Standard etici per il mercato?
La certificazione etica (SA8000) è uno schema di certificazione aziendale creato nel 1997 dalla Social Accountability International (SAI), un'Organizzazione Internazionale Nongovernativa istituita nel 1997 dal Council on Economic Priorities (CEP). Lo schema SA 8000 si propone di migliorare le condizioni di lavoro di quanti prestano la propria mano d'opera all'interno d'impianti di produzione. L'azienda che intende ricevere la certificazione deve dimostrare di rispettare un complesso di norme tratte dai principali strumenti internazionali quali le Convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) in materia di diritti dei lavoratori, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, la Convenzione sui Diritti del Fanciullo.
Una delle maggiori caratteristiche della SA8000 è la sua flessibilità: tutte le imprese (ma la SAI incoraggia l'accreditamento anche per le Organizzazioni Nongovernative) possono applicarla, senza distinzione di dimensione, settore o Paese d'origine; l'unico limite attualmente non ancora rimosso riguarda l'esclusione del settore estrattivo a causa delle difficoltà di monitoraggio. Dopo il
1. LAVORO INFANTILE
Divieto di utilizzare o sostenere lavoro minorile; garantire la frequenza scolastica ai bambini.
2. LAVORO OBBLIGATO
Proibire ogni costrizione morale o materiale; divieto di richiedere depositi in
denaro o documenti d'identità a inizio rapporto.
3. SALUTE E SICUREZZA
Garantire un luogo salubre e sicuro, con buone condizioni igieniche; nominare
un rappresentante responsabile per la sicurezza e la salute dei dipendenti.
4. LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE E DIRITTO ALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Rispettare il diritto dei lavoratori di riunirsi in associazioni, costituire sindacati e contrattare collettivamente senza discriminazioni.
5. DISCRIMINAZIONE
Divieto di qualsiasi discriminazione per assunzione, retribuzione, formazione,
promozione, licenziamento, pensionamento; proibire ogni comportamento
sessualmente coercitivo, minaccioso, offensivo o volto allo sfruttamento.
6. PROCEDURE DISCIPLINARI
Divieto di utilizzare o sostenere pene corporali, coercizioni fisiche e mentali,
abusi verbali.
7. ORARIO DI LAVORO
Obbligo di conformarsi all'orario previsto da leggi o standard; rispettare il
limite massimo di 48 ore settimanali, più 12 ore straordinarie retribuite con
tariffa superiore; garantire almeno 1 giorno di riposo ogni 7.
8. RETRIBUZIONE
Fornire un salario sufficiente per bisogni primari; eliminare trattenute disciplinari; eliminare rapporti a nero per eludere la legislazione vigente.
9. SISTEMI DI GESTIONE
Definire una politica aziendale in materia di responsabilità sociale; verificarne
periodicamente l'efficacia; nominare rappresentanti propri e dei lavoratori
per l'applicazione della norma; implementare tutti i requisiti della norma;
selezionare i fornitori in base ai requisiti della norma; raccogliere eventuali
reclami o azioni correttive senza provvedimenti disciplinari; lasciare libero
accesso alle verifiche (se previsto da contratto).
I punti oscuri
Da un punto di vista teorico le peculiarità del processo di rilascio della certificazione ne farebbero uno schema particolarmente credibile: un'indicazione, in tal senso, è la possibilità per tutte le parti interessate (lavoratori, NGO, sindacati, comunità civili o religiose) di essere consultate (prima, durante e dopo la verifica) o di appellarsi alla decisione di certificare un'azienda o accreditare un organismo di certificazione. Ciò che occorre domandarsi, tuttavia, è se la credibilità di questo processo sia rinvenibile anche nella pratica. Da questo punto di vista, purtroppo, non mancano, crediamo, elementi di perplessità.
Il primo aspetto riguarda la natura della certificazione etica: essa segue l'exploit del sistema delle certificazioni che ha caratterizzato, soprattutto in un'ottica di protezione dei consumatori, le ultime decadi del secolo trascorso. I vari scandali degli ultimi due anni (dal caso Enron, al caso Wordcom, a quelli nostrani Parmalat, Cirio, ecc…) dimostrano che il sistema delle certificazioni è stato distorto e ha, almeno in parte, fallito i propri obiettivi, danneggiando quegli stessi interessi che invece avrebbe dovuto proteggere e garantire. Il pericolo è che il sistema venga abusato anche nel caso della certificazione etica; con la differenza che questa volta la posta in gioco riguarda valori fondamentali su cui poggia la comunità internazionale: la dignità e l'intangibilità della persona umana.
Non è un caso, allora, che nella risoluzione del 15/01/1999 (dedicata alla creazione di un codice di condotta europeo per le aziende operanti nei Paesi in Via di Sviluppo) lo stesso Parlamento Europeo pur approvando e incoraggiando l'adozione di codici di condotta da parte delle aziende, ha sottolineato l'esigenza che essi siano dotati di “controlli efficaci e indipendenti”. La cautela del PE è più che giustificata se consideriamo il fatto che sono sempre più diffusi i rapporti di NGO che attribuiscono fenomeni di violazione delle norme in materia di diritti umani, proprio in capo ad aziende certificate SA8000.
Come rilevato in un recente rapporto della NGO, Manitese (consultabile su http://www.manitese.it/firenze/Responsabilita5.pdf), quando questo fenomeno si ripete con una certa continuità esso è sintomo di carenze strutturali del sistema di controllo. Manitese pur riconoscendo gli aspetti positivi della SA8000 individua una serie di “vistosi elementi di criticità” in quanto essa rimane un rapporto tra privati, e in quanto “l'eccessiva discrezionalità dei valutatori ne fanno un meccanismo talvolta pericoloso perché rischia di dare la patente di responsabilità sociale a comportamenti aziendali scorretti…”.
