La via del dialogo
È un appuntamento atteso da tutta la Chiesa di base spagnola, il congresso dell’associazione di teologi “Giovanni XXIII”. “In piena crisi religiosa, caratterizzata dell’avanzare dell’ateismo e del rifiuto della religione, questo congresso è un esempio della vitalità del cristianesimo liberatore”, ci spiega Juan José Tamayo, teologo e anima dell’evento.
Quest’anno l’argomento verte sui fondamentalismi. Perché?
Perché i fondamentalismi, invece di retrocedere, avanzano, anzi galoppano, in ogni campo e si appropriano di sempre più numerosi frammenti della vita personale e sociale, religiosa e culturale, politica ed economica. È sufficiente guardarsi intorno per vedere come crescono i partiti xenofobi e islamofobi in Europa, che sono entrati nelle giunte comunali e regionali, nei parlamenti nazionali e persino nei governi di diversi Paesi, e il fanatismo di non pochi ideo-logi e leader religiosi, che bruciano i libri sacri delle altre fedi, compiono attentati terroristici in nome di Dio… come è avvenuto per il massacro di Oslo o per gli attentati terroristici dell’11 settembre.
Il fondamentalismo nasce come fenomeno religioso, ma si sta spostando in altri campi dell’umano. Esiste un fondamentalismo politico, religione dell’Impero; un fondamentalismo economico, religione del Mercato; un fondamentalismo patriarcale, che si traduce nel controllo dell’ordine sociale da parte del maschio e l’imposizione dei “presunti” valori patriarcali in tutti gli ambiti della vita; un fondamentalismo culturale, che afferma la superiorità e l’assolutizzazione della cultura, nel nostro caso quella occidentale; un fondamentalismo scientifico, quando la scienza assolutizza il metodo di avvicinamento alla verità e lo impone a tutti gli altri campi del sapere.
Quel che preoccupa oggi non è soltanto il fenomeno in sé, ma il fatto che si stia installando ai vertici della maggior parte delle religioni, della politica, dell’economia e persino degli Stati, ecc.. È una delle più gravi patologie della nostra epoca.
Alcuni teologi e scrittori hanno denunciato “gruppi che si dicono cristiani e che si servono di internet per seminare violenza e odio”. Lei che ne pensa?
Mi sembra una denuncia più che pertinente, perché internet è uno dei canali di espressione preferito dai fondamentalisti, e non per discutere, contro-argomentare e dialogare in modo civile tra posizioni ideologiche diverse, bensì per insultare e denigrare, anche con linguaggi talora aggressivi che possono portare alla violenza. Così si alimentano fondamentalismi e chiusure.
E nella Chiesa cattolica è presente qualcuno che alimenta queste dinamiche di pseudo-confronto tra diverse anime ecclesiali?
In parte sì, purtroppo, perché alcune posizioni sono molto affini a quelle degli integralisti. Basta leggere alcuni documenti contro il rispetto dei generi o contro il laicismo… Mi permetto di riferirmi a una condiscendenza con settori che i dirigenti ecclesiastici non correggono, ammoniscono o condannano e talora proteggono e legittimano. Invece di rendere possibile il dialogo tra le diverse parti cattoliche, la gerarchia prende esplicitamente posizione in favore dei gruppi citati, che si trasformano in suoi confidenti e collaboratori. Ciò rende il dialogo con i collettivi dei cristiani e delle cristiane non semplice, critico quello con i teologi e le teologhe. E i canali di comunicazione tra la gerarchia e i movimenti cristiani che difendono la riforma della Chiesa in conformità al Concilio Vaticano II sono stati tagliati.
È possibile che all’interno della Chiesa possano convivere sensibilità diverse? Come?
È necessario. Perché all’interno della società possono convivere persone e collettivi di diverse tendenze ideologiche, politiche, etiche, ecc. E perché non dovrebbe essere possibile che tale convivenza si realizzi anche all’interno della Chiesa cattolica? Come? Rinunciando, ad esempio, ad atteggiamenti di condanna, intransigenza, esclusione. Promuovendo il dialogo, la comunicazione orizzontale, rispettando il pluralismo.
Ha partecipato al congresso anche l’ex abate Franzoni…
Franzoni è una delle persone più autorevoli sul tema “Il movimento restauratore nella Chiesa e la repressione contro i teologi e le teologhe”. È stato abate in una delle principali basiliche di Roma, San Paolo Fuori le Mura, e come tale, a 36 anni, partecipò al Concilio Vaticano II. Oggi è uno dei pochi padri conciliari ancora attivi. Era, quindi, la persona giusta per parlare dell’involuzione ecclesiale, perché lui l’ha seguita da vicino, muro contro muro con il Vaticano, l’ha studiata e sistematizzata, l’ha vissuta e sofferta sulla propria pelle. E ha resistito! Non ha mai gettato la spugna. Ancora oggi continua a lavorare per la riforma della Chiesa con lo stesso impegno di cinquant’anni fa, in seno a comunità di base e in armonia con i movimenti sociali.
Ci sono teologi preparati e disposti a darle il cambio nell’annuncio e nella denuncia profetica?
Oggi le vocazioni teologiche scarseggiano, per lo meno nell’orizzonte della teologica critica, ma non sono scomparse. Tutto il contrario, sta sorgendo una nuova generazione di teologi, teologhe ed esperti in scienze delle religioni che lavorano con grande rigore metodologico, dialogando con le altre discipline, con sentimento profetico, collocati in luoghi di emarginazione ed esclusione e impegnati nella liberazione dei settori emarginati della nostra società. Esiste anche un movimento cristiano di base ampio e plurale, che è alla base delle nuove correnti teologiche e che costituisce la loro fonte di ispirazione. Il futuro del cristianesimo profetico e della teologia liberatrice fa sperare. È vero che ciò che vediamo nel cristianesimo istituzionale è uno strato di ghiaccio molto spesso. Ma sotto il ghiaccio c’è l’acqua che, quando salirà in superficie, potrà trasformarsi in un vero torrente. Ma occorre essere cauti e non esultare. Viviamo in un’epoca di cambiamenti di paradigma in tutti gli ambiti della vita. Chi lo sa cosa ne sarà del cristianesimo e della teologia! Nel frattempo noi continuiamo a camminare al ritmo dell’utopia.