DIRITTO

Aziende e diritti umani secondo l'ONU

Le Nazioni Unite ribadiscono le norme che le imprese sono tenute a seguire.
Semplici, ovvie. Eppure…
Umberto Musumeci

Ampia è la problematica relativa alle connessioni tra etica ed economia, e il loro intrecciarsi insieme con la responsabilità sociale d'impresa. In merito al dibattito sulla volontarietà o meno dei comportamenti in materia di responsabilità sociale, vi è chi sostiene la necessità di regole che impongano alle imprese di assumere le conseguenze dei propri comportamenti sul piano sociale e ambientale oltre che su quello economico. Altri ritengono invece che debba essere lasciata alla libera scelta delle singole imprese l'adesione o meno ai principi fondamentali che regolano la convivenza umana. Negli ultimi anni è stato evidente a livello internazionale il fallimento di molta parte del mondo economico nel rispettare le leggi o – dove esse non erano chiare o dove la situazione del sistema statale era in crisi – nel corrispondere alle elementari prassi di correttezza e responsabilità.
Salari da fame, orari estenuanti, condizioni di lavoro antigieniche o insicure, diritti sindacali compressi o vietati, discriminazioni, sfruttamento di minori, inquinamento dell'ambiente, deforestazione illegale, espropri abusivi, mancanza di protezioni sociali: sono il prezzo che milioni di persone pagano perché i prodotti siano competitivi sul mercato.

Le Norme ONU
David Weissbrodt, professore all'Università del Minnesota, consulente delle Nazioni Unite e presidente fino al 2002 della Sottocommissione dell'ONU sulla protezione e promozione dei diritti umani, ha visitato l'Italia nella prima settimana di Marzo 2004. In un ciclo di conferenze organizzato da Amnesty International – e che è culminato in una audizione congiunta con parlamentari delle Commissioni Industria, Lavoro e Diritti Umani del Senato – ha illustrato il contenuto e i principi

I panieri della responsabilità sociale
È necessario che le aziende assumano un livello di maggiore responsabilità in merito ai propri comportamenti sul piano economico, sociale e ambientale.

Le principali categorie di riferimento sono le seguenti:
Diritti umani
Diritti dei lavoratori
Protezione e salvaguardia dell’ambiente
Protezione dei consumatori. Correttezza della pubblicità
e dell’informazione. Qualità e sicurezza del prodotto
Salute dei cittadini
Lotta alla corruzione
Concorrenza
Fiscalità
Scienza e tecnologia
Sovranità nazionale e rispetto delle comunità locali
Rapporti di buon vicinato azienda/territorio
Apparato di sicurezza e di controllo
Norme disciplinari
ispiratori delle Norme delle Nazioni Unite per le imprese in relazione ai diritti umani, approvate all'unanimità dalla Sottocommissione il 13 Agosto scorso a Ginevra.
Le Norme non fanno altro che condensare, raccordandole e organizzandole, in un unico, agile documento, una serie di obbligazioni a cui comunque le imprese sono già adesso tenute. Esse sono il frutto di un lavoro iniziato nel 1997, e condotto dalla Sottocommissione delle Nazioni Unite per la promozione e la protezione dei diritti umani tramite consultazioni con centinaia di esponenti del mondo dell'impresa, delle associazioni, dei sindacati, degli organismi intergovernativi, oltre a un'attenta ricerca su leggi e codici già in vigore. Sono principi chiari, semplici che alcune aziende sicuramente condividono e già attuano; gli articoli cardine riguardano la non discriminazione sul posto di lavoro, la protezione dei civili in tempo di guerra, l'uso appropriato delle forze di sicurezza, i diritti dei lavoratori, la lotta alla corruzione, la protezione dei consumatori, i diritti economici e sociali, la protezione dell'ambiente, i diritti delle popolazioni indigene.
Vengono anche specificate alcune particolarità di cui si sentiva il bisogno, come ad esempio che il divieto di non-discriminazione è esteso anche allo stato di salute del lavoratore affetto da HIV-AIDS o disabile, o alla maternità o all'orientamento sessuale o allo status coniugale. Inoltre, che il lavoro dei detenuti è permesso solo se conforme agli standard internazionali e dopo una condanna emessa da un tribunale regolare e sotto la supervisione pubblica, che un lavoro che non preveda un equo compenso deve essere considerato sfruttamento, che la corruzione di funzionari governativi deve essere considerata come causa della distrazione di risorse che potrebbero avere destinazioni utili alle persone, e che le aziende hanno il dovere di astenersi dalla produzione o commercializzazione di prodotti nocivi o potenzialmente dannosi.
Si riafferma nello stesso tempo che le imprese devono fare quanto è in loro potere “nelle loro rispettive sfere di influenza” per affermare i diritti al cibo, all'acqua potabile, al più alto standard ottenibile di salute fisica e mentale, all'abitazione e all'istruzione. Inoltre le imprese hanno l'obbligo di rispettare l'ambiente come regolato da leggi e regolamenti nazionali e internazionali, e anche di osservare il principio di precauzione, che porta ad astenersi da azioni che possano comportare rischi inaccettabili per l'ambiente o per i diritti umani. Viene anche riaffermato il diritto delle comunità indigene alla proprietà delle loro terre e delle loro risorse naturali, e si sottolinea a questo proposito che le imprese devono rispettare il principio del consenso libero, anticipato e informato delle comunità per quanto riguarda progetti di sviluppo che comporterebbero delle conseguenze per loro.
Infine si sancisce l'obbligo per le imprese di pagare per i danni che provocano.
La novità di queste Norme è che esse sono riferite alle imprese stesse direttamente, senza l'intermediazione degli Stati. Il filtro degli Stati era spesso l'alibi dietro al quale le aziende stesse finora si riparavano, assumendo che fosse sufficiente il rispetto delle leggi locali, anche se le leggi sono in contrasto con gli standard minimi dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Non solo, ma le Norme richiamano comunque due principi essenziali, e fin dalle prime parole: innanzitutto che spetta agli Stati la primaria responsabilità di sostenere e promuovere i diritti umani, e in secondo luogo che le Norme comunque devono essere applicate alle imprese nell'ambito della loro rispettiva sfera di influenza, il che significa – ad esempio – che alle piccole aziende si richiedono impegni in linea con le loro dimensioni e strutture.

