PAROLA A RISCHIO

La fede che apre gli occhi

La fede, quella vera, non è oppio che addormenta ma amore che fa miracoli e dona la vista.
Tonio Dell’Olio

E Gesù gli disse: “Va', la tua fede ti ha salvato”. E subito riacquistò la vista. (Mc 10,52)

Eccoci finalmente al miracolo. Per i lettori superficiali il racconto è tutto qui. Noi invece abbiamo scoperto un cammino, un percorso che conduce Bartimeo e Gesù fino a questo punto e per questo comprendiamo meglio l'espressione di Gesù che dice: “Va', la tua fede ti ha salvato”. La fede di Bartimeo è stata una fede aperta, tutta permeata di fiducia nell'azione di Gesù e rafforzata dalla sua stessa condizione umiliante di mendicante.
Abbiamo ripetuto più volte che Bartimeo verso il Figlio di Davide che passa per la sua strada non ha teso la mano come per gli altri ma ha chiesto vita piena e Gesù non ha lasciato scivolare due spiccioli dalle sue tasche ma ha travasato vita vera nella vita del cieco di Gerico. Sono vite che si toccano, cammini che si incrociano, destini che si attraversano. Sulla strada verso Gerusalemme il Cristo incontra un cieco e gli dona vista e vita mentre lui va a consegnarsi alla morte. Per quella dinamica tutta evangelica, Gesù può donare questa vita perché vive la sua morte. Se questi due destini si sono incontrati è perché Bartimeo si è posto sulla stessa lunghezza d'onda di Gesù: la fede. Bartimeo si è fidato di Gesù più di quanto si fidasse di se stesso. Confidando in lui, ha vissuto un rapporto assolutamente nuovo e profondo che lo ha posto in comunione con quella energia vitale capace di liberare e con quell'amore in grado di compiere miracoli. La forza di Dio viene richiamata in mezzo agli uomini ogni qualvolta le persone scelgono di amarsi. La fede, cui Gesù fa esplicito riferimento nelle sue parole, è parente stretta dell'amore, ovvero è un altro modo di dire amore: “Va', il tuo amore ti ha salvato”. È questo amore fiducioso che libera, è l'amore senza misura che salva, è l'amore che crede nell'altro più che in se stesso, che pone un segno di vita. Quanta differenza tra questa fede che Gesù pone in evidenza in Bartimeo e nella donna che lo ha toccato ( Mc 5,34) e quella nostra che è tutta concentrata su noi stessi, sui nostri meriti e sulle nostre conquiste.

La fede dell'andare
Sarei tentato di scrivere una pagina intera su quel “va'” pronunciato da Gesù con l'enfasi di chi non fa un regalo interessato, che lega a sé, che ripaga di qualche favore ricevuto, che chiede gratitudine perenne, che vuole essere ricambiato. Quel va' è dono gratuito, è vita donata senza sperarne nulla in cambio, è purezza che non costringe, non comanda, non pretende. È segno autentico di una fede che libera. Non dice: Vieni la tua fede ti ha salvato, ma va'. In questo invito c'è tutta la missionarietà della fede, tutto il respiro del mondo, l'universalità che preserva dall'asfissia. C'è insomma l'abbandono delle sacrestie per scegliere la strada, c'è lo sguardo sul mondo piuttosto che il cero da accendere devotamente nel santuario gremito di fedeli, c'è l'incontro degli altri e mai una fede solitaria. Liberazione. Una fede che accetta la sfida del mondo e delle sue contaminazioni. Una fede che accetta di misurarsi con i temi della politica che sono poi quelli della pace e della giustizia, del creato da preservare e dei bartimei emarginati in tutte le latitudini. Una fede che non fa prevalere la propria integrità monolitica sul confronto, sull'incontro e sull'abbraccio. Una fede come identità aperta, accogliente e mai escludente, serva di progetti a servizio degli uomini e delle donne. Gesù loda Bartimeo perché è stato capace di decentrarsi da sé per abbandonarsi in Dio e sa di non poter contare che su di lui. Al contrario noi pensiamo di poter tracciare sempre cerchi perfetti ponendo la punta del compasso della nostra esistenza in noi stessi piuttosto che in Dio. Bartimeo si salva perché povero e cosciente della sua povertà, perché sa di non potersi salvare da solo. Noi siamo gonfi di noi stessi e delle nostre conquiste, autosufficienti e orgogliosi, stracolmi di meriti da presentare e far contare al momento giusto. Quando Dio passa per la nostra Gerico non riusciamo a gridare nulla, tanto meno imploriamo pietà (e per quale motivo?), se Egli persino bussasse alla porta della nostra vita, dal di dentro risponderemmo: occupato. Non c'è posto per Dio e per i suoi sogni, per la sua pienezza e i suoi miracoli. Ci siamo già noi. E allora piuttosto che a Bartimeo che già ci vede tanto bene, è a noi che Gesù di Nazareth deve aprire gli occhi perché possiamo vederci bene, ovvero più profondamente, e riconoscere la vita, amarla, viverla.

