MONDO CATTOLICO

Ragioni di parte

La Dc è finita. Ed è finito il suo rimpianto. Oggi prevale l’impegno nel sociale. Nonostante il richiamo all’unità, i cattolici si ritrovano divisi su molti valori. Ma i vescovi ci riprovano. A unirli. E a controllarli. L’analisi del sociologo Garelli.
Fulvio Fania

Nuove tentazioni democristiane? Il sospetto è aleggiato tra agosto e ottobre. Troppe coincidenze di raduni e riunioni: l’abbraccio a Rimini tra i vertici dell’Azione cattolica e quelli di Comunione e liberazione, il lavorio per far sedere a un unico tavolo associazioni e movimenti, un incontro di questo tipo realizzato a Loreto, infine la “Settimana sociale” dei cattolici italiani che ha proposto un “laboratorio” di confronto tra i credenti impegnati in politica. E tutto questo con la costante benedizione della CEI. Ci risiamo, si è preoccupato qualcuno, ecco di nuovo la pretesa dell’unità politica dei cattolici. Ma è davvero così? Ne abbiamo parlato con Franco Garelli, docente di sociologia dei processi culturali all’Università di Torino e segretario delle “Settimane sociali”.

Professore, sono trascorsi molti anni dalla fine della Dc. Il mondo cattolico ha elaborato il lutto o non ancora?
Credo di sì. La grande maggioranza ha ormai accettato il bipolarismo e soprattutto il pluralismo delle scelte politiche. Però almeno una parte del mondo cattolico non si rassegna ad avere scarsa rilevanza pubblica. Non si tratta di rimpianti; la questione semmai è un’altra: accettato il pluralismo, si ha difficoltà ad accettarne le conseguenze. Su una serie di argomenti, infatti, prevale la pratica del silenzio, non se ne parla per evitare tensioni e conflitti.

Alla “Settimana” di Bologna lei ha sostenuto che negli ultimi anni i credenti laici hanno preferito il volontariato alla politica ma che è giunta l’ora di tornare nelle istituzioni. In che senso?
Nel passato molti laici si orientavano all’impegno politico perché la città terrena era considerata luogo privilegiato per la coniugazione tra fede e storia. Poi, con tutti i rivolgimenti che hanno coinvolto i partiti, questo flusso si è interrotto e si è riversato verso il volontariato, dove è più facile vivere la coerenza di fede e di testimonianza liberi da compromessi e mediazioni. Adesso sta emergendo una nuova sensibilità: anche i volontari, i giovani della base cattolica e chi è più coinvolto sul piano religioso ritengono importante impegnarsi a livello istituzionale oppure nel mondo delle professioni. Questa presa di coscienza è importante perché riequilibra l’impegno dei credenti nella società. È indubbiamente più difficile operare negli ambienti anonimi e spersonalizzanti dell’economia, della finanza, delle cariche istituzionali, ma può essere una nuova stagione del laicato.

Ma molti cattolici “testimoni” o volontari si sono trovati più in sintonia con larga parte della società civile, per esempio sulla pace.
È avvenuto ed è importante. Credo tuttavia nella necessità di impegnarsi anche in altri ruoli sociali, ad esempio la scuola. Il concetto di lavoro per il bene comune non vale solo per l’azione diretta a favore degli ultimi, ma anche per l’impegno in luoghi che non sembrano orientati immediatamente ad esso.

A dividere i cattolici non c’è solo l’appartenenza partitica. Mentre si ripetono gli appelli ai valori comuni emerge la diversità di approccio su questioni che rappresentano vere discriminanti di valore: pace e guerra, liberismo e solidarietà, globalizzazione e democrazia...
Sì, sono d’accordo. Era un aspetto che avevo notato già vent’anni fa. Quando si diceva che i cattolici erano divisi dal punto di vista politico, ho sempre osservato che le divisioni erano prima sociali e riguardano il diverso modo di stare nella società, di pensare alla storia, di progettare i rapporti tra le classi. La Dc era grande perché teneva insieme due o più anime del mondo cattolico. Ora si sono differenziate, una più a centro sinistra, l’altra più a centro destra. In una società varia è difficile conservare dei contenitori o delle appartenenze omnibus e si tende ad affiliarsi per sensibilità comuni. Pensi al tema delle migrazioni. C’è chi avverte che i credenti devono, per primi, favorire l’accesso degli immigrati e che le nazioni occidentali non possono chiudersi nel loro egoismo. E c’è invece chi teme che questo rimescolamento di culture ci faccia perdere l’identità originaria. Il dato che metterei in evidenza non è tanto la diversità di valutazione quanto la ricchezza dei riferimenti, ovviamente purché essi siano ricondotti ad alcuni principi base di rispetto e tolleranza.

