In cima alla verità
Che cosa possa accadere quando un cineasta di primo livello, un maestro, si dispone a girare un film di genere, lo abbiamo visto più volte nel corso degli anni. Basta citare Stanley Kubrick per ricordare come un genere commerciale possa rinnovarsi: transitando da vari generi cinematografici non sempre quotati, (la fantascienza, il thriller, il bellico...), Kubrick è sempre riuscito a lasciare un segno nella cinematografia di settore con innovazioni tecniche e novità di lettura. Se si aggiunge la sua capacità di critica sociale, che a volte rasentava la ferocia per franchezza e poco riguardo nei confronti degli status di classe, si recupera il senso pieno di un cinema che
Ying Xiong
Regia:
Zhang Yimou
Produzione:
Cina Hong Kong 2002
Cast:
Maggie Cheung, Tony Leung,
Chiu Wai, Jet Li, Zhang Yiyi
Fotografia:
Christopher Doyle
La filosofia delle arti marziali
Molto popolare in Asia, il wuxiapian o swordplay (si può tradurre con il vecchio termine “cappa e spada”) racconta di guerrieri esperti nell'arte marziale dell'uso della spada, delle loro gesta spesso tratte dalla tradizione popolare asiatica, dei valori che sottostanno alle loro esistenze e al loro destino. Se i prodotti di tal genere arrivati in Occidente sono per lo più provenienti da Hong Kong, un paio di anni fa è stato un caso di critica e di mercato La tigre e il dragone di Ang Lee, regista asiatico ormai da diverso tempo attivo nella grande industria cinematografica statunitense, che ha prodotto il suo film con capitali occidentali ottenendo grande successo (è stato il film straniero più visto in Nordamerica di tutti i tempi, premiato con quattro premi Oscar), e ci ha offerto un saggio, peraltro edulcorato e sviante a detta di molta critica, della filosofia dello wuxiapian.
Zhang Yimou, uno dei primi registi cinesi a vedersi riconosciuto dalla critica occidentale lo status di grande autore (suoi film pluripremiati come Sorgo rosso, Lanterne rosse, Vivere, Non uno di meno, La strada verso casa) affronta la prova di uno wuxiapian, e per farlo recupera una delle tante leggende sulla nascita dell'impero cinese, peraltro già raccontata da L'imperatore e il suo assassino di Chen Kaige.
Il sogno dell'impero
Qin vuole unificare i cinque grandi regni che, duemila anni fa, si dividevano il territorio che darà origine all'Impero Celeste, ma tre invincibili guerrieri (Cielo, Spada Spezzata e Neve Volante) di cui ha sconfitto i
Qual è il valore supremo
Il confronto tra l'imperatore e Senza Nome passa per il principio su cosa realmente conti: l'importanza delle vendette personali o il benessere dei popoli nel loro destino di diventarne uno soltanto. E se si riconosce il valore supremo di un onore che comprende il dono totale di sé nella ricerca di
Ju Dou (1990)
Lanterne rosse (1991) – Leone d’argento a Venezia
La storia di Qiu Ju (1992) – Leone d’oro a Venezia
Vivere! (1994) – Gran Premio della Giuria a Cannes
La triade di Shanghai (1995) – Gran Premio tecnico a Cannes
Lumière and Company (1995)
Keep Cool (1997)
Non uno di meno (1998) – Leone d’oro a Venezia
La strada verso casa (2000) – Orso d’argento a Berlino
La locanda della felicità (2001)
La foresta dei pugnali volanti (2004)
Il film ha momenti di una bellezza assoluta, che mostrano tutta l'abilità di Yimou: la fotografia rivela ancora una volta il talento superbo di Christopher Doyle, le coreografie sono di Ching Siu Tung, già in Storie di fantasmi cinesi.
Zhang Yimou è già tornato a un nuovo wuxiapian, presentato all'ultimo festival di Cannes e nelle sale italiane nel 2005: La foresta dei pugnali volanti, in cui il lirismo della storia – ancora tratta dalla tradizione delle leggende cinesi – cerca di evitare la chiave politica con cui si è letto il messaggio di Hero. La retorica della fedeltà all'Imperatore e la teorizzazione dell'unità politica sotto una stessa suprema autorità sono parse molto funzionali al sistema di potere assoluto, centralizzato, autoreferenziale e assai poco rispettoso del valore degli individui, che governa oggi la Cina. Di un autore come Yimou – che in passato ha dovuto penare non poco per poter far uscire i suoi film, in Occidente e talvolta nel proprio Paese, sfuggendo alle maglie del regime censorio cinese – si fa fatica a pensare che si sia asservito a un'idea così strumentale: il sottotesto di quel bellissimo film che è La strada di casa, ad esempio, non è certo tenero con il maoismo. Ma l'idea che la pace sia possibile nell'assoggettarsi dei singoli a un progetto imposto – sia pur positivo e retto da personaggi illuminati – stride, in effetti, con l'idea, forse molto occidentale, che la pace sia invece la via che consente il consenso senza mortificare l'identità personale, giocando sulla libera volontà dell'individuo verso i beni e il valore del convivere in armonia.