Caro Bartimeo, finalmente tu vedi. Che forza pensare che la prima cosa che tu hai visto sono stati altri occhi. Quelli del Cristo. Un Dio che non ti ha salvato dall'alto ma standoti accanto, anzi di fronte. Un Dio che puoi guardare negli occhi. Un Dio così, suona come una bestemmia, come fosse una professione di ateismo perché è un Dio profondamente e perfettamente uomo al punto da lasciarsi scrutare negli occhi. Se solo potessi comunicarmi un frammento della gioia di questa liberazione dal buio! Se solo potessi dirmi il fremito delle viscere davanti al dono della luce! È un dono che non ha prezzo e per questo è totalmente gratuito, dono del Dio della vita, del sogno e della festa. Permettimi di abbracciarti per far festa con te e per sperare che un po' della vita che ti abita giunga fino a me per liberarmi! Bartimeo, fratello mio, sarai abilitato tu d'ora in poi ad accompagnare i ciechi come me verso la luce? Tu che sei stato cieco certo comprendi meglio di chiunque altro la cecità mia e dei miei fratelli e delle mie sorelle quando camminiamo a tentoni lungo i sentieri tortuosi di questa storia, dentro il labirinto dei nostri giorni, verso il baratro dell'inimicizia, dell'odio, della violenza… grida con noi al Dio della pace di aprirci gli occhi. Che i nostri sguardi si lascino toccare dalla luce, si immergano nella vita, incontrino altri occhi. Bartimeo, amico mio, raccontami che cosa è questa fede che ti ha salvato. A me hanno raccontato di una fede-oppio che non solo non salva ma addormenta, ovvero chiude gli occhi invece di aprirli. Tu hai sperimentato una fede liberatrice che apre gli occhi sul bene e sul male, capace di riconoscere (prima) e guardare (poi) il Dio della vita. Questa è la fede dei semplici che sanno ancora stupirsi. Noi invece, da quando siamo arrivati sulla luna alziamo gli occhi al cielo e ci sembra di non avere più nulla da scorgere lì in alto. Al più scadiamo in un romanticismo da accatto che deturpa il cielo piuttosto che farlo rilucere. Per non parlare poi degli sguardi minacciosi dei violenti che si spalancano sul mondo per cercare la prossima preda in Medio Oriente o in Africa, in Asia o in Cecenia; o degli sguardi di cupidigia di coloro che tutto afferrano per se stessi. Solo per se stessi. Tu hai accolto il dono di contemplare il cielo e la terra con gli occhi nuovi di un bambino che si sorprende davanti ad ogni bellezza. Per festeggiare con te questa vita nuova vorrei regalarti i versi di una canzone che Francesco Guccini dedica a sua figlia: “Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti, ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare”.

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