Europa tra armi e pace
La cosiddetta “Politica estera e di sicurezza comune” (PESC) e la “Politica europea di sicurezza e difesa” occupano molto spazio nella costruzione dell’Europa. E costituiscono il nucleo della sua Costituzione.
Ad esempio, le nuove norme riguardanti la politica militare sono molto concrete e dettagliate. Intanto, la costituzione prevede un esplicito impegno all’armamento: “Gli Stati membri si impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari” (articolo I-40, paragrafo 3). Quindi, una “agenzia europea per gli armamenti, la ricerca e le capacità militari” verrà istituita per “individuare le esigenze operative, promuovere misure per rispondere a queste, contribuire a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti, e di assistere il Consiglio dei Ministri nella valutazione del miglioramento delle capacità militari” (articolo I-40, paragrafo 3).
L’Europa seconda potenza globale
Gli Stati membri della UE saranno chiamati a mettere a disposizione contingenti per la politica militare dell’Unione, mentre la disponibilità agli interventi in tutto il mondo riceve lo status di obbligo costituzionale. Le truppe europee verranno usate come “unità di combattimento nella gestione delle crisi, ivi comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti” (Articolo III-210), perché “tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, anche tramite il sostegno a Stati terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio” (Articolo III-210). Si tratta di un mandato estremamente ampio ad agire come “potenza globale” nel mondo, nel nome di una “lotta contro il terrorismo” su cui si eserciteranno restrizioni incerte.
Infatti, su incarico dei capi di governo dell’Unione, Solana, alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune nella Commissione Prodi, ha redatto un documento sulla strategia europea in materia di questioni militari nel quale “propone tre obiettivi strategici per l’Unione Europea. Innanzitutto, siamo in grado di contribuire in maniera particolare alla stabilità e al buon governo nei Paesi a noi immediatamente vicini. In secondo luogo, più in generale, bisogna creare un ordine internazionale che si basi su di un multilateralismo efficace. Infine, dobbiamo misurarci con nuove e vecchie minacce”. Multilateralismo come dottrina politica che richiede però un adeguato sostegno di forza militare, infatti “se prendiamo sul serio le nuove minacce e la creazione di forze mobili più flessibili, abbiamo bisogno di aumentare le risorse per la difesa”.
Se l’Europa vuole modificare “l’ordine mondiale unilaterale” stabilito dagli Stati Uniti allora deve avere una sua politica estera ma soprattutto una sua autonoma forza militare. Il “multilateralismo” indispensabile per governare il mondo, insomma, richiede un esercito vero.
Multilaterali con esercito
Così attraverso la Costituzione e la Commissione europee siamo arrivati al dunque. Al ruolo dell’Europa nel mondo. Alla sua vocazione, ma, soprattutto alla sua missione. Mentre tutti d’accordo nel giudizio negativo sul
La questione è delicata. Complessa. Controversa. “Il bisogno di sicurezza, secondo Giuliano Amato, viene contrapposto operativamente all’ordine internazionale. L’ordine internazionale e l’ordine europeo sono in fondo anch’essi risposte al bisogno di sicurezza, a un certo tipo di visione della sicurezza, più basata sulla ricerca del dialogo. La realizzazione di queste scelte non può prescindere però dalla considerazione degli strumenti e degli attori tradizionali che il sistema adottava per la propria sicurezza. È irrealistico pensare che le componenti della società e delle istituzioni nazionali europee, che si sono occupate finora della sicurezza in termini classici, accettino di collaborare al piano europeo senza avere alcun ruolo. La difesa europea dovrà quindi contemplare entrambi questi elementi calibrandoli sapientemente, senza permettere che la foga difensiva tradizionale ostacoli la costruzione del dialogo anche con i potenziali avversari”. Prima la politica poi l’esercito, insomma, non viceversa com’è avvenuto nell’amministrazione Bush. O, in altri termini, farsi un esercito, senza smettere di agire un ruolo di pace.
Dalla politica alle armi
E veniamo alla creazione dell’Agenzia per gli armamenti. Secondo Giuliano Amato, questa dovrebbe essere accompagnata dalla realizzazione di una “Agenzia di Peacebuilding e per la gestione costruttiva dei conflitti”, che consenta di estendere all’estero il metodo del dialogo, con cui si è unificata l’Europa, senza conflitti violenti. Se dunque l’Unione intende segnare la sua diversità come attore globale nel pianeta e garantire la propria sicurezza con mezzi sia civili che militari, è opportuno che si doti di uno specifico strumento di peacebuilding.
Diversa l’opinione di Luisa Morgantini. Obiettivo principale dell’Europa dovrebbe essere “fermare la guerra che è stata condotta aggredendo il patto sancito dalle Nazioni Unite dopo la seconda Guerra Mondiale”. Dunque, l’Europa ha una missione centrale, che le deriva “dal proprio passato ma anche dal futuro”, nella ricostruzione della credibilità dell’ONU. Invece, l’agenzia delle armi si muove secondo una diversa direttrice politica, quella che punta a colmare il “divario” con gli USA, accogliendo le esigenze delle principali industrie europee della difesa, desiderose di stabilizzare un mercato interno in declino rispetto a quello americano. “Ma ciò che l’Europa occidentale conquisterebbe in termini finanziari – sostiene la Morgantini – lo perderebbe in termini politici. L’Europa diverrebbe più dipendente dagli Stati Uniti, dato che Washington sarebbe il solo detentore delle “chiavi” del “sistema dei sistemi”, che costituisce l’essenza del “network-centric warfare”. Che coerenza avrebbe una politica del genere, in un momento in cui l’Unione Europea sta cercando di acquisire sulla scena internazionale un ruolo e un’influenza politica che vadano al di là dell’ambito economico e monetario?”
Questione di business
Solo sicurezza? No, dunque, anche economia. L’agenzia delle armi nasce, infatti, anche con lo scopo esplicito di sostenere la competizione con l’industria statunitense. Una competizione che evidentemente non si può vincere se non integrando il settore a livello europeo. Secondo l’economista esperto Filippo Andretta “il fine politico transatlantico è rafforzare l’Unione europea rendendosi indipendenti dagli USA e superando i limiti di struttura delle singole nazioni europee”. Con dei “vistosi” effetti collaterali: elevando la scala a livello europeo si rischia di allargare le maglie dei controlli sul business delle armi e di rendere ancora più facile il fetido commercio di morte. Infatti, il capitolo “controlli” resta drammaticamente bianco, mentre le lobby operano con grande efficacia per mantenere molto basse le soglie dei vincoli.
Come si vede sono molte le questioni sul tappeto. Molte e complesse e profonde. Il ruolo politico dell’Europa nel mondo. Il fattore “sicurezza” nella costruzione di una politica di pace. Ma anche lo sporco business delle armi. Quanto basta per seguire con straordinaria attenzione quello che avverrà nei prossimi mesi. In qualche misura, la pace dipende anche da questo.