La “Settimana” ha proposto un “laboratorio” tra cattolici. Serve solo al confronto?
La dottrina sociale della Chiesa affida ai laici il compito di tradurre i grandi riferimenti nelle scelte pratiche. È utile che nella comunità dei credenti ci sia un monitoraggio su come si riesce a compiere questa traduzione e con quale fedeltà ai principi. Questo può essere il vero terreno di incontro e di confronto tra i cattolici in una società in cui c’è pluralismo delle scelte politiche e anche delle sensibilità religiose. Esiste un modo plurimo di definirsi credenti con alcuni elementi comuni di fondo. Il problema è procedere con una forte tensione al confronto, valutando pro e contro dei diversi orientamenti nei vari campi. L’elemento di unità è dato, oltre che dai comuni valori, proprio da questa tensione. Altrimenti ci diremo tutti d’accordo sugli stessi valori ma, non misurandoci con le scelte, non ci metteremo mai in discussione.

Non le pare che nel modo di intendere grandi valori molti cattolici si ritrovino con persone di cultura laica o di diverso credo piuttosto che con altri cattolici? E allora non sarebbe conveniente per la Chiesa privilegiare questa “semina” piuttosto che chiudersi in casa?
È vero che su alcuni aspetti uno può trovarsi al fianco di altre culture e incontrare invece insensibilità all’interno del mondo cattolico. Ma le fratture sulle visioni sociali di cui parlavamo sono sempre esistite. Ripeto: una parte del mondo cattolico è molto più pronta a pregare insieme che a confrontarsi

Quindi bisogna esplicitare le differenze?
Sì, molto, ma con un atteggiamento di ricerca. È il concetto di laboratorio: vivere il pluralismo dentro il mondo cattolico, ma confrontarsi davvero con la diversità per arricchirsi e maturarsi.

Magari proponendo una lobby politica dei cattolici, almeno su alcuni temi?
Credo di essere stato uno dei primi a guardare ai cattolici come a un’area culturale che, a costo di fare un passo indietro, deve riprendere slancio. Alcuni osservatori mi obiettarono: ma come? Volete ancora compattarvi? Il problema è che in una società pluralistica le diverse aree culturali o prendono coscienza delle proprie radici o rischiano di evaporare. È quanto sta avvenendo in altre aree culturali. Ricompattarsi, però, non in vista di posizioni di egemonia, di potere, del mostrare i muscoli, al contrario per offrire al bene comune posizioni quanto più elaborate possibile, sempre nel rispetto delle altre culture.

Qualcuno vuole mettere “in rete” i centofiori del laicato cattolico. Ritiene davvero giusto ricondurli a unità?
Ciò che sta accadendo tra le associazioni è frutto di un clima di maggiore tranquillità, di riconoscimento reciproco e di accresciuto credito nella società. Si è superata la fase della concorrenza anche perché alcuni movimenti che avevano problemi di identità e collocazione sono riusciti a riattualizzare la loro proposta. In questo quadro è naturale che questi gruppi si cerchino, si confrontino, un po’ si annusino.

Alcuni gruppi si annusano, ma altri sentono puzza di un accresciuto controllo sul laicato da parte dei vescovi. Non vede il rischio che il laicato finisca omologato e un po’ clericalizzato?
Dipenderà dalla capacità dei gruppi e dei movimenti di essere propositivi. Indubbiamente in questi ultimi anni la Chiesa ha operato per un riavvicinamento dei vari gruppi perché è preoccupata che si mantenga un comune riferimento. Può essere il progetto culturale della CEI, ma anche un dialogo tra le diverse realtà. Che la Chiesa faccia questo mi sembra fisiologico. Ma riconoscimento reciproco non significa appiattirsi, le associazioni devono essere vive e dinamiche. Non credo sia interesse della Chiesa appiattirle. Ma qui il discorso si sposta sul carisma dei laicato, sulla capacità di promuovere gruppi dirigenti di alto profilo. Della levatura di un De Gasperi o di un La Pira.

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