Il silenzio dell'infanzia
Scrivo con l'orrore di Beslan davanti agli occhi. La crudeltà umana sembra non conoscere limiti, e un senso di impotenza getta lunghe ombre nere sui buoni propositi e sulle tenui speranze. Sotto le macerie di quella sciagurata scuola dell'Ossezia, sono morti ammazzati bambini e donne, genitori e parenti, e insieme a loro il valore sacro della vita. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo gridano una verità micidiale: che il terrorismo non ha più il minimo rispetto per la vita umana, neanche quella di un bambino. In una spirale perversa e impazzita, ogni atto di violenza sarà d'ora in poi più atroce di quello precedente. Di fronte a tale efferatezza, vi è più di una ragione per abbandonare la lotta per un mondo più pacifico.
Ricominciare daccapo
Facciamo fatica ad afferrare il vero dramma in atto. Eppure non tanti anni fa' anche noi eravamo bambini. Anche i terroristi sono stati bambini, anche i governanti della terra. Ci si deve chiedere allora che cos'è successo, cosa si è rotto, come ci si arriva a compiere atti di tale atrocità. Ci si può anche chiedere se esiste un fossato invisibile che separa l'infanzia dall'età adulta, che non ci permette più di sentire l'infanzia, ancora prima di rispettarla. Ma anche se così fosse, anche se noi adulti avessimo ormai perso la nostra facoltà di essere bambini, l'indignazione di fronte alle bassezze umane non può venir meno. L'indignazione è il punto fermo per non abbandonare la nostra dignità. In questo senso, non dobbiamo rimuovere in fretta le immagini dell'orrore come vorremmo per tranquillizzarci e permetterci di tornare alla “normalità”, ora che sappiamo di vivere in un mondo dove niente più è normale. Non dobbiamo cedere alla tentazione di nascondere in un angolo buio della memoria le sensazioni e le emozioni tremende che ci hanno investiti allorché mitragliatrici e bombe trasformavano una scuola in un mattatoio.
Solo accettando questa realtà – questa micidiale consapevolezza di quello che l'uomo sa infliggere ai suoi simili, anche di quattro o cinque anni – si può tentare di individuare delle azioni dirompenti e durature, che ci permettano di intravedere un mondo più tranquillo. A cominciare
dall'elaborazione del lutto. Ogni bambino che ha visto l'atrocità della violenza umana (nelle guerre, ma anche fra le mura di casa), è stato derubato della sua crescita naturale. È come se fosse stato buttato giù dal nido, quando non era ancora sicuro di saper volare. E se molti riescono poi a volare per forza di cose, quanti invece si schiantano al suolo? Vai a spiegare a un uccello che non avrà più le ali per volare…
Bambini feriti
C'è quindi bisogno di tanta cura, di tanta attenzione, di tanto tempo per accompagnare i bambini feriti verso una guarigione che si spera si potrà un giorno raggiungere (probabilmente mai del tutto). In un mondo cinico, questo sforzo di recupero può sembrare una perdita di tempo e di risorse. In un mondo etico, è la pietra miliare per la costruzione di una possibile convivenza. Se non prestiamo cura in primis a coloro che più di tutti hanno pagato il prezzo della follia umana, sarà difficile convincere gli altri che stiamo veramente inseguendo un indomani migliore.
In questo sforzo, è imperativo che gli adulti facciano un passo indietro. Che sappiano accompagnare piuttosto che indirizzare, ascoltare piuttosto che ordinare, lasciare tempo al tempo piuttosto che affrettare le tappe della guarigione. La convalescenza del cuore e dello spirito è lunga e necessita di essere protetta. Sappiamo di quanto tempo ha bisogno la foresta tropicale per rigenerarsi dopo l'attacco del fuoco o delle ruspe. Gli adulti devono anche imparare a coinvolgere gli altri bambini in questo processo. Perché ogni volta che un singolo bambino viene violentato, è tutta l'infanzia che è colpita e nessuno si sente più al sicuro.
