CINEMA

In cima alla verità

Un film di straordinaria bellezza ma anche inquietante, che descrive come la via orientale alla pace sia la rinuncia alla vendetta. E come in alcuni casi la verità porti all'impero.
Andrea Bigalli

Che cosa possa accadere quando un cineasta di primo livello, un maestro, si dispone a girare un film di genere, lo abbiamo visto più volte nel corso degli anni. Basta citare Stanley Kubrick per ricordare come un genere commerciale possa rinnovarsi: transitando da vari generi cinematografici non sempre quotati, (la fantascienza, il thriller, il bellico...), Kubrick è sempre riuscito a lasciare un segno nella cinematografia di settore con innovazioni tecniche e novità di lettura. Se si aggiunge la sua capacità di critica sociale, che a volte rasentava la ferocia per franchezza e poco riguardo nei confronti degli status di classe, si recupera il senso pieno di un cinema che Locandina del film Hero

HERO
Titolo originale:
Ying Xiong
Regia:
Zhang Yimou
Produzione:
Cina Hong Kong 2002
Cast:
Maggie Cheung, Tony Leung,
Chiu Wai, Jet Li, Zhang Yiyi
Fotografia:
Christopher Doyle
ha l'audacia di pensarsi ancora con un ruolo culturale “alto”, non addomesticabile, e tanto più efficace nel comunicare se in grado di farlo attraverso generi che il pubblico considera pienamente commestibili, senza le riserve solitamente presenti nei confronti del cinema impegnato o d'arte. Non sempre questo tipo di operazione produce gli effetti sperati: uno stile anche notevole nell'usare e contaminare generi diversi dovrebbe comunque essere al servizio di valori e contenuti di livello. Il Quentin Tarantino dei due volumi di Kill Bill ci offre un saggio impressionante per virtuosismo di regia, ma la storia che racconta lascia molto negli occhi, quasi niente nella testa.

La filosofia delle arti marziali
Molto popolare in Asia, il wuxiapian o swordplay (si può tradurre con il vecchio termine “cappa e spada”) racconta di guerrieri esperti nell'arte marziale dell'uso della spada, delle loro gesta spesso tratte dalla tradizione popolare asiatica, dei valori che sottostanno alle loro esistenze e al loro destino. Se i prodotti di tal genere arrivati in Occidente sono per lo più provenienti da Hong Kong, un paio di anni fa è stato un caso di critica e di mercato La tigre e il dragone di Ang Lee, regista asiatico ormai da diverso tempo attivo nella grande industria cinematografica statunitense, che ha prodotto il suo film con capitali occidentali ottenendo grande successo (è stato il film straniero più visto in Nordamerica di tutti i tempi, premiato con quattro premi Oscar), e ci ha offerto un saggio, peraltro edulcorato e sviante a detta di molta critica, della filosofia dello wuxiapian.
Zhang Yimou, uno dei primi registi cinesi a vedersi riconosciuto dalla critica occidentale lo status di grande autore (suoi film pluripremiati come Sorgo rosso, Lanterne rosse, Vivere, Non uno di meno, La strada verso casa) affronta la prova di uno wuxiapian, e per farlo recupera una delle tante leggende sulla nascita dell'impero cinese, peraltro già raccontata da L'imperatore e il suo assassino di Chen Kaige.

Il sogno dell'impero
Qin vuole unificare i cinque grandi regni che, duemila anni fa, si dividevano il territorio che darà origine all'Impero Celeste, ma tre invincibili guerrieri (Cielo, Spada Spezzata e Neve Volante) di cui ha sconfitto i

