Difendersi senz'armi
Ogni anno la “festa” del 4 novembre è una delle mille circostanze per enfatizzare la retorica militare che, ipocritamente, propone i soldati come operatori di pace. L’operazione di propaganda militarista, perseguita attraverso una molteplicità di strumenti, potrebbe in futuro ricevere persino una cornice giuridica. È in discussione, infatti, al Senato un disegno di legge (n. 2609), già approvato alla Camera dei deputati il 9 marzo 2011, recante il titolo “Disposizioni per la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà”. All’art. 1 si legge che tali norme sono “finalizzate alla promozione, alla diffusione e alla crescita della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà, intesa come l’insieme delle conoscenze poste alla base della condivisione consapevole dei cittadini delle politiche di sicurezza e di difesa della nazione e dell’azione delle Forze armate (...)”. È evidente l’intento di creare consenso verso le Forze Armate, attraverso iniziative culturali (art. 2 c. 1), rivolte in particolare alle scuole (art. 2 c. 2) e addirittura l’istituzione di un “Premio nazionale per la cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà” (art. 3). Al momento, l’esame del provvedimento si è arenato. Resta il fatto grave di aver tentato, ancora una volta e per via legislativa, di compiere un’operazione mistificatoria, facendo coincidere la “difesa” con la “difesa armata” (contrariamente a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale) e soprattutto collegando l’attività delle Forze Armate ai valori della solidarietà e della pacificazione.
Prevenire i conflitti
È urgente rilanciare la riflessione e l’impegno verso la realizzazione concreta di una difesa alternativa a quella militare. Perché la struttura militare e lo strumento della guerra possono realmente ridimensionarsi solo nella misura in cui la popolazione sia pronta a difendersi in maniera diversa. Il diritto di difesa (della vita, della libertà, della democrazia) non può essere cancellato: ciò che i pacifisti possono proporre è, dunque, un’idea diversa di difesa e di pace, entrambe disarmate. La Difesa Popolare Nonviolenta (DPN) necessita di una competenza diffusa, acquisita e utilizzata concretamente dalla gente, espressione di consapevolezza, responsabilità e partecipazione, ma anche di un correlativo sistema formativo e organizzativo. In questa prospettiva, il problema da affrontare non è solo quello di ridurre il tasso di militarizzazione della società e delle istituzioni, ma quello di accrescere nella popolazione la sensibilità nonviolenta e la capacità di prevenire e trasformare i conflitti. Nasce così un popolo in grado di difendere se stesso, anche in via preventiva, da attacchi esterni o da pericoli interni alla democrazia, senza bisogno di ricorrere ad armi ed eserciti, cioè una società smilitarizzata.
Che vi sia, invece, un processo di militarizzazione in atto della società civile ce lo indicano numerosi segnali inquietanti: dall’utilizzo ricorrente dei soldati per gestire talune emergenze (rifiuti, controllo del territorio, ecc.), all’ingresso delle Forze Armate e dell’industria bellica nelle scuole, al varo del Codice dell’Ordinamento Militare (COM). Quest’ultimo (cfr. decreto legislativo 66/2010) recepisce tutte le norme in materia di difesa, comprese quelle relative all’Obiezione di Coscienza e Servizio Civile. Anche la legge 230/98 è stata assorbita in tale testo unico. Il primo comma dell’art. 2097 del COM (che fa proprio l’art. 1 c. 1 della legge 230/98, attualizzandolo a seguito della sospensione della leva obbligatoria) recita: “I cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, opponendosi all’uso delle armi, non accettano l’arruolamento nelle Forze Armate e nelle Forze di polizia dello Stato, possono adempiere gli obblighi di leva, in tempo di guerra o di grave crisi internazionale, prestando, in sostituzione del servizio militare, un servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, ma come questo rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e ordinato ai fini enunciati dai princìpi fondamentali della Costituzione”.
Resta aperta l’esigenza di istituire un Albo degli obiettori al quale, come ha notato Licio Palazzini, presidente di Arci Servizio Civile, coloro che prestano servizio civile volontariamente “possano iscriversi motivando la loro scelta come obiezione di coscienza al servizio militare, anche in vista di deprecabili reintroduzioni della leva obbligatoria e dei collegati richiami per classi di età” (www.esseciblog.it ) e, ancor più ampiamente, permane la necessità di un Albo degli obiettori alla guerra, al quale tutti i cittadini interessati, indipendentemente dal fatto di aver prestato o meno servizio civile volontario, possano iscriversi.
Il transarmo
In Italia, la difesa alternativa a quella militare si muove, dunque, in un quadro che presenta riconoscimenti normativi (sia pur pressati da ogni parte), ma carenze realizzative gravi e, soprattutto, che risulta manchevole di un progetto pubblico nazionale di formazione dei cittadini alla difesa nonviolenta. Ci troviamo, comunque, in un sistema difensivo che, pur nella enorme sproporzione di risorse economiche, prevede due forme di difesa nazionale che convivono (situazione detta di transarmo): quella civile e quella militare. Come considerare, sul piano pedagogico-politico il transarmo? Questo costituisce una fase nodale di un processo popolare di maturazione della scelta libera e consapevole di abolire le FFAA e consolidare una difesa nonviolenta: difesa che veda il coinvolgimento di tutti i cittadini, ciascuno secondo la propria condizione. Cittadini formati sia alla partecipazione responsabile alla res publica (cittadinanza attiva) che a un’etica nonviolenta o addestrati all’uso delle tecniche nonviolente di difesa individuali e collettive. Questa fase, pur centrale, va, dunque, accompagnata da un’adeguata azione di informazione, sensibilizzazione e formazione, che risponda alla sfida educativa posta dal transarmo.
A scuola di nonviolenza
La nuova iniziativa di Pax Christi Italia appare in sintonia con un rinnovato impegno per la DPN: la “Scuola di Pax Christi per la nonviolenza” sarà attivata dal 2012 in un articolato percorso, con momenti residenziali alla Casa per la Pace (Impruneta), interazione sul web e azione sul territorio di provenienza.
Riparlare di DPN significa riparlare di cittadinanza attiva, di formazione alla nonviolenza, di un programma costruttivo che orienti gli operatori di pace più che a concentrare il proprio impegno sullo smantellamento diretto della struttura violenta delle Forze Armate, sulla costruzione qui-ora di un sistema di difesa alternativo di tipo civile e nonviolento concretamente praticabile, che sia condiviso e scelto consapevolmente e responsabilmente dalla popolazione.