Il secondo aspetto di perplessità riguarda i dati che derivano dall'analisi dell'applicazione pratica della SA 8000. Il maggior numero di aziende certificate è in Italia, Paese che non può essere certo definito come a basso livello di protezione normativa (il datore di lavoro che impiega illegalmente manodopera minorile non è solo eticamente irresponsabile, è un criminale punito dalla legge italiana). Il secondo posto è occupato dalla Cina e questo è perfettamente in sintonia con il fatto che la SA8000 è uno strumento utile a controllare in particolare i meccanismi di produzione che si snodano lungo una filiera produttiva.
Tuttavia il conseguimento della certificazione non sembra aver avuto effetti positivi sulla situazione dei lavoratori cinesi posto che aziende detentrici della patente SA8000, e operanti in questo Paese, sono continuamente scoperte a violare quegli stessi principi che ne dovrebbero guidarne l'azione. L'impressione che ne deriva è che, in analogia con quanto successo con le altre certificazioni, vi sia una tendenza a ridurre la certificazione etica, e questo anche grazie alla colpevole acquiescenza degli enti controllori (non sempre realmente indipendenti e imparziali), a un ennesimo bollino che si può acquistare anche senza avere i requisiti di sostanza necessari per il suo conseguimento.
Approcci diversi
La comprensione dell'efficacia della certificazione etica, allora, deve essere spostata a un livello superiore: quello del tipo di approccio che è richiesto quando un'azienda vuole essere definita come socialmente responsabile. Invero, la promozione e la protezione dei diritti umani possono rientrare nelle strategie di impresa attraverso due differenti approcci: il primo, che definirei “compliance-oriented”, si fonda su strumenti che svelano e valutano la gravità delle criticità etiche dell'azienda (è il caso dei codici di condotta, dei sistemi di monitoraggio,) ed è, anche, l'approccio degli strumenti di certificazione quale la SA8000.
Il secondo tipo di approccio è quello che si suole definire dell'organizational integrity (integrità organizzativa) che si fonda, piuttosto, sull'idea della necessità che gli aspetti di CSR siano interiorizzati in azienda. Un confronto tra le due categorie di strumenti pone in luce che gli strumenti del primo tipo possono aiutare a scoprire le criticità sociali, e ci suggeriscono quanto di buono o di sbagliato stiamo facendo per raggiungere gli obiettivi sociali prefissati; essi tuttavia, non riescono a fornire una soluzione a questi problemi. La logica che li caratterizza tende a enfatizzare l'assenza di condotte non conformi ai principi cui ci si ispira e riposano tipicamente su regole, sul controllo e sulla stretta disciplina destinata a mantenere questi standard.
L’iniziativa, che deriva dalla sinergia tra l’Istituto di Studi Giuridici Internazionali (ISGI) – Sezione di Napoli del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), il Consorzio Eubeo dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, e il CSR Permanent Lab (Laboratorio permanente sulla CSR), rappresenta il primo esempio in Europa di organica collaborazione tra Università, centri di ricerca pubblica e privata e imprese sulla tematica della responsabilità sociale d’azienda.
Il Polo si propone di valorizzare al massimo la natura interdisciplinare della tematica agendo secondo una prospettiva di integrazione delle varie discipline coinvolte e all’interno di uno scenario di riferimento caratterizzato dalle dinamiche della globalizzazione, dallo sviluppo del sistema internazionale di protezione dei diritti umani, dall’emersione di politiche nazionali ed internazionali che coniugano sostenibilità economica, sostenibilità sociale e sostenibilità ambientale.
Strutturato come network, il Polo si propone di rappresentare, a livello internazionale ed europeo, un centro di eccellenza in grado di agire da valido supporto alle iniziative delle istituzioni nella materia.
1) Cooperazione e il dialogo con le NGO e le comunità territoriali, e la costruzione con queste di relazioni bi-direzionali
2) Formazione all'interno dell'azienda e, all'esterno, con i partner della stessa, per diffondere la cultura del rispetto della dimensione sociale e ambientale della propria attività. Stabilizzazione di procedure di rimedio per correggere i problemi individuati nella fase di monitoraggio.
3) Integrazione di politiche pro-attive nelle strategie aziendali: l'approccio dell'integrità organizzativa richiede la definizione di standard chiari e quanto più ampi possibile, e processi decisionali e sistemi gestionali tali da guidare in un ottica di responsabilità sociale le scelte dei manager fin dall'origine.
Si badi, non intendiamo affermare che gli strumenti ispirati all'approccio compliance-oriented non sono utili; piuttosto ci preme sottolineare che essi non possono intervenire se non si è proceduto prima ad attivare un processo di interiorizzazione, come sopra descritto, dell'etica in azienda: un processo che è necessario e condizione pregiudiziale perché possano essere fissati gli obiettivi etici dell'azione aziendale. Soltanto quando ciò è stato fatto, si può poi procedere con lo sviluppo degli strumenti di CSR (tra cui la certificazione SA8000) adeguati agli obiettivi prefissati.
L'esperienza recente in tema di certificazione etica, ci insegna che questo modus procedendi è stato, in base a una logica puramente formale, invertito. La speranza è che le imprese imparino da queste esperienze che senza sostanza la forma non paga.