Divisa senz'obbligo
Grazie al progetto avviato nel 2001 dal Governo di centro-sinistra e portato a termine dall'attuale maggioranza di destra, anche il nostro Paese avrà Forze Armate completamente volontarie e, a partire dal 1 gennaio 2005, nessun giovane sarà obbligato a indossare una divisa per servire la Patria.
Tutti d'accordo
Non è stato un travaglio facile. Infatti, si è dovuto trovare un delicato equilibrio tra le esigenze dei vertici militari, che non volevano cedere il potere di gestire milioni di giovani e che come contropartita hanno chiesto e ottenuto concrete garanzie sulle risorse economiche, e le esigenze dei politici che pensavano di capitalizzare un forte consenso elettorale, anche se l'Ulivo ha abolito la leva ma ha poi perso le elezioni. L'unico escluso dalla discussione è la società civile: è pur vero che la larga maggioranza della popolazione non ha mai sopportato questo obbligo, tanto che ormai quasi la metà dei giovani chiamati alle armi si dichiaravano obiettori, ma è altrettanto vero che non ha mai avuto nessun elemento diverso per farsi un'idea di dove porta tale progetto, di non poco conto.
Senza cadere nella nostalgia della leva obbligatoria, si può affermare che questa riforma avrà dei costi economici e sociali molto elevati.
I costi
L'Amministrazione della Difesa, durante la discussione parlamentare sul passaggio all'esercito professionale, avrebbe commissionato uno studio sull'impatto economico di tale riforma, poi tenuto ben chiuso in un cassetto. Che i costi aumentino, non stupisce affatto: ad esempio, per non lasciare a casa molti generali, si è creato un esercito con un numero di militari ancora elevato. Inoltre, la vocazione per il militare nel nostro Paese non è forte e
quindi necessita di molti incentivi per far presa sui giovani. Ovviamente tutto questo dilata i costi.
Questa riforma, malgrado i deputati fossero informati, si configura come un enorme salto nel buio, specialmente sul versante economico. Bastava leggere le note del “Servizio Bilancio” del Senato per capire che le cifre presentate in Parlamento per la riforma della leva erano completamente sballate, e andavano ben oltre un onere di 1.000 miliardi di vecchie lire per il primo triennio e di 1.000 miliardi di lire per l'anno a regime, com'è scritto nella legge. Secondo l'organo interno del Senato, infatti, il provvedimento “non considera le spese diverse da quelle del personale. Tale lacuna appare particolarmente rilevante in quanto l'istituzione di un servizio professionale comporta una serie di spese di equipaggiamento e armi, nonché spese logistiche e di formazione e di funzionamento superiori di unità di personale a quelle necessarie a un esercito di leva (…). Inoltre è prevedibile che molti servizi garantiti dal personale di leva dovranno essere acquisiti attraverso il ricorso all'esterno”.
Uguali ma diversi
A ciò si aggiunga che con la riforma ci sarà la necessità di rimpiazzare i 12.000 Carabinieri di leva e gli oltre 50.000 obiettori in Servizio Civile. Infatti nei due provvedimenti con i quali è stata congelata la leva e si è anticipato l'avvio dell'esercito di mestiere, non si è mai pensato al Servizio Civile. Nella scorsa legislatura, dopo molte proteste, è stato istituito, con un provvedimento a parte, il Servizio Civile volontario. Peccato però che le due modalità di difesa della Patria, alla quale come ha recentemente ribadito la Corte Costituzionale contribuisce anche il Servizio Civile volontario, siano trattate in modo diametralmente opposto. Per il servizio militare si è deciso che occorrono 190.000 uomini, garantendo le necessarie coperture finanziarie. Per il Servizio Civile invece, si è stabilito che partiranno tanti giovani quanti ne consente il fondo messo a disposizione dalla finanziaria.
Servizio Civile dimezzato
La situazione del Servizio Civile non è, dunque, delle più rosee. Infatti nel 2004 sono partiti per il Servizio Civile circa 30.000 obiettori, per un costo di 50 milioni di euro e 38.000 volontari, per un costo di quasi 200 milioni di euro. Altri 20 milioni di euro sono serviti per le attività istituzionali e per la funzionalità dell'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile. In totale si sono spesi 270 milioni, ottenuti grazie alla possibilità di aggiungere ai 119 milioni di euro presenti nel fondo 2004 del Servizio Civile altri 150 milioni di euro avanzati dagli esercizi precedenti. Nel 2005 saranno disponibili solo i fondi presenti in finanziaria, 240 milioni di euro. Considerando che persisteranno spese per gli obiettori che iniziano Servizio Civile nel 2004 e che devono portarlo a termine nel 2005, e la stessa cosa vale per quei volontari che partiranno non prima della fine del 2004, secondo il ministro Carlo Giovanardi, con delega in materia, potranno partire circa 30.000 volontari, quindi sostanzialmente si dimezzano i giovani impegnati in questo settore ormai cruciale per la difesa non in armi del Paese.