Ambiguità e incertezze
È in corso un dibattito su queste Norme, iniziato subito dopo la loro approvazione. Esso si svolge a livello di Nazioni Unite, ed è lungi dall'essere aperto ed esplicito: tutto sembra giocarsi su contatti riservati, tentativi di depistaggio, obiezioni procedurali apparentemente innocue, interventi su Paesi in via di sviluppo. Grandi nazioni industrializzate fanno balenare ai piccoli Paesi del Sud del mondo il rischio della perdita di investimenti delle imprese del Nord del mondo se si applicano norme troppo restrittive, e via discorrendo. L'Europa sta mantenendo un atteggiamento ambiguo e incerto.
Ci sono quindi forti resistenze: com'è logico, tuttavia, nessuno dice apertamente di essere contro i diritti umani, né che le imprese devono esser lasciate libere di comportarsi come credono. Il fatto è che su circa 75000 imprese transnazionali, solo 1339 (23 sono italiane) hanno aderito finora al Global Compact di Kofi Annan e altre 353 (75 italiane) hanno ottenuto la certificazione sociale SA8000. Ne mancano all'appello oltre 73000, di cui non sappiamo quali sono gli orientamenti e soprattutto gli impegni che intendono prendere nei confronti della persona, delle comunità e dell'ambiente.
Si tratta quindi di trovare – nei prossimi mesi – una giusta collocazione alle Norme stesse in un quadro di confronto e di civile dibattito, che faccia sgorgare posizioni generalmente condivise e che tenda a dotarle di una forza regolatrice. In questo senso è estremamente importante il messaggio che il Capo dello Stato ha inviato ad Amnesty in occasione del ciclo di conferenze di Weissbrodt, nel quale

sostiene che “l'impegno delle istituzioni internazionali ed europee favorisce il passaggio da una tutela volontaria a una regolamentazione vincolante anche attraverso sistemi efficienti di monitoraggio e controllo”.
Secondo Gary Cohen, Executive Director dell'Environment Healt Fund, che cita due indagini dell'U.S. Center for Disease Control and Prevention (cfr. sito http://www.ewg.org/reports/body/burden), ognuno di noi porta a spasso dalla nascita nel proprio corpo ben 116 prodotti chimici sintetici derivanti da prodotti o da processi legati all'industria, soprattutto petrolchimica: ovviamente durante la gravidanza molti di essi passano dalla madre al feto direttamente tramite la placenta.
Se potessimo fotografarli, e se ognuno di essi avesse un cartellino, potremmo forse riconoscere il marchio di note aziende. Ma sarebbe magra consolazione.

Note

Responsabile diritti economici e sociali della sezione italiana di Amnesty International


Per approfondire

Maggiori informazioni, documentazione e articoli sono disponibili sul sito internet:
http://www.amnesty.it/edu/formazione/mondo_economico/mitw/documenti.

Il testo integrale delle Norme delle Nazioni Unite per le imprese in relazione ai diritti umani è reperibile in questo sito, nella sezione documenti.

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