Gridare in silenzio
Sono i bambini che devono diventare i protagonisti privilegiati del cambiamento. Non possono continuare a gridare nel silenzio. La loro voce deve contare sempre più, quando si decidono le trame dell'avvenire. Di recente hanno fatto sentire le loro opinioni in giro per il mondo, per la strada come in conferenze internazionali, e hanno detto chiaro e tondo che una visione del mondo ce l'hanno, e non è quella degli adulti. Hanno detto che vogliono vivere insieme e in pace, come vogliono vivere in armonia con la natura. Hanno detto che sono pronti a sacrifici se questo può portare a più giustizia e più equilibrio fra tutti gli uomini della Terra. Hanno detto che sono pronti a rimboccarsi le maniche e che non hanno paura dello sforzo che ci vorrà per costruire un mondo migliore. Ma hanno soprattutto detto che gli adulti devono prenderli sul serio, non trattarli come anelli deboli della catena umana, come creature indifese e passive, da ingabbiare (anche in gabbie d'oro – vedi i figli delle società ricche e paranoiche) “per il loro bene”, finché non diventino anche loro adulti.
La scommessa è quindi evidente. Noi adulti siamo chiamati prima di qualsiasi altra cosa ad avere fiducia nell'infanzia. Sembra un pleonasmo, ma non lo è. C'è una singolare coincidenza fra un momento storico in cui il mondo è in balia del terrore e quindi sempre meno fiducioso nell'avvenire, e il modo in cui vengono violati i diritti fondamentali dei bambini e degli adolescenti. È come se dicessimo loro che non crediamo più nel futuro, e quindi non crediamo più in loro. Quale messaggio più distruttivo potevamo inventare?
Lo sforzo più grande
Tocca quindi agli adulti adesso lo sforzo più grande. Tocca a noi imparare di nuovo a sognare, a individuare utopie, a definire valori condivisi da tutti. Gli scontri di civiltà non si risolvono con il trionfo dell'una sulle altre. E soprattutto non si risolvono con le armi del cinismo o del famigerato realismo politico, che non mi sembra abbiano portato alcun miglioramento nella storia umana recente, che sono anzi fra le principali cause di come il mondo va male oggi.
La leva dei diritti
Ecco perché i diritti dell'infanzia rappresentano oggi più che mai una leva fondamentale per trasformare il mondo degli adulti. Non possiamo più dire che una volta soddisfatti i bisogni di base dei bambini, il resto verrà da sé, che le cose si arrangeranno da sole. A che serve vaccinare un bambino, garantirgli l'acqua potabile e l'igiene di base, mandarlo a scuola, fargli intravedere una vita più degna, se è poi nella fattispecie condannato a vivere in guerra, o viene sopraffatto dalla violenza degli adulti? Che cosa gli abbiamo regalato alla fine? Solo illusioni?
Allora diventa chiaro che fra i diritti dell'infanzia, il diritto alla pace è la spina dorsale, la condizione primordiale per il compimento di tutti gli altri. E mentre si deve cercare sempre più ogni mezzo e ogni strumento disponibile per radicare nei bambini fin da piccoli il valore della convivenza, della nonviolenza, della risoluzione pacifica dei conflitti (sembra strano, ma la storia è piena di esempi che hanno funzionato!), dall'altro lato dobbiamo noi adulti procedere seriamente a un disarmo prima di tutto filosofico, che ci ricordi che siamo tutti nella stessa barca, e che violando i diritti dei bambini non facciamo altro che violare i nostri stessi diritti.
Chiunque lavora con i bambini o cerca di favorire la piena attuazione dei loro diritti, sa per definizione che un mondo più a misura di bambini è un mondo migliore per tutti. Certo, un mondo a misura di bambini ci richiede di ripensare le nostre priorità economiche e politiche, ci richiede di cambiare ritmi e tempi di vita, ci richiede maggiore ascolto, maggiore attenzione, maggiore cura dei dettagli, e soprattutto maggiore rispetto. Rispetto per la diversità, rispetto per la complessità, rispetto per le sfumature, rispetto per l'imperfezione. Ma non sono proprio queste le condizioni di partenza per un percorso di pace?