Divise preoccupanti
La riforma professionale delle Forze Armate preoccupa per diversi aspetti. Il primo è quello politico. Infatti è chiaro che la dottrina della “guerra preventiva” perseguita dall'amministrazione Bush, che vede l'Italia seguace e sostenitrice, preveda continui interventi militari in varie aree del mondo. Per questo sempre più l'attività principale delle nostre Forze Armate sono le missioni fuori dai confini nazionali, che in questo momento (al 30 settembre 2004) vedono impegnati 9.782 militari. I rischi che si corrono in queste operazioni richiedono che la scelta del personale impiegato debba necessariamente essere volontaria, anche se mascherata dalla necessità di maggiore professionalità. Se l'Italia riesce a far fronte agli attuali impegni internazionali con 10.000 uomini, significa che, calcolando i rimpiazzi e i turni, si dovranno impiegare circa 30.000 giovani. Ma allora perché il nuovo esercito sarà composto, per legge, da 190.000 unità? Una risposta plausibile è: questo numero serve a giustificare l'elevata presenza di graduati. Un altro punto oscuro della riforma è dato dal compito di presidiare gli obiettivi sensibili che sarà assolto da 4000 militari: perché non chiamare ad assolverlo poliziotti addestrati per quel compito preciso? Inoltre non si capisce perché, con un numero così cospicuo di militari, entrino in profonda crisi. Abbiamo forse un esercito di non-operativi?
Ancora sui costi
Infatti la metà del bilancio della “funzione difesa” si concentra sulle spese per il personale: 8.028 milioni di euro per il 2005 con un incremento del 6,5% rispetto all'anno precedente, laddove il solo capitolo sul personale in ferma prefissata è passato da 807 milioni di euro a 994 milioni di euro, con un salto in avanti del 23,1%. Le spese sono destinate a crescere, perché l'unica possibilità di sopperire alle scarse vocazioni che il servizio militare ispira è quella di aumentare lo stipendio o offrire incentivi come la garanzia del posto di lavoro o della casa.
Ed è proprio sugli incentivi che si gioca il terzo aspetto negativo. Infatti, nella legge che anticipa la fine della leva viene garantita ai volontari in ferma prefissata la totalità dei posti messi a concorso nelle carriere iniziali delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e della Croce Rossa. Il che, da un lato, viola l'articolo 51 della Costituzione sulla parità di accesso ai pubblici uffici e, dall'altro, crea una pericolosissima militarizzazione della società. Infatti, è prevista anche una corsia preferenziale in altri settori dello Stato e sono in corso accordi con le principali organizzazioni di categoria private. Insomma, per garantire gli incentivi voluti dalle Forze Armate si rischia di far sballare qualsiasi bilancio. Le richieste sono messe nero su bianco nel recente Libro bianco della Difesa: per garantire il numero sufficiente di giovani le Forze Armate chiedono di: 1) offrire prospettive per l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro; 2) adeguare le retribuzioni dei volontari; 3) migliorare le condizioni di vita come l'agevolazione per l'acquisto di una casa.
Cifre da record
Il bilancio della difesa quest'anno raggiunge la cifra record di 20.793 milioni di euro, con un incremento del 5% in termini monetari, e un 3,4% in termini reali rispetto all'anno precedente. Eppure non basta. Affatto.
Forze Armate che si rispettino devono anche essere ben equipaggiate e mentre si sogna il soldato del futuro con tuta ignifuga, elmetto con mini pc e visori notturni, oggi molti militari partono per le missioni con molte carenze di attrezzatura ordinaria, come tragicamente dimostrato dai molti militari colpiti dagli effetti dell'uranio impoverito in diverse missioni perché non avevano neanche guanti e mascherine. Altri soldi del contribuente buttati? Pensiamo di sì, come i 1.390 milioni della seconda portaerei italiana, la “Andrea Doria”, definita inutile nell'attuale contesto geo-strategico dallo stesso ministro della Difesa, Antonio Martino.
Quanta sicurezza si potrebbe assicurare se questi soldi venissero investiti nello sviluppo del sud del mondo, nella ricostruzione di rapporti pacifici tra civiltà e nel nostro benessere quotidiano, dato da un ambiente più sano, dalla garanzia della salute e dell'istruzione e del lavoro, senza nasconderci dietro lo spauracchio di armi totalmente spuntate di fronte a un terrorismo che non ha più nulla da perdere?