede che la questura, in caso di non riconoscimento della protezione internazionale, conceda al richiedente un permesso di soggiorno per motivi umanitari qualora si rilevino “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure nel caso di persone che fuggano da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea. La protezione umanitaria può essere riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere perché potrebbero essere oggetto di persecuzione o in caso siano vittime di sfruttamento lavorativo o di tratta. Con il decreto Salvini questo tipo di permesso di soggiorno non potrà più essere concesso dalle questure e dalle commissioni territoriali, né dai tribunali in seguito a un ricorso per un diniego (il 4 luglio il ministro dell’interno Salvini aveva già diffuso una circolare – diretta ai prefetti, alla commissione per il diritto d’asilo e ai presidenti delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale – in cui aveva chiesto di prendere in considerazione con più rigore le richieste e di stabilire dei criteri più rigidi per l’assegnazione di questo tipo di protezione, nda).
La conseguenza più evidente dell’abolizione dei permessi umanitari sarà un aumento dell’irregolarità sui territori con inevitabile conseguenze anche in termini di sicurezza. Il decreto Salvini cerca di attenuare questa previsione introducendo i cosiddetti permessi speciali per meriti civili, per cure mediche, o in caso di calamità naturale nel paese d’origine. Evidentemente si tratta di una casistica residuale che non produrrà effetti particolarmente significativi per rispondere all’esigenza di protezione di molti tra coloro che cercano di raggiungere l’Europa, fuggendo in particolar modo da aree dove sono presenti conflitti armati.
Anche questo governo non si è sottratto alla tentazione di intervenire sui Centri di detenzione e così ha previsto, nel decreto in oggetto, l’allungamento della permanenza nei CPR – Centri Per i Rimpatri, nei quali lo straniero candidato all’espulsione potrà essere trattenuto fino a 180 giorni: prima la permanenza era fino a 90 giorni. Una siffatta previsione ha solo un valore demagogico in quanto l’esperienza insegna che la misura è totalmente inefficace: i migranti non riescono comunque a essere rimpatriati e l’allungamento dei tempi nei centri fa lievitare i costi per lo stato. In tema di trattenimento, il decreto contiene un’ulteriore previsione per cui, chi tenta di eludere i controlli alla frontiera o nel caso in cui la domanda di asilo si consideri solo strumentale a evitare un provvedimento di espulsione o respingimento, verrà sottoposto a una procedura accelerata che può essere svolta direttamente in frontiera o nelle zone di transito. Questo, evidentemente, indebolisce le garanzie per il richiedente, anche in considerazione del fatto che per il trattenimento non è prevista una durata massima in violazione di un principio costituzionale. Peraltro, questa previsione risulta in contrasto con la direttiva 2013/32/UE, per la quale il trattenimento di un richiedente asilo è giustificato solo se questi, entrato irregolarmente nel territorio dello stato, non abbia presentato la sua domanda di protezione appena possibile.
Giustizia
In materia di giustizia, il decreto stabilisce la sospensione dell’esame della domanda di protezione internazionale nel caso in cui il richiedente venga sottoposto a un procedimento penale per reati che, in caso di condanna definitiva, possano comportare il “diniego della protezione internazionale”. L’incertezza sul fatto che tali esclusioni saranno rese oppure no rilevanti anche prima di una condanna definitiva, sono fonte di particolare apprensione in quanto violerebbero il principio della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 della Costituzione.
Altro aspetto che avrà un forte impatto sui territori è il ridimensionamento del programma SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), costituito da centri molto piccoli e posto sotto l’egida dei Comuni: se fino a oggi era destinato anche all’accoglienza dei richiedenti asilo, in base al decreto, sarà limitato a chi ha già ricevuto la protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Tutti gli altri, la maggioranza, andranno nei centri governativi ovvero nei Cara. Questa scelta penalizzerà molto i territori e la qualità dell’accoglienza in quanto predilige le strutture di grandi dimensioni che in genere sono elemento di preoccupazione e paura diffusa.
Sul tema della cittadinanza, oltre a un allungamento dei termini per l’istruttoria e l’esclusione del silenzio assenso per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio, si prevede la revoca agli stranieri che commettono reati gravi o che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Su questa previsione pesano seri motivi di incostituzionalità in quanto la cittadinanza è inserita tra i diritti inviolabili.
Sanità
Il decreto sicurezza rivede le regole che disciplinano l’iscrizione al servizio sanitario nazionale per cui si stabilisce “l’esclusione dell’iscrizione al servizio sanitario nazionale a tutti i titolari di un permesso per casi speciali. Nei fatti questo comporterà che solo i rifugiati e i protetti sussidiari potranno avere accesso alle cure del SSN. Centinaia di migliaia di persone rimarranno escluse dal godimento di questo diritto e potranno accedere solo alle cure STP (straniero temporaneamente presente). Da un lato, dunque, in questo si abbassano le garanzie dei migranti e dall’altro si aumenta il rischio per la salute pubblica. Infine, viene stabilito che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituirà documento di riconoscimento ma non titolo per l’iscrizione anagrafica. Ciò comporterà un impedimento totale a qualsiasi servizio pubblico collegato alla residenza.