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Nonviolenza e prassi politica
A cura di Francesco Comina e Alberto Conci


La nonviolenza è politica e la politica è nonviolenza. Gli storici, gli antropologi, i filosofi, dovrebbero convenire. La politica nasce come pensiero nonviolento, come un’idea di organizzazione del mondo a partire da una mediazione possibile, come argine alla violenza. Solo governando l’istinto di guerra, di dominio dell’uomo sull’uomo, di soppressione dell’altro, è possibile immaginare un futuro per i gruppi umani. Ma fra l’idea e la prassi corre un mare di contraddizioni. E la politica spesso si è fatta violenza, dominio, imperialismo, guerra. La politica ha creato contrapposizioni, lotte fratricide, ha perseguitato lo straniero, ha innalzato muri, ha organizzato il Male, ha mandato al macello milioni di vittime, ha creato le camere a gas, Auschwitz, i gulag, la bomba atomica...
Oggi queste contraddizioni, questa distanza fra la politica come argine alla violenza e la politica come strumento di esercizio della violenza, ci piovono addosso. Da una parte la politica detta le regole internazionali del vivere, dall’altra apre frontiere di guerra in tante direzioni. L’Iraq ha vissuto quattro anni di carneficine e gli USA, che hanno fortemente voluto la guerra, non sanno più come chiuderla; l’Afghanistan torna ad essere teatro di scontri, di sangue, di rapimenti. Le tante guerre dimenticate in Africa, in Asia, in America Latina, dimostrano l’inefficacia della politica internazionale che non riesce a compiere quello che la politica dovrebbe fare: mediare fra i contendenti, costruire occasioni di incontro, di dialogo e anche di coraggiosa riconciliazione.
Ma se la politica dovrebbe riscoprire la dimensione della nonviolenza come orizzonte complessivo nel quale muoversi, allo stesso modo la nonviolenza deve essere politica. E purtroppo anche in questo contesto affiorano contraddizioni. Il rischio è quello di alzare il muro dell’antagonismo con ogni potere istituzionale che non riesca a esprimere immediatamente l’afflato nonviolento.
Il rischio, insomma, è quello di entrare in una logica di contrapposizione in nome dei principi che non si considerano negoziabili, considerando la mediazione politica e il richiamo alla responsabilità come un tradimento degli ideali più alti. Ne deriva talvolta la frammentazione e l’imbarbarimento del linguaggio e delle relazioni.
Con questo dossier vorremmo entrare in questa contraddizione, consapevoli che un radicamento nei valori forti della nonviolenza, almeno come la intendeva Gandhi in tanti passaggi dei suoi scritti, sia necessario anche per fecondare la vita politica, soprattutto oggi che il ricorso alla violenza appare spesso come la più sbrigativa via d’uscita di fronte alle sfide che ci troviamo ad affrontare. E che forse il compito della nonviolenza attiva sia quello di convincere più che di vincere. Gandhi lo diceva spesso invitando il satyagrahi a uscire dalla logica del nemico. Diceva: “Tre quarti delle miserie e delle incomprensioni del mondo scompariranno se riusciremo a metterci nei panni dei nostri avversari e comprendere il loro punto di vista. Potremo venire rapidamente a un accordo con i nostri oppositori o avere nei loro confronti un atteggiamento di carità”.


Sommario:


    5 Articoli
    • Potere nonviolento

      Potere nonviolento

      In dialogo con Roberto Mancini: dalla politica all’educazione, la nonviolenza come via praticabile, oltre ogni pregiudizio.
      Intervista a cura di Alberto Conci
    • Giornalista senza corazze

      Ryszard Kapuscinski è morto il 23 gennaio.
      Le ultime parole in un libro del Margine.
      Ecco un’anticipazione.
    • Chi ha ucciso Gandhi?

      Il 30 gennaio del prossimo anno si celebrano i sessant’anni dalla morte del Mahatma. Un’occasione per rileggere gli scritti.
      Francesco Comina
    • Il Cristo zittito dai cristiani

      La denuncia di don Tonino Bello durante la guerra del Golfo:
      “Abbiamo reso ininfluenti perfino le parole del cap. V di Matteo”.
      Tonio Dell’Olio
    • Nonviolenza e crisi politica

      Capitini e Gandhi, luci nel precipizio del nostro sistema. “Non prestiamo il fianco alle velleità di potere dei singoli o alle strumentalizzazioni dei partiti”.
      Rocco Altieri

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