Un uomo libero
Una Chiesa aperta. Al mondo, alla gente, ai poveri. Nessuno escluso. È questa l’ecclesiologia che emerge dagli scritti e dall’azione pastorale di don Tonino. Una comunità cristiana che non smette di interrogarsi e di lasciarsi mettere in discussione. Una Chiesa che non vive la sindrome dell’assedio e che, pertanto, non adotta la tattica della difesa a catenaccio di tradizioni, valori e beni, quanto piuttosto un marcamento a zona e a uomo. La metafora è di don Tonino. La zona è quella dei poveri e l’uomo è ogni persona. Perché il Vangelo in ogni sua pagina ci insegna che la persona umana concretamente intesa è da porre al centro dell’attenzione con uno stile che è quello del servizio pronto a chinarsi sui bisogni e sulle domande. Una Chiesa che sa ascoltare e sa entrare in dialogo e che rifugge dai ponti levatoi che la tengono distante dalla gente. Non accampa diritti ma solo doveri. Mi è capitata tra le mani un’intervista che don Tonino rilasciò nell’aprile del 1987 a un giornale locale, L’altra Molfetta. Dalle domande schiette dell’intervistatore si comprende che non si tratta di un’operazione concordata come quando le domande pervengono in anticipo e si pretende di fornire risposte scritte. Avviene così che alla domanda dell’intervistatore sulle tante persone che non si riconoscono più nella Chiesa perché essa appare statica “nonostante la indubbia evoluzione della società e della mentalità degli uomini”, don Tonino risponde: “Quando uno se ne va via da casa, un po’ di colpa ce l’ha anche chi vi rimane. Quando Giuda uscì dal cenacolo, qualche responsabilità l’hanno avuta anche i suoi compagni apostoli che (almeno così pare) non hanno fatto molto per trattenerlo accanto a Gesù. È vero: oggi l’ateismo sta diventando fenomeno di massa. Le ragioni sono molteplici e complesse. Ma, il petto, ce lo dobbiamo battere anche noi credenti, che non siamo stati sempre testimoni credibili della resurrezione di Gesù. È paradossale, ma chiama in causa la nostra autenticità religiosa l’espressione che ho letto da qualche parte: ‘Se essere cristiani fosse un delitto, e voi foste condotti in tribunale con l’accusa di essere cristiani, ci sarebbero ragioni sufficienti per farvi condannare?’. Molti di noi sarebbero assolti, purtroppo per insufficienza di prove, se non addirittura con formula piena!”
In maniera apparentemente banale, il giornalista incalza don Tonino con un’altra domanda che riguarda l’eventualità che lui possa essere sostituito “da un vescovo tradizionalista”. Il giornalista si dice preoccupato per “l’impatto” che questo avrebbe sul popolo di Dio. La risposta di don Tonino è straordinariamente disarmante nella sua semplicità: “Secondo me, il popolo di Dio di Molfetta non si cura granché delle etichette fabbricate dai nostri paradigmi culturali. Non gli importa molto se il vescovo guardi a destra o a sinistra. Gli interessa di più che il vescovo guardi in alto o in basso. In alto: cioè, ai valori autentici, forti, imperituri. In basso: cioè alla storia quotidiana e alla geografia concreta in cui gli stessi valori vanno incarnati. E poi, soprattutto, penso che il popolo di Molfetta voglia un vescovo che sia un uomo libero!”. E don Tonino è stato proprio un uomo libero. Un’eredità pesante quanto la sua testimonianza di fede e di vita che noi facciamo fatica a raccogliere e a mettere in pratica.