Sperare in versi
Si commuove Hugo Arevalo, l'amico e biografo di Pablo Neruda. Tre video clip realizzati dagli studenti dell'università di Bolzano immaginano Pablo in Alto Adige. È il contributo dei giovani altoatesini per i cento anni dalla nascita del poeta latinoamericano. Le parole passano fra le immagini della stazione, nel volo dell'aquila sulle cime innevate e fra le tombe del cimitero. Hugo ringrazia gli studenti, trattiene le lacrime, come sempre quando i suoi occhi incrociano gli occhi moribondi di Pablo, sul letto di morte subito dopo il golpe fascista di Pinochet. Hugo Arevalo c'era su quel letto triste e relegato in un angolino della storia. Fuori la grande storia la fanno le armi e le bombe dei dittatori. Pablo morì di pena, abbandonato da tutti. Le ultime parole sono per Arevalo: “Ricordati di realizzare il documentario sulla mia vita clandestina – mi disse mentre gli occhi si spegnevano – e così ho fatto. È il mio ultimo lavoro legato alla vita di Pablo”.
Hugo Arevalo, forse nessun altro meglio di lei ha conosciuto personalmente Pablo Neruda. Lei ha avuto la fortuna di viverci insieme in quel lungo viaggio attraverso il Cile per il lungo documentario, diventato poi un'opera monumentale dal titolo “Storia e geografia di Pablo Neruda”. Da quel momento la sua vita si è intrecciata indissolubilmente con quella del grande poeta e premio Nobel. Ci racconti alcuni episodi della grande amicizia con Pablo.
Ho conosciuto Pablo Neruda la prima volta alla metà del 1970. Dovevo girare
tutto era pronto sulla terra,
e Geova divise il mondo
tra Coca-Cola Inc., Anaconda,
Ford Motors, e altre società:
la Compagnia United Fruit
si riservò la parte piú succosa,
la costa centrale della mia terra,
la dolce cintura d’America.
Ribattezzò le sue terre
“Repubbliche Banane”,
e sopra i morti addormentati,
sopra gli inquieti eroi
che conquistarono la grandezza,
la libertà e le bandiere,
instaurò l’opera buffa:
cedette antichi benefici,
regalò corone imperiali,
sguainò l’invidia, e chiamò
la dittatura delle mosche,
mosche Trujillo, mosche Tacho,
mosche Carías, mosche Martínez,
mosche Ubic, mosche umide
d’umile sangue e marmellata,
mosche ubriache che ronzano
sopra le tombe popolari,
mosche da circo, sagge mosche
esperte in tirannia[…]
Frattanto, entro gli abissi
pieni di zucchero dei porti,
cadevano indios sepolti
dal vapore del mattino:
rotola un corpo, una cosa
senza nome, un numero caduto,
un grappolo di frutta morta
finita nel letamaio.
Dal CANTO GENERAL
Siete rimasti in contatto anche dopo le riprese?
Siamo rimasti in contatto anche dopo, quando lui era ambasciatore per il governo cileno a Parigi. Mi ricordo un giorno del 1972 quando io e mia moglie eravamo venuti in Europa per fare alcuni recital (Hugo Arevalo è anche musicista ndr) e ci eravamo trovati a Parigi. Lui era già molto famoso. Era ambasciatore del Cile e premio Nobel per la letteratura. Per sei mesi siamo rimasti insieme nella capitale francese e io e mia moglie ci siamo trovati a essere i suoi ambasciatori. Insomma, eravamo gli ambasciatori dell'ambasciatore Neruda. Fa sorridere, ma ci siamo trovati spesso a sostituirlo in lezioni di poesia, di letteratura in tutti quei luoghi in cui lui non poteva recarsi perché già affaticato e malato di cancro. Certamente non eravamo all'altezza del premio Nobel, ma andavamo lo stesso a proiettare qualche documentario di Pablo e a suonare alcune canzoni cilene. Poi siamo tornati insieme in Cile e ci siamo visti spesso a Isla Negra, a Santiago, anche perché io stavo lavorando a una biografia sul premio Nobel. Insomma, fino all'ultimo respiro io sono stato vicino a Pablo. Quegli ultimi momenti sono stati uno strazio.
Solo e abbandonato. Pablo, la voce del Cile, è morto triste, come un povero derelitto...
Sì, è morto proprio così. Il suo amico più caro, Salvador Allende era appena stato ucciso, costretto a suicidarsi. Il progetto di Unidad Popular era stato scalzato via con la forza. Allende aveva un progetto politico diverso da quello della sinistra più radicale. Era l'aggregazione di forze plurali della sinistra che dovevano risollevare il popolo. E dietro questo progetto, l'uomo che dava ossigeno spirituale, culturale e anche politico ad Allende era proprio Neruda. Il premio Nobel della letteratura era anche il cuore più vicino al cuore del presidente cileno ucciso.
Neruda poeta era Neruda politico. Non è possibile scindere i due volti dell'uomo.
Molti credono che la passione politica di Neruda sia emersa solo quando ha cominciato a fare il militante della sinistra. No! C'è sempre stata, in Neruda, fin da studente, una grande passione civile e politica per le sorti del popolo cileno e latinoamericano. Già da giovane scriveva poesie sulla povertà, sulla violenza, sulla guerra, sulla derive delle popolazioni del sud cileno, isolate dal mondo, dimenticate da Dio. Da ragazzo Neruda si professava anarchico, poi piano piano si integrò nella sinistra politica cilena, ma visse già da piccolo, sulla sua pelle, l'esperienza della povertà e della emarginazione. Credo che sia impossibile, nell'America Latina di ieri e di oggi, dividere l'impegno politico, civile, dall'impegno letterario e culturale.
Che uomo era Pablo Neruda?
Pur essendo un personaggio pubblico di grande importanza per il mondo, Pablo era di una umiltà estrema. Io me lo ricordo bene. Più umile e povero era il
suo interlocutore e più lui si faceva umile e povero. Non l'ho mai visto atteggiarsi da professore, da docente, da premio Nobel quale egli era, ma cercava sempre di essere al livello del suo interlocutore. Di più: Pablo faceva parlare la persona che aveva di fronte e si metteva in una disposizione d'ascolto pressoché totale.
Arevalo, lei ha passato gli ultimi istanti con Neruda in quel settembre nero del Cile, dopo il golpe di Pinochet. Neruda morì subito dopo. E lei era con lui al capezzale. Cosa ricorda?
Sono commosso. Tutte le volte che ci penso mi si stringe il cuore. Mi vengono alla memoria molti attimi passati intorno al suo capezzale, come le ultime parole, quando Pablo mi implorò di fare il documentario su Neruda clandestino. E poi il funerale. Fu un momento terrificante. C'erano cinquemila persone circondate dall'esercito con i mitra rivolti contro quella massa umana. Se avessero sparato contro la folla sarebbe stata una carneficina. Entrando al cimitero la gente cominciò a piangere e un grande scrittore cileno, Francisco Coloane, fece un'orazione funebre urlando come un pazzo, da solo contro il mondo. Coloane urlava i suoi ricordi con Neruda e il suo amore per il Cile e tutti noi fummo scossi da quel momento drammatico e intenso. Appena uscimmo dal cimitero cominciammo a scappare, non solo nel Cile, ma fuori, lontano. Mi riparai in Italia dove venni a contatto con il vostro Paese e con amici che mi aiutarono molto come Ettore Masina e la rete Radié Resch, che egli aveva fondato. Fu dopo, da esuli in Europa, che riprendemmo in mano la nostra storia e le nostre storie. Io rivisitai Neruda in tutti i frammenti della mia amicizia. E il cerchio si era chiuso.