Zhang Yimou
Scarne le indicazioni reperibili sul regista cinese: poco più di luogo (Xi’an, Shaanxi, Repubblica Popolare Cinese) e data di nascita (14 novembre 1951). Nella filmografia che segue, un dato rilevante: il numero impressionante di premi ricevuti nei principali festival del cinema in Europa. Segno di un amore fulminante ma duraturo (anche se i segni di una parziale disaffezione si sono evidenziati, da parte della critica, per quanto riguarda le sue ultime opere, di cui si nota una eccessiva occidentalizzazione). Di lui si sa che, dopo aver studiato nelle scuole di cinema in patria, ha avuto difficoltà a far circolare i suoi film per il regime censorio che oggi stringe la Cina in una morsa rigida.
signori, hanno votato la loro vita alla sua morte. Si presenta al Palazzo Imperiale un funzionario, Senza Nome, di una lontana provincia, che ha con sé le prove della morte dei tre nemici di Qin, da lui uccisi in duello o mettendoli l'uno contro l'altro (Spada Spezzata e Neve Volante sono amanti ma quest'ultima è stata legata anche a Cielo). Senza Nome racconta la sua storia, giurando sulla sua fedeltà all'Imperatore: ma quest'ultimo, che ben conosce il cuore umano, dubita del racconto e lo narra in modo diverso, tale da mostrare come i pericoli per lui non sono certo terminati, anzi... La verità si farà evidente solo al termine, quando le vicende si presenteranno nell'intrecciarsi di una realtà complessa, e dalle implicazioni inaspettate. I tre racconti sono girati con diverse tonalità di colore (rosso, bianco, azzurro) a seconda di chi racconta e con quale scopo: i duelli danno origine a vere e proprie coreografie, in cui i duellanti vincono le leggi dello spazio e del tempo in una danza armoniosa e letale, in cui la violenza si annulla nel gioco dei movimenti e dei colpi. Non c'è sangue e i colpi mortali sono inferti con tale maestria chirurgica da dubitare del loro esito... Se in Kill Bill l'estetica della violenza non può fare a meno della rappresentazione della violenza stessa fino al parossismo (il sangue scorre a fiumi, e l'uso del bianco e nero nelle scene finali del volume uno non mitiga l'aggressività visiva del tutto), qui il fascino risiede nel ridurre il gesto di morte a disciplina e gesto perfetto, fino a denaturarne il significato letale: come del resto accade in molta parte della teoria sulle arti marziali propria del buddismo.

Qual è il valore supremo
Il confronto tra l'imperatore e Senza Nome passa per il principio su cosa realmente conti: l'importanza delle vendette personali o il benessere dei popoli nel loro destino di diventarne uno soltanto. E se si riconosce il valore supremo di un onore che comprende il dono totale di sé nella ricerca di

Filmografia
Sorgo rosso (1987)
Ju Dou (1990)
Lanterne rosse (1991) – Leone d’argento a Venezia
La storia di Qiu Ju (1992) – Leone d’oro a Venezia
Vivere! (1994) – Gran Premio della Giuria a Cannes
La triade di Shanghai (1995) – Gran Premio tecnico a Cannes
Lumière and Company (1995)
Keep Cool (1997)
Non uno di meno (1998) – Leone d’oro a Venezia
La strada verso casa (2000) – Orso d’argento a Berlino
La locanda della felicità (2001)
La foresta dei pugnali volanti (2004)
un ideale superiore, non vuol dire che ciò conduca a risparmiare la vita del nemico, anche se egli, a sua volta, ha rinunciato alla sua vendetta proprio in virtù di una più alta verità.
Il film ha momenti di una bellezza assoluta, che mostrano tutta l'abilità di Yimou: la fotografia rivela ancora una volta il talento superbo di Christopher Doyle, le coreografie sono di Ching Siu Tung, già in Storie di fantasmi cinesi.
Zhang Yimou è già tornato a un nuovo wuxiapian, presentato all'ultimo festival di Cannes e nelle sale italiane nel 2005: La foresta dei pugnali volanti, in cui il lirismo della storia – ancora tratta dalla tradizione delle leggende cinesi – cerca di evitare la chiave politica con cui si è letto il messaggio di Hero. La retorica della fedeltà all'Imperatore e la teorizzazione dell'unità politica sotto una stessa suprema autorità sono parse molto funzionali al sistema di potere assoluto, centralizzato, autoreferenziale e assai poco rispettoso del valore degli individui, che governa oggi la Cina. Di un autore come Yimou – che in passato ha dovuto penare non poco per poter far uscire i suoi film, in Occidente e talvolta nel proprio Paese, sfuggendo alle maglie del regime censorio cinese – si fa fatica a pensare che si sia asservito a un'idea così strumentale: il sottotesto di quel bellissimo film che è La strada di casa, ad esempio, non è certo tenero con il maoismo. Ma l'idea che la pace sia possibile nell'assoggettarsi dei singoli a un progetto imposto – sia pur positivo e retto da personaggi illuminati – stride, in effetti, con l'idea, forse molto occidentale, che la pace sia invece la via che consente il consenso senza mortificare l'identità personale, giocando sulla libera volontà dell'individuo verso i beni e il valore del convivere in